Introduzione
“Giova la sua chioma bevuta con vino al morso dei serpi, alle sciatiche, alle distillazioni dell'orina, e ai rotti, provoca i mestrui. Bevuta con vino mielato risolve il sangue rappreso alla vescica, e parimente nel ventre: bevuta medesimamente a digiuno in vino bianco inacquato al peso di tre oboli, proibisce il catarro, che scende dal capo." Così scriveva Mattioli sull’Elicriso, confermando alcuni usi medicinali tra i più comuni oggi: antisettico (soprattutto per le infezioni al tratto respiratorio), digestivo, cicatrizzante e per migliorare i problemi articolari. È apprezzato per il suo profumo già nel 1 ° secolo d.C. da Plinio il Vecchio che lo cita nella sua opera “Naturalis Historia” e ne vanta proprietà antidolorifiche per il mal di schiena, come documenta anche gran parte della letteratura scientifica rinascimentale.
Geobotanica ed endemismo.
Nelle lande desolate appartenenti alla zona tirrenica settentrionale, alle isole al largo della costa azzurra francese fino all’area mediterranea nasce e cresce l’Elicriso, pianta erbacea ricca di proprietà curative e aromatiche, di storia e di cultura. Affascinante è persino l’etimologia della denominazione botanica del genere che è Helichrysum, dal greco helios=sole e krysos=oro, in riferimento al colore giallo brillante delle infiorescenze che è particolarmente suggestivo in pieno sole. La sua essenza è molto utilizzata nella produzione di profumi e di cosmetici anche perché l’aroma intenso è incomparabile in natura: la sua nota esotica a sfumature speziate caratterizza la peculiarità del profumo incoronando l’Elicriso icona del lusso. Non è da meno, del resto, la sua efficacia in patologie digestive e cutanee; infatti, anche qui si rivela determinante nella gestione di gravi malattie, come la psoriasi, ancora oggi incurabile.
L’Helichrysum italicum è una pianta molto diffusa perché possiede un’elevata adattabilità: fiorisce infatti fino a 2000 mt di altitudine a prescindere dal tipo di terreno, motivo per cui vi è la presenza di numerose varietà che ne determinano la difficile classificazione botanica. La presenza di elevate concentrazioni di arzanolo, acetato di nerile, nerolo e neril proponiato sembra caratteristica della subspecie microphyllum, la quale è infatti diventata la varietà più studiata.
Il genere Helichrysum appartiene alla famiglia delle Asteraceae e comprende da 500 a 600 specie diverse; è stato dimostrato che si tratta di un genere polifiletico composto da diverse entità più piccole monofiletiche. H. italicum è anche la specie più studiata in termini di etnobotanica e fitochimica, ma storicamente si ritiene abbia un effetto sovrapponibile a H. Stoechas. È un arbusto xerofitico alto da 30 a 70 centimetri, ramificato alla base con piccole e lineari foglie la cui pelosità conferisce alla pianta una tinta grigia fino alla comparsa delle infiorescenze gialle a giugno o luglio. Il nome della pianta varia in base alle popolazioni europee che la utilizzavano: perpetuino e semprevivo in italiano, perpetuino in francese, everlasting in inglese, siempreviva in spagnolo.
L’Elicriso della zona tirrenica è generalmente l’H. italicum Don. subsp. microphyllum (Willd.) Nyman, una pianta che cresce anche nelle isole Baleari; H. siculum (Sprengel) Boiss ed H. pendulum sono specie endemiche nella Sicilia; mentre H. montelinasanum Schmid e H. saxatile Moris sono specie endemiche della Sardegna, regione da cui deriva la maggior parte del pregiato olio essenziale.
Il contributo dei ricercatori italiani: Castore Durante e Leonardo Santini.
Castore Durante (1529-1590), medico e botanico rinascimentale, scoprì che tra gli usi antichi dell’Elicriso ebbe notevole efficacia un enolito a base di capolini essiccati di Elicriso per il trattamento dei disturbi del fegato, in seguito utilizzò anche un decotto per contrastare il catarro.
