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Decimo ragionamento “LE VIE REINTERATIVE ERBORISTICHE” seconda parte del Maestro Simone Iozzi

I PROCEDIMENTI DÌ BASE

IL DRENAGGIO
Rappresenta uno dei principali strumenti fisiologici atti alla detossicazione dell’organismo attraverso il coinvolgimento dei sistemi emuntori avverso la presenza di tossine organiche (endogene e/o esogene) presenti nei vari sostrati organici.

LA VIA CONNETIVALE
Il tessuto connettivo è uno dei quattro tessuti fondamentali dell’organismo, assieme a quello epiteliale, muscolare e nervoso, caratterizzato soprattutto dal fatto di essere costituito, oltre che da cellule, anche da sostanza intercellulare non vivente, che, come dice il nome, si trova tra le cellule separando le une dalle altre. Sostanza intercellulare costituita da una componente fibrosa distinguibile in fibre collagene, reticolari ed elastiche. Altra caratteristica del tessuto connettivo è di essere fornito di vasi e di nervi e di essere il vettore di essi agli altri tessuti poiché si trova in tutte le parti dell’organismo a costituirne l’impalcatura e il sostegno, ne forma lo strato sottostante a tutti gli epiteli di rivestimento (derma, cute, lamina propria delle mucose), avvolge gli organi, formando un involucro che li delimita dalle strutture vicine connettendole tra loro:
Penetra entro gli organi nella loro più intima compagine costituendone il così detto stroma non solo con il compito di sostenere le cellule parenchimali, cioè specifiche di ciascun organo, ma anche quello di recare ad esse i vasi ed i nervi; forma le fasce, le aponeurosi, i legamenti e i tendini, fa parte dell’imbottitura generale dell’organismo (tessuto sottocutaneo, grasso periviscerale, ecc); partecipando anche alla costituzione della parete degli organi cavi (vasi sanguigni, tubo intestinale, vie respiratorie, urinarie, ecc; infine va a formare strutture altamente specializzate come lo scheletro osseo, gli organi emopoietici, ecc.
Le funzioni del connettivo sono molteplici e non limitatamente a quella di “connettere” e sostenere le varie parti del corpo. Oltre ad una funzione meccanica svolta in varia natura da quasi tutte le varietà di connettivo, adempie un importante compito trofico, in quanto in esso decorrono i vasi sanguigni, si svolgono le reti capillari ed hanno inizio i vasi linfatici.
La sostanza fondamentale cui è composto; per le sue proprietà fisiochimiche, funziona da medium
tra gli scambi di sostanze nutritizie e di gas fra il sangue e le cellule, rappresentando
degli scambi delle sostanze nutritizie e dei gas tra il sangue e le cellule e rappresenta anche, per il suo alto potere di imbibizione, la grande riserva idrica dell’organismo giustificandone la definizione data dal Ruffini di tessuto trofoconnettivale.
Il tessuto connettivo inoltre ha una notevole importanza dal punto di vista protettivo, non solo perché avvolge e protegge i singoli organi, ma anche perché è in grado, in determinate circostanze, di costituire una barriera al progredire dei processi patologici, delimitandoli ed evidentemente incapsulandoli. Possiede quindi notevoli capacità rigenerative che li consentono di intervenire, in maniera preponderante anche nei processi riparativi e cicatriziali.
Fondamentale dunque è l’importanza del connettivo nei processi di difesa organica, sia in senso aspecifico che specifico poiché buona parte dei processi patologici, quelli di natura infiammatoria, si svolgono nel connettivo reagendo ad essi con le sue componenti cellulari di risposta attiva (fagocitosi e produzione di anticorpi specifici): quella della sostanza intercellulare (edema, aumentata permeabilità, iperemia arriva e passiva), dei vasi (edema, aumentata permeabilità, iperemia (attiva e passiva) e dei nervi (irritazione e dolore) che, nel loro insieme, rappresentano la risposta passiva.
Altra e non meno importante funzione del connettivo è quella di partecipare attivamente ai fenomeni metabolici, specie per ciò che riguarda l’immagazzinamento di sostanza nutritizie di riserva, come avviene nel caso delle cellule adipose.
Infine, tra le funzioni del tessuto connettivo può essere considerata anche quella emopoietica compartecipando alla produzione degli elementi figurati del sangue (nelle sue varietà mieloide e linfoide), identificandosi nela comune origine mesenchimale e il piano generale di organizzazione di tutti i connettivi.

Infatti tutte le varietà di tessuto connettivo hanno origine da un particolare tessuto embrionale, il mesenchima, derivato, a sua volta, in gran parte dal terzo foglietto germinativo, ossia dal mesoblasto. Anche l’endoblasto e l’ectoblasto partecipano tuttavia, seppure in modesta misura, alla formazione del mesenchima.

LA DEFLOGiSTICA
Rappresenta uno dei fondamentali atti difensivi definibili come la naturale risposta di un organismo vivente ad agenti o situazioni che provocano un danno in una sua qualsiasi sede.
L’infiammazione consiste in una serie di eventi biochimici e morfologici che coinvolgono attivamente i sistemi polimolecolari del plasma e dell’interstizio (sistemi di complemento, della coagulazione, delle kinine, della plasmina), elementi cellulari del sangue (globuli bianchi, piastrine), cellule di origine mesenchimale libere nei tessuti (mastociti, macrofagi, fibroblasti), e cellule organizzate in strutture (endotelio dei vasi sanguigni e linfatici, cellule muscolari lisce, cellule del reticolo e dei seni degli organi linfatici.
Senza entrare nel merito dei meccanismi di risposta infiammatoria (modificazioni vascolari, essudato, migrazione dei leucociti), questa rappresenta un fenomeno essenzialmente difensivo la cui finalità viene realizzata con meccanismi diretti quali la fagocitosi e pinocitosi e nella secrezione da parte dei granulociti, monoliti e macrofagi, e indiretti più complessi, possiamo dire come a lungo termine la flogosi provoca spesso fenomeni degenerativi e necrotici del tessuto comportando alterazioni funzionali di organi con complicazioni cliniche anche gravi.
Oltre a queste provoca anche conseguenze di ordine generale consistenti in alterazioni della crasi ematica, febbre, modificazioni cardiovascolari e metaboliche sistemiche a livello del plasma circolante, di immissione in circolo di mediatori, ecc. Eventi indotti e regolati da una serie di modificazioni biochimiche che coinvolgono il plasma, il connettivo interstiziale, le cellule del sangue e dei vasi, mediante la formazione di composti quali responsabili di modificazioni vascolari, dell’aumento della permeabilità, della chemiotassi, delle trasformazioni cellulari della fase istogena, della proliferazione di fibroblasti e vasi.
Sequenza molto complessa il cui meccanismo di scatenamento iniziale rimane uno dei grandi problemi ancora irrisolti. Esso viene definito in termini generici come danno al tessuto e segna l’inizio di una serie di modificazioni biochimiche a cascata in una rete di interreazioni che si regolano e s influenzano reciprocamente.
L’infiammazione consiste in una serie di eventi biochimici e morfologici che coinvolgono attivamente i sistemi polimolecolari del plasma e dell’interstizio (sistemi di complemento, della coagulazione, delle kinine, della plasmina), elementi cellulari del sangue (globuli bianchi, piastrine), cellule di origine mesenchimale libere nei tessuti (mastociti, macrofagi, fibroblasti), e cellule organizzate in strutture (endotelio dei vasi sanguigni e linfatici, cellule muscolari lisce, cellule del reticolo e dei seni degli organi linfatici.

LA DETOSSICANTE
Con in termine di detossicazione, nel suo significato più ampio, indica l’insieme delle operazioni di sistemi escretori atti ad allontanare le sostanze derivate dal ricambio organico, come scorie endogene, o esogene, introdotte occasionalmente con gli alimenti, farmaci o derivati batterici, e come questi si trovino a diverso livello è ormai dimostrato. Infatti, restando l’urina il più importante veicolo di escrezione per certi composti, altri possono essere eliminati con le feci, mentre per molti altri l’escrezione urinaria e fecale può essere preceduta da quella biliare e in certi casi, possono avere notevole importanza, quella polmonare. Non è da escludere infine l’eliminazione di alcune sostanze e loro scarti metabolici può avvenire tramite il sudore, i capelli e le unghie, come è anche nota l’escrezione attraverso la saliva e il latte. In ultimo c’è da aggiungere come alcune sostanze vengano poi escrete direttamente senza alcuna trasformazione, altre ancora la trasformazione da parte dell’organismo non richiede alcun intervento enzimatico, altre ancora lo sono ad opera della flora intestinale.
Oltre alla possibilità di ricorrere ai sistemi escretori in modo di influenzare le vie e i modi di eliminazione delle sostanze inquinanti, vanno tenuti in considerazione anche altri fattori quali età e il sesso come anche una certa importanza è da attribuirsi ai fattori ambientali, agli stati di stress,ai ritmi circadiani, ecc.

LA FEBBRILE
Nell’uomo il controllo della temperatura corporea non è che uno dei tanti atteggiamenti fisiologici atti a consentire il regolare svolgersi delle funzioni corporee in condizioni ambientali interne diverse, non solo riferito a quello delle parti periferiche dell’organismo ma a quella presente in profondità, ossia della testa e del tronco. Pertanto il controllo della temperatura corporea dipende da due modalità principali: a) dal calore prodotto dal metabolismo dei vari organi e tessuti, b) il calore disperso dalla maggior parte dalla superficie corporea.
Per questo lo stato febbrile, salvo eccezioni, deve essere considerato lo sforzo più franco di cui è capace l’organismo per eliminarne le cause tramite un’azione detossicante, tonificante e temperante di tutto il suo sistema adattivo di cui la febbre né rappresenta lo sforzo corporeo più franco.
“Per la cronaca, Sydenhan e Boerhave espressero, tempo addietro, il carattere depurativo della febbre come instrumentum naturae qui pertes a puris sacernat per il primo; effecti virae conatis avertere morter per il secondo. Latemendi insiste invece nella sua tendenza conservatrice del danno casuale, tuttavia non è il danno in sé, bensì la difesa avverso di esso: in linea di principio va rispettata e può rappresentare il barometro che annuncia la tempesta (però questa non si scongiura rompendo il barometro). Infine Ippocrate stesso giudicava più facile trattare qualunque patologia che non la cronica febbre”.
Con questo ultimo ragionamento termina la parte propedeutica, cioè l’acquisizione di una certa “forma mentis” per svolgere coerentemente (a mio personale giudizio) la nobile Arte dei semplici come sintesi di una più vasta esposizione. Comunque spero sia sufficientemente esaustiva
Ringraziandovi per l’attenzione. Simone Iozzi
PS. Per quanto riguarda la parte propriamente erboristica, quella applicativa, sto ancora lavorandoci sopra (cosa non facile). Comunque sempre a diposizione per eventuali ragguagli

TRA SALUTE E MALATTIA del Maestro Simone Iozzi

Tutti siamo a conoscenza dei quadri perniciosi classificati dalla patologia la cui distinzione morbosa si fonda, in particolare, sulla presenza di alterazioni funzionali di vario tipo quali quelli che riscontriamo nei differenziati sostrati organici offrendo indicazioni atte riconoscere e classificare le varie malattie abbinabili ad una patogenesi per la quale esse si producono ed evolvono.

Senza entrare in eccessivi particolari di come si giustificano parleremo qui (in fitoterapia Tradizionale Erbosistica) di un loro significato più ampio, ovvero di stato al suo interno riferito al nozione di malattia. Sulle generali possiamo dire che abbiamo due stati certi riguardo al concetto di vita e del suo contrapposto che è la morte. In quest’ordine lo stato di malattia non vi rientra poi che essa continuamente muta ed evolve, quindi è passibile di risoluzione, di cronicizzazione e può condurre allo stato certo che è la morte. Può condurre alla morte ma non è la morte, perciò non considerabile come vita né tanto meno come morte, ma un fatto certo che sta alla vita e può concludersi con la morte.

Per definizione la vita, come stato certo, possiamo ricercarla all’interno di condizioni biologiche possibili e accertabili riassumibili come rappresentazione di un complesso di funzioni organiche che resistono alla morte. Ma specifichiamo meglio questa rappresentazione.

La vita in sé e di per sé è dunque una condizione singolare e caratteristica rappresentata e sostenuta da un insieme di condizioni biologiche che consentono alla materia vivente di alimentarsi, di crescere e di riprodursi. Affinché tali processi (funzioni organiche), abbiano la possibilità di svolgersi adeguatamente occorre la presenza al suo interno di costanti (ovvero di un equilibrato stato umorale come gradiente biochimico e di costanti fisiologiche quali l’osmosi, il pH, l’elettrolitiche): questo per la semplice ragione di garantire il proprio fisiologico procedere onde resistere alla morte che è la cessazione di ogni fenomeno vitale.

In pratica si ammette che la morte si ha quando cessano le funzioni vitali ed in particolare le tre grandi funzioni quali la funzione nervosa, la cardiocircolatoria e la respiratoria. Esse non cessano mai drasticamente (salvo certe condizioni traumatiche), ma gradatamente venendo sostituite da altri fenomeni quali i precadaverici.

La condizione della vita è dunque indissolubilmente legata all’incessante sforzo da parte dell’organismo di resistere alle influenze perniciose di origine endogena o esogena che tendono ad annullarne il fisiologico scorrimento.

Quand’è dunque che inizia la malattia, come essa evolve e come si conclude? E’ difficile dare una risposta esaustiva al quesito al di fuori di una contesto anatomo – patologico certo, come pure è difficile dare una risposta esaustiva al concetto di normalità fisiologica e al suo contrario di anormalità fisiologica. (Normalità, dal latino norma, nella sua comune eccezione significa regola o legge: la malattia, per il suo carattere di anormalità, è una eccezione ed esiste perché vi è la norma)

simone iozzi

#chiedi_scusa_agli_erboristi

Giovedì 28 aprile, nella trasmissione di Rete 4, Forum, la conduttrice, la giornalista Barbara Palombelli introduce la puntata che verte su un problema di tossicodipendenze.
Rilascia, però, una frase infelice…
Noi Erboristi, siamo sicuri che il suo non sia un suo attacco contro di Noi Erboristi, ma che sia frutto di vecchi PREGIUDIZI.
Purtroppo, l’attacco nei nostri confronti non è isolato.
Guardate Voi stessi cosa abbiamo da dire in proposito Noi Erboristi.
Buon divertimento!
Se vi piace, condividete con l’hashtag:
#chiedi_scusa_agli_erboristi

 

Bartolomeo Antonio Scalzi

 

https://www.youtube.com/watch?v=Ep-k0qg5i9Y&feature=youtu.be

L’ Elicriso a cura del dott. Fabio Milardo

Introduzione

“Giova la sua chioma bevuta con vino al morso dei serpi, alle sciatiche, alle distillazioni dell’orina, e ai rotti, provoca i mestrui. Bevuta con vino mielato risolve il sangue rappreso alla vescica, e parimente nel ventre: bevuta medesimamente a digiuno in vino bianco inacquato al peso di tre oboli, proibisce il catarro, che scende dal capo.” Così scriveva Mattioli sull’Elicriso, confermando alcuni usi medicinali tra i più comuni oggi: antisettico (soprattutto per le infezioni al tratto respiratorio), digestivo, cicatrizzante e per migliorare i problemi articolari. È apprezzato per il suo profumo già nel 1 ° secolo d.C. da Plinio il Vecchio che lo cita nella sua opera “Naturalis Historia” e ne vanta proprietà antidolorifiche per il mal di schiena, come documenta anche gran parte della letteratura scientifica rinascimentale.

Geobotanica ed endemismo.

Nelle lande desolate appartenenti alla zona tirrenica settentrionale, alle isole al largo della costa azzurra francese fino all’area mediterranea nasce e cresce l’Elicriso, pianta erbacea ricca di proprietà curative e aromatiche, di storia e di cultura. Affascinante è persino l’etimologia della denominazione botanica del genere che è Helichrysum, dal greco helios=sole e krysos=oro, in riferimento al colore giallo brillante delle infiorescenze che è particolarmente suggestivo in pieno sole. La sua essenza è molto utilizzata nella produzione di profumi e di cosmetici anche perché l’aroma intenso è incomparabile in natura: la sua nota esotica a sfumature speziate caratterizza la peculiarità del profumo incoronando l’Elicriso icona del lusso. Non è da meno, del resto, la sua efficacia in patologie digestive e cutanee; infatti, anche qui si rivela determinante nella gestione di gravi malattie, come la psoriasi, ancora oggi incurabile.

L’Helichrysum italicum è una pianta molto diffusa perché possiede un’elevata adattabilità: fiorisce infatti fino a 2000 mt di altitudine a prescindere dal tipo di terreno, motivo per cui vi è la presenza di numerose varietà che ne determinano la difficile classificazione botanica. La presenza di elevate concentrazioni di arzanolo, acetato di nerile, nerolo e neril proponiato sembra caratteristica della subspecie microphyllum, la quale è infatti diventata la varietà più studiata.

Il genere Helichrysum appartiene alla famiglia delle Asteraceae e comprende da 500 a 600 specie diverse;   è stato dimostrato che si tratta di un genere polifiletico composto da diverse entità più piccole monofiletiche. H. italicum è anche la specie più studiata in termini di etnobotanica e fitochimica, ma storicamente si ritiene abbia un effetto sovrapponibile a H. Stoechas. È un arbusto xerofitico alto da 30 a 70 centimetri, ramificato alla base con piccole e lineari foglie la cui pelosità conferisce alla pianta una tinta grigia fino alla comparsa delle infiorescenze gialle a giugno o luglio. Il nome della pianta varia in base alle popolazioni europee che la utilizzavano: perpetuino e semprevivo in italiano, perpetuino in francese, everlasting in inglese, siempreviva in spagnolo.

L’Elicriso della zona tirrenica è generalmente l’H. italicum Don. subsp. microphyllum (Willd.) Nyman, una pianta che cresce anche nelle isole Baleari; H. siculum (Sprengel) Boiss ed H. pendulum sono specie endemiche nella Sicilia; mentre H. montelinasanum Schmid e H. saxatile Moris sono specie endemiche della Sardegna, regione da cui deriva la maggior parte del pregiato olio essenziale.

Il contributo dei ricercatori italiani: Castore Durante e Leonardo Santini.

Castore Durante (1529-1590), medico e botanico rinascimentale, scoprì che tra gli usi antichi dell’Elicriso ebbe notevole efficacia un enolito a base di capolini essiccati di Elicriso per il trattamento dei disturbi del fegato, in seguito utilizzò anche un decotto per contrastare il catarro.

Quattrocento anni dopo un altro ricercatore italiano continuò gli studi sull’Elicriso fino a dedicargli la vita: si tratta di Leonardo Santini, oggi considerato il padre dei moderni studi sull’Elicriso. Egli utilizzò il decotto descritto da Castore Durante per i suoi pazienti ammalati di problemi respiratori, molto comuni a quel tempo: il decotto era utilizzato per le affezioni bronchiali del bestiame, ma egli, sicuro della sua atossicità, lo provò sui suoi pazienti con ottimi risultati. Successivamente lo adoperò anche nella psoriasi e nelle dermatiti eczematose ancora una volta con notevole successo. Iniziò ad utilizzare l’infuso dei fiori e di sommità fiorite, successivamente il decotto (al 5%) che trovò più efficace. Attratto da tali osservazioni, Santini iniziò a sperimentare clinicamente un decotto e uno sciroppo a base di Elicriso, accorgendosi che l’attività di quest’ultimo era simile a quella del cortisone. In un piccolo studio non pubblicato, gli effetti benefici nel trattamento della psoriasi sono stati recentemente confermati attraverso l’utilizzo di un decotto al 5%; in tale studio venivano assunti 3-4 cucchiaini al giorno per 2-3 mesi. A livello topico è stato usato un oleolito di Elicriso al 10% e balneoterapia con decotto concentrato della pianta al 20%. I miglioramenti si avvertivano già dopo tre settimane di trattamento, caratterizzati da risanamento delle chiazze eritemato-squamose con riduzione della componente paracheratosica e del prurito. La ricaduta avveniva a distanza di due mesi con una sintomatologia nettamente migliore e immediatamente reversibile. Da tenere in considerazione è la sicurezza della droga: essa appare priva di effetti avversi locali e sistemici. Il decotto fu da lui utilizzato anche per la rinite allergica complicata da risentimento congiuntivale, irritazione cutanea e cefalea, in aerosol e collirio. Secondo Santini l’azione antiallergica si deve all’effetto disintossicante della pianta, in grado di esaltare l’azione protettiva cortico-surrenalica e di bloccare la diffusione di metaboliti responsabili dell’accentuazione del rilascio di istamina, ciò essendo dovuto alla riduzione della permeabilità di membrana e al potere antiossidante. Successivamente ottenne importanti risultati anche nel trattamento di ustioni e geloni utilizzando l’Elicriso in pomata, adoperato poi anche in edemi flebitici e in varici con un riscontro positivo.

Sulle orme degli studi di Santini fu commercializzato in Italia uno sciroppo molto efficace a base di Elicriso utile per contrastare la tosse, il quale ebbe un’eco in tutta la nazione per la sua validità. Tuttavia, è proprio negli anni sessanta che lo sviluppo (economico) della medicina moderna “occidentale” svuotò di significato il progresso, quel progresso “pasoliniano” inteso come miglioramento evolutivo; infatti, la mancanza di standardizzazione e di informazione sul principio attivo condusse alla scomparsa del prodotto proprio a causa delle nuove norme, più rigorose, in materia di prodotti farmaceutici: si manifestò così l’inizio della fine della storia delle piante medicinali e del loro uso tradizionale.

Composizione

La maggior parte delle analisi fitochimiche si sono concentrate sulla varietà H. italicum subspecie microphyllum, utilizzato da Santini nei suoi studi clinici. L’Arzanolo, un fluoroglucinolo eterodimero prenilato, è il più importante metabolita caratterizzato in termini di bioattività; vanta oltretutto la curiosa provenienza del nome che deriva dalla cittadina di Arzana in Sardegna. Inoltre contiene acido caffeico, elicrisina (un composto costituito da diversi flavonoidi), acido ursolico, rutina, isoquercetina, beta-sitosterolo, calcio, magnesio, potassio e silicio. I risultati di una recente ricerca effettuata in tutta la Sardegna suggeriscono un’ associazione tra chemiotipo, diversità genetica e luogo di raccolta, il che conferma che la pianta gode di un’estrema variabilità. La composizione dell’olio essenziale varia da popolazione a popolazione e contiene principalmente curcumene, pinene, acetato di nerile, nerolo, linalolo; le concentrazioni di nerolo e dei suoi esteri (acetato e propionato), di limonene e di linalolo raggiungono i loro valori più elevati durante la fase di fioritura sia nei fiori che negli steli. Tre principali chemotipi sono stati riportati in letteratura, ma gran parte della variabilità osservata è stata attribuita soltanto all’origine geografica e al tempo di fioritura. Ciò che deve essere considerato in future raccolte per la produzione di olio essenziale è l’associazione tra chemiotipo e punto di raccolta, in ragione della marcata variabilità. La subsp. italicum contiene, a differenza della subsp. microphyllum, un composto chiamato italidione, con proprietà antinfiammatorie, e maggior quantità di acetato di nerile: quest’ultimo, insieme ad altri esteri, è considerato il costituente più significativo ed è infatti spesso aggiunto a scopo fraudolento.

In onore di Santini, una classe di lipidi presente nella pianta è chiamata Santinoli: si tratta di acidi grassi a catena media mai scoperti, i quali rappresentano un nuovo tipo di lipidi vegetali ancora poco studiati. Curiosamente, uno degli acidi presenti è un marcatore per la diagnosi dell’acidemia propionica.

Studi farmacologici

L’Arzanolo gode di una notevole stabilità chimica; esso ha una relazione struttura-attività che evidenzia l’ importanza degli ossidrili e della struttura eterodimerica, fattori necessari per l’inibizione della mPGES-1 e della 5-LO, elementi chiave nella sintesi di prostaglandine e leucotrieni, rispettivamente. Essendo un monomero, il fluoroglucinolo è infatti risultato molto meno potente. L’Arzanolo inibisce inoltre la produzione di citochine proinfiammatorie (TNF-alfa, IL-1 β, IL-1 , IL-6, IL-8) e di enzimi proinfiammatori (COX-2 e mPG2-S). Uno studio condotto nel 2011 in un modello in vivo di infiammazione (pleurite indotta da carragenina nei ratti) ha rivelato che, diversamente dai comuni FANS, la produzione di alcuni prostanoidi non è stata influenzata dall’Arzanolo. Quest’ultimo potrebbe inoltre proteggere l’acido linoleico contro l’attacco dei radicali liberi. In una linea di fibroblasti derivati ​​da rene di scimmia l’Arzanolo, a concentrazioni non citotossiche, ha mostrato una forte inibizione dello stress ossidativo; insieme ad altre sostanze esercita proprietà antiossidanti in diversi sistemi in vitro di perossidazione lipidica.

L’Arzanolo peraltro potrebbero essere potenziato da altre sostanze di cui sono ricche le infiorescenze e le parti aeree come l’acido ursolico (fino a 0,5% in peso a secco), il tremetone e il floroglucinolo: quest’ultimo rende l’Arzanolo un potente antiossidante in modo simile all’acido caffeico e addirittura più potente di altri polifenoli di origine vegetale come l’acido nordiidroguaiaretico, il magnoliolo e anche il myrtucommulone del mirto (Myrtus communis) in saggi di attività in vitro.

Notevole è anche l’attività antibatterica, superando, secondo alcune ricerche in vitro, la norfloxacina contro molti ceppi di Staphylococcus aureus meticillino-resistenti (MRSA); tale attività sembra anche coinvolgere il meccanismo anti-biofilm contro Pseudomonas aeruginosa; vi è anche un’attività anti HIV. L’attività antibatterica valutata non è soltanto dell’Arzanolo ma anche di altri composti fenolici che includono cumarati, benzofurani, pironi e floroglucinoli eterodimerici, rivelando che solo gli eterodimeri hanno mostrato un’azione antibatterica potente. Queste osservazioni convalidano l’uso topico dell’Elicriso per prevenire le infezioni della ferita, una pratica appartenente alla medicina tradizionale della zona mediterranea.

Il colore, l’odore e il sapore

I romani e i Greci decoravano le statue degli dei con corone di infiorescenze Elicriso, una pratica citata dagli scrittori classici dal  7° sec. a.C.

I sardi, popolo molto legato alle proprie tradizioni, ancora oggi ne fanno un uso simile: i bachi da seta, che solitamente si nutrono con le foglie di gelso, in Sardegna vengono nutriti con i fiori di Elicriso producendo una seta naturalmente gialla, la quale viene adoperata per la produzione di vestiti tradizionali.

Non solo il colore ma anche l’odore ha un glorioso passato che si ripercuote nel presente. L’elicriso della zona tirrenica è la varietà più apprezzata a livello mondiale per la produzione di un olio essenziale che viene utilizzato in profumeria e nei prodotti cosmetici ed è utilizzato in profumi commerciali come Eau Noire di Dior. È peculiare inoltre la caratteristica del cosiddetto “miele di spiaggia”: le api non assumono l’aroma dell’Elicriso succhiandone il nettare ma mescolandolo con il materiale resinoso di cui si ricoprono prima di andare a raccogliere il polline in altre piante, fino a produrre un miele dall’aroma unico il quale conserva il sapore e il profumo intenso che rammenta le coste selvagge dei litorali mediterranei.

In Sardegna è ben documentata anche la preparazione di liquori tradizionali a base di Elicriso  come: ”Amaro Chrysos” (Helichrysum saxatile Moris), “De Abbastu”, “Anima Sarda”, “Caru Elicriso” (l’H. italicum Don. subsp. microphyllum (Willd.) Nyman).

Il futuro dell’Elicriso

Corposa ed ampia è la documentazione etnofarmacologica sull’H. italicum della zona tirrenica settentrionale che ne prova l’uso in condizioni infiammatorie e infettive delle vie aeree come tosse, bronchite, laringite e tracheite; rilevante è anche l’uso topico sulle ferite e sugli eritemi e l’impiego in tisana come colagogo e coleretico. Non si può che pensare dunque ad un uso intenso di cui è stata caratterizzata questa incredibile pianta; i moderni farmacologi, d’altra parte, tendono a trascurarla soprattutto per quanto riguarda la psoriasi, prediligendo invece vitamine ad alto dosaggio per lunghi periodi: c’è da notare che, al di là dell’inefficacia, queste comportano pure dei notevoli rischi.

Senza necessitare di altri studi specifici e come ampiamente documentato, principalmente L’Elicriso si potrebbe applicare in ferite per ridurre le cicatrici, disinfettare e accelerare la guarigione. È stato adoperato in combinazione con Lavanda (Lavandula angustifolia, Lamiaceae) e Tea tree  (Melaleuca alternifolia, Myrtaceae) addirittura per lenire le reazioni cutanee associate alla chemioterapia e può essere utilizzato per gestire l’acne indotta dalla chemioterapia.

L’ampio utilizzo dell’Elicriso e del suo olio essenziale dovrebbe stimolare studi clinici randomizzati, controllati e in doppio ceco, per valutarne l’efficacia e la sicurezza in modo da definire l’uso terapeutico.

 

Fonte: L’ Erborista n° 3/2016

Oligoelementi e Oligoterapia ( terza parte)

Di Elena Radici terza parte:
8- CARATTERISTICHE DELLE DIATESI
L’oligoterapeuta che si trova di fronte un soggetto portatore di una determinata malattia, innanzitutto, individua la diatesi di appartenenza per cercare di correggere il terreno malato,non tanto per curare i sintomi, quanto per agire sulla causa della malattia stessa.
Di seguito verrano evidenziate le caratteristiche salienti delle 4 diatesi e verranno indicati gli oligoelementi diatesici.

DIATESI 1 o ALLERGICA
Caratteristiche intellettuali e psicologiche:
energico, volitivo, impetuoso, passionale, facile all’esaltazione, ottimista, fiducioso di sé, nervoso, irritabile, irascibile, amante delle novità, bisognoso di attività, spirito di iniziativa, spirito aperto, costante nei sentimenti, memoria selettiva.
Comportamento fisico:
astenia mattutina, stanchezza che scompare durante l’attività, iperattivo di sera.
Sonno irregolare.
Predisposizione alle malattie:
emicranie periodiche, allergia agli agenti esterni, rinite allergica, algie, disturbi digestivi e intestinali (nervosi), gotta, emorroidi, mestruazioni ravvicinate, abbondanti e spesso dolorose.
Oligoelemento diatesico: Manganese

DIATESI 2 o IPOSTENICA
Caratteristiche intellettuali e psicologiche:
calmo, ponderato, equilibrato, indifferente, non passionale, memoria scarsa, metodico, con self-control, economizza gli sforzi.
Comportamento fisico:
stanchezza allo sforzo, stanchezza di sera, bisogno di riposo e di vacanza.
Sonno abbastanza buono.
Predisposizione alle malattie:
fragilità delle vie respiratorie, infezioni, infiammazioni, reazioni linfatiche e digestive, ipomenorrea, allergia per auto-intossicazione, artrosi, cefalea, diabete, obesità, cellulite, lassità dei legamenti, artrite, disturbi di escrezione.
Oligoelemento diatesico: Manganese-Rame

DIATESI 3 o DISTONICA
Caratteristiche intellettuali e psicologiche:
ansioso, nervoso, emotivo, malinconico, piccole crisi depressive, cattiva memoria, cattiva concentrazione, invecchiamento generale e organico precoce.
Comportamento fisico:
stanchezza progressiva nel corso della giornata, più pronunciata a fine pomeriggio con stanchezza alle membra inferiori.
Sonno mediocre, risvegli durante la notte.
Predisposizione alle malattie:
disturbi neurovegetativi, circolatori e cardiovascolari, ipertensione, ulcera, gastralgie, spasmi, coliche, difficoltà di escrezione, calcoli, couperose, gambe pesanti, artrosi, cefalea, disturbi psichici, obesità.
Oligoelemento diatesico: Manganese-Cobalto

DIATESI 4 o ANERGICA
Caratteristiche intellettuali e psicologiche:
mancanza di vitalità, depressione, obnubilazione, indeciso, volubile, disincantato, mancanza di memoria, mancanza di concentrazione, grande rilassatezza, disgusto per la vita.
Comportamento fisico:
stanchezza continuata, scarsa o nessuna autodifesa fisica e morale, lassitudine generale.
Sonno: insonnia, incubi notturni, angoscia.
Predisposizione alle malattie:
scoliosi, febbre, reumatismo grave, poliartrite, blocco linfatico, infezioni acute e recidivanti, degenerazioni tissutali, senilità globale, cachessia (indebolimento organico con dimagrimento).
Oligoelemento diatesico: Rame-Oro-Argento

9- LA SINDROME DI DISADATTAMENTO
La Sindrome di Disadattamento rappresenta la difficoltà, da parte di alcune ghiandole endocrine, di adattarsi agli stimoli lanciati dall’ipofisi. Può ritrovarsi a carico di uno qualsiasi dei 4 terreni organici e può verificarsi in particolare a carico dell’asse ipofiso-genitale e di quello ipofiso-pancreatico.
ASSE IPOFISO-GENITALE (ghiandole genitali)
I sintomi sono:
– ritardi di sviluppo
– impotenze sessuali di tipo funzionale
– disfunzioni dell’apparato genitale femminile (disordini mestruali, sindromi paramenopausiche…)
La terapia catalitica di questa Sindrome Disadattiva Ipofiso-Genitale si attua con l’associazione Zinco-Rame, grande regolatrice di questa sfera endocrina, che va comunque sempre associata agli elementi diatesici specifici del soggetto.
ASSE IPOFISO-PANCREATICO
I sintomi, dovuti ad un turbamento del tasso glicemico, sono:
– “fame da lupi” pre-prandiale
– sonnolenza post-prandiale
– senso di vacuità intellettuale
– sudorazione improvvisa
– “coup de pompe”, termine francese che definisce uno stato di “spompamento” improvviso e molto accentuato
– facile variabilità d’umore
Per questa Sindrome Disadattiva si impiega l’associazione catalitica Zinco-Nichel-Cobalto, sempre associata agli elementi diatesici specifici del soggetto.
L’associazione Zinco-Nichel-Cobalto si è rivelata utile nelle iperglicemie moderate, cioè quelle ancora sensibili ai trattamenti dietologici, mentre nel diabete conclamato i risultati sono scarsi e gli oligoelementi al massimo possono tentare di coadiuvare il trattamento insulinico.

10- OLIGOELEMENTI DIATESICI
Quando si attua una terapia catalitica con elementi diatesici, correggendo una specifica carenza, si avrà, come effetto globale, l’eliminazione di un determinato episodio morboso, ma anche un impatto positivo su tutti gli altri aspetti specifici del terreno.
MANGANESE (Mn)
Con questo elemento diatesico avremo, nel caso della diatesi 1, non soltanto la scomparsa, ad esempio, della sintomatologia ALLERGICA, ma una attenuazione dei vari “fenomeni iperergici”, caratteristici di questi soggetti, nella sfera intellettuale, psicologica e fisica. (Vedi Diatesi 1)
MANGANESE-RAME (Mn-Cu)
Nel caso della diatesi 2, dove il problema di base è quello di una GENERALE SCARSITA’ DI DIFESE ORGANICHE E DI RESISTENZA, con l’associazione diatesica Mn-Cu si ottiene un significativo sviluppo delle autodifese, rinforzando globalmente il terreno del soggetto che diviene più resistente sia nei confronti delle aggressioni microbiche e virali (specie a carico dell’apparato respiratorio e otorinolaringoiatra), sia della fatica fisica in generale. (Vedi Diatesi 2)
MANGANESE-COBALTO (Mn-Co)
Nella diatesi 3 l’individuo è in fase Distonica e l’associazione catalitica Mn-Co unisce l’azione modulatrice del Manganese alla spiccata azione anti-Distonica del Cobalto.
Questa diatesi, tipica delle persone di mezza età, ma purtroppo presente anche in età inferiori, si potrebbe definire la diatesi dell’ANSIA.
Se non la si blocca tempestivamente, si rischia di aggravare in modo irreversibile lo stato Distonico, sfociando spesso in quello Anergico.
L’associazione Mn-Co rappresenta un energico ed efficacissimo rimedio oligoterapico che ottiene successi spesso eclatanti quanto più tempestivamente viene assunto dai soggetti in fase Distonica e quanto più lo si impiega con costanza per lunghi cicli. (Vedi Diatesi 3)
RAME-ORO-ARGENTO (Cu-Au-Ag)
Nella diatesi 4, il quadro Anergico impone un intervento radicale per stimolare un terreno molto defedato, dove la AUTODIFESE FISICHE, INTELLETTUALI E PSICHICHE SONO GRAVEMENTE COMPROMESSE.
Questa associazione ha un’azione terapeutica validissima nello stimolare la reattività del terreno anergico. Proprio nel campo delle Anergie Giovanili si ottengono risultati spesso eclatanti e decisamente molto più rapidi rispetto agli interventi catalitici in altri tipi di situazioni. (Vedi Diatesi 4)

Bibliografia:
Alfredo Torti “Il presente terapeutico degli oligoelementi”, Giuseppe Maria Ricchiuto Editore
M. Deville, F. Deville “Gli Oligoelementi” Edizioni Mediterranee

Gemmoterapia

Introduzione alla conoscenza e all’uso degli estratti embrionali giovanili delle piante officinali

Breve storia dei gemmoterapici

L’introduzione dei derivati delle gemme e, più in generale, degli estratti ottenuti da tessuti giovanili vegetali, si deve al genio ed all’intuizione del medico e biologo belga Pol Henry. Si tratta non di una branca specifica della fitoterapia ma di una vera e propria disciplina avente le sue caratteristiche e peculiarità.

I tessuti embrionali vegetali, infatti, presentano caratteristiche del tutto particolari se paragonati a tessuti adulti; intanto, bisogna far notare come le cellule giovani hanno la caratteristica di essere le uniche in grado di dare sviluppo alla pianta adulta contenendo in se tutte le informazioni necessarie alla successiva differenziazione di apparati morfologicamente e funzionalmente diversi (apparato foliare, radicale, tessuto lignificato ecc). E’ noto e sperimentalmente dimostrato che un’unica cellula vegetale embrionale (detta cellula meristematica e meristema il tessuto che la contiene) può ricreare l’intero vegetale adulto. Inoltre, la cellula giovane si presenta priva di vacuolo (presente solo nella cellula adulta), ha un elevato rapporto nucleoplasmatico (cioè il contenuto di citoplasma rispetto al nucleo è molto più elevato che non nella cellula adulta), presenta un’elevata concentrazione di DNA e RNA, enzimi, protidi e tutti i fattori necessari alla crescita dell’individuo vegetale inclusi i fitormoni (cinetine, giberelline). Queste straordinarie caratteristiche portarono Pol Henry a concentrare la sua attenzione sulle supposte, e successivamente verificate, proprietà terapeutiche delle cellule embrionali vegetali. In altre parole, egli suppose che in qualche modo il tessuto giovanile vegetale racchiudesse in sé tutte le potenzialità della pianta più e meglio del tessuto adulto differenziato. Per usare le sue