Quattrocento anni dopo un altro ricercatore italiano continuò gli studi sull’Elicriso fino a dedicargli la vita: si tratta di Leonardo Santini, oggi considerato il padre dei moderni studi sull’Elicriso. Egli utilizzò il decotto descritto da Castore Durante per i suoi pazienti ammalati di problemi respiratori, molto comuni a quel tempo: il decotto era utilizzato per le affezioni bronchiali del bestiame, ma egli, sicuro della sua atossicità, lo provò sui suoi pazienti con ottimi risultati. Successivamente lo adoperò anche nella psoriasi e nelle dermatiti eczematose ancora una volta con notevole successo. Iniziò ad utilizzare l’infuso dei fiori e di sommità fiorite, successivamente il decotto (al 5%) che trovò più efficace. Attratto da tali osservazioni, Santini iniziò a sperimentare clinicamente un decotto e uno sciroppo a base di Elicriso, accorgendosi che l'attività di quest’ultimo era simile a quella del cortisone. In un piccolo studio non pubblicato, gli effetti benefici nel trattamento della psoriasi sono stati recentemente confermati attraverso l’utilizzo di un decotto al 5%; in tale studio venivano assunti 3-4 cucchiaini al giorno per 2-3 mesi. A livello topico è stato usato un oleolito di Elicriso al 10% e balneoterapia con decotto concentrato della pianta al 20%. I miglioramenti si avvertivano già dopo tre settimane di trattamento, caratterizzati da risanamento delle chiazze eritemato-squamose con riduzione della componente paracheratosica e del prurito. La ricaduta avveniva a distanza di due mesi con una sintomatologia nettamente migliore e immediatamente reversibile. Da tenere in considerazione è la sicurezza della droga: essa appare priva di effetti avversi locali e sistemici. Il decotto fu da lui utilizzato anche per la rinite allergica complicata da risentimento congiuntivale, irritazione cutanea e cefalea, in aerosol e collirio. Secondo Santini l’azione antiallergica si deve all’effetto disintossicante della pianta, in grado di esaltare l’azione protettiva cortico-surrenalica e di bloccare la diffusione di metaboliti responsabili dell’accentuazione del rilascio di istamina, ciò essendo dovuto alla riduzione della permeabilità di membrana e al potere antiossidante. Successivamente ottenne importanti risultati anche nel trattamento di ustioni e geloni utilizzando l’Elicriso in pomata, adoperato poi anche in edemi flebitici e in varici con un riscontro positivo.
Sulle orme degli studi di Santini fu commercializzato in Italia uno sciroppo molto efficace a base di Elicriso utile per contrastare la tosse, il quale ebbe un’eco in tutta la nazione per la sua validità. Tuttavia, è proprio negli anni sessanta che lo sviluppo (economico) della medicina moderna “occidentale” svuotò di significato il progresso, quel progresso “pasoliniano” inteso come miglioramento evolutivo; infatti, la mancanza di standardizzazione e di informazione sul principio attivo condusse alla scomparsa del prodotto proprio a causa delle nuove norme, più rigorose, in materia di prodotti farmaceutici: si manifestò così l’inizio della fine della storia delle piante medicinali e del loro uso tradizionale.
Composizione
La maggior parte delle analisi fitochimiche si sono concentrate sulla varietà H. italicum subspecie microphyllum, utilizzato da Santini nei suoi studi clinici. L’Arzanolo, un fluoroglucinolo eterodimero prenilato, è il più importante metabolita caratterizzato in termini di bioattività; vanta oltretutto la curiosa provenienza del nome che deriva dalla cittadina di Arzana in Sardegna. Inoltre contiene acido caffeico, elicrisina (un composto costituito da diversi flavonoidi), acido ursolico, rutina, isoquercetina, beta-sitosterolo, calcio, magnesio, potassio e silicio. I risultati di una recente ricerca effettuata in tutta la Sardegna suggeriscono un' associazione tra chemiotipo, diversità genetica e luogo di raccolta, il che conferma che la pianta gode di un’estrema variabilità. La composizione dell’olio essenziale varia da popolazione a popolazione e contiene principalmente curcumene, pinene, acetato di nerile, nerolo, linalolo; le concentrazioni di nerolo e dei suoi esteri (acetato e propionato), di limonene e di linalolo raggiungono i loro valori più elevati durante la fase di fioritura sia nei fiori che negli steli. Tre principali chemotipi sono stati riportati in letteratura, ma gran parte della variabilità osservata è stata attribuita soltanto all'origine geografica e al tempo di fioritura. Ciò che deve essere considerato in future raccolte per la produzione di olio essenziale è l'associazione tra chemiotipo e punto di raccolta, in ragione della marcata variabilità. La subsp. italicum contiene, a differenza della subsp. microphyllum, un composto chiamato italidione, con proprietà antinfiammatorie, e maggior quantità di acetato di nerile: quest’ultimo, insieme ad altri esteri, è considerato il costituente più significativo ed è infatti spesso aggiunto a scopo fraudolento.
In onore di Santini, una classe di lipidi presente nella pianta è chiamata Santinoli: si tratta di acidi grassi a catena media mai scoperti, i quali rappresentano un nuovo tipo di lipidi vegetali ancora poco studiati. Curiosamente, uno degli acidi presenti è un marcatore per la diagnosi dell’acidemia propionica.
Studi farmacologici
L’Arzanolo gode di una notevole stabilità chimica; esso ha una relazione struttura-attività che evidenzia l’ importanza degli ossidrili e della struttura eterodimerica, fattori necessari per l'inibizione della mPGES-1 e della 5-LO, elementi chiave nella sintesi di prostaglandine e leucotrieni, rispettivamente. Essendo un monomero, il fluoroglucinolo è infatti risultato molto meno potente. L’Arzanolo inibisce inoltre la produzione di citochine proinfiammatorie (TNF-alfa, IL-1 β, IL-1 , IL-6, IL-8) e di enzimi proinfiammatori (COX-2 e mPG2-S). Uno studio condotto nel 2011 in un modello in vivo di infiammazione (pleurite indotta da carragenina nei ratti) ha rivelato che, diversamente dai comuni FANS, la produzione di alcuni prostanoidi non è stata influenzata dall’Arzanolo. Quest’ultimo potrebbe inoltre proteggere l'acido linoleico contro l'attacco dei radicali liberi. In una linea di fibroblasti derivati da rene di scimmia l’Arzanolo, a concentrazioni non citotossiche, ha mostrato una forte inibizione dello stress ossidativo; insieme ad altre sostanze esercita proprietà antiossidanti in diversi sistemi in vitro di perossidazione lipidica.
L’Arzanolo peraltro potrebbero essere potenziato da altre sostanze di cui sono ricche le infiorescenze e le parti aeree come l’acido ursolico (fino a 0,5% in peso a secco), il tremetone e il floroglucinolo: quest’ultimo rende l’Arzanolo un potente antiossidante in modo simile all’acido caffeico e addirittura più potente di altri polifenoli di origine vegetale come l’acido nordiidroguaiaretico, il magnoliolo e anche il myrtucommulone del mirto (Myrtus communis) in saggi di attività in vitro.
Notevole è anche l’attività antibatterica, superando, secondo alcune ricerche in vitro, la norfloxacina contro molti ceppi di Staphylococcus aureus meticillino-resistenti (MRSA); tale attività sembra anche coinvolgere il meccanismo anti-biofilm contro Pseudomonas aeruginosa; vi è anche un’attività anti HIV. L'attività antibatterica valutata non è soltanto dell’Arzanolo ma anche di altri composti fenolici che includono cumarati, benzofurani, pironi e floroglucinoli eterodimerici, rivelando che solo gli eterodimeri hanno mostrato un’azione antibatterica potente. Queste osservazioni convalidano l'uso topico dell’Elicriso per prevenire le infezioni della ferita, una pratica appartenente alla medicina tradizionale della zona mediterranea.
Il colore, l’odore e il sapore
I romani e i Greci decoravano le statue degli dei con corone di infiorescenze Elicriso, una pratica citata dagli scrittori classici dal 7° sec. a.C.
I sardi, popolo molto legato alle proprie tradizioni, ancora oggi ne fanno un uso simile: i bachi da seta, che solitamente si nutrono con le foglie di gelso, in Sardegna vengono nutriti con i fiori di Elicriso producendo una seta naturalmente gialla, la quale viene adoperata per la produzione di vestiti tradizionali.
Non solo il colore ma anche l’odore ha un glorioso passato che si ripercuote nel presente. L’elicriso della zona tirrenica è la varietà più apprezzata a livello mondiale per la produzione di un olio essenziale che viene utilizzato in profumeria e nei prodotti cosmetici ed è utilizzato in profumi commerciali come Eau Noire di Dior. È peculiare inoltre la caratteristica del cosiddetto “miele di spiaggia”: le api non assumono l’aroma dell’Elicriso succhiandone il nettare ma mescolandolo con il materiale resinoso di cui si ricoprono prima di andare a raccogliere il polline in altre piante, fino a produrre un miele dall’aroma unico il quale conserva il sapore e il profumo intenso che rammenta le coste selvagge dei litorali mediterranei.
In Sardegna è ben documentata anche la preparazione di liquori tradizionali a base di Elicriso come: ”Amaro Chrysos” (Helichrysum saxatile Moris), “De Abbastu”, “Anima Sarda”, “Caru Elicriso” (l’H. italicum Don. subsp. microphyllum (Willd.) Nyman).
Il futuro dell’Elicriso
Corposa ed ampia è la documentazione etnofarmacologica sull’H. italicum della zona tirrenica settentrionale che ne prova l’uso in condizioni infiammatorie e infettive delle vie aeree come tosse, bronchite, laringite e tracheite; rilevante è anche l’uso topico sulle ferite e sugli eritemi e l’impiego in tisana come colagogo e coleretico. Non si può che pensare dunque ad un uso intenso di cui è stata caratterizzata questa incredibile pianta; i moderni farmacologi, d’altra parte, tendono a trascurarla soprattutto per quanto riguarda la psoriasi, prediligendo invece vitamine ad alto dosaggio per lunghi periodi: c’è da notare che, al di là dell’inefficacia, queste comportano pure dei notevoli rischi.
Senza necessitare di altri studi specifici e come ampiamente documentato, principalmente L’Elicriso si potrebbe applicare in ferite per ridurre le cicatrici, disinfettare e accelerare la guarigione. È stato adoperato in combinazione con Lavanda (Lavandula angustifolia, Lamiaceae) e Tea tree (Melaleuca alternifolia, Myrtaceae) addirittura per lenire le reazioni cutanee associate alla chemioterapia e può essere utilizzato per gestire l'acne indotta dalla chemioterapia.
L’ampio utilizzo dell’Elicriso e del suo olio essenziale dovrebbe stimolare studi clinici randomizzati, controllati e in doppio ceco, per valutarne l'efficacia e la sicurezza in modo da definire l’uso terapeutico.
Fonte: L' Erborista n° 3/2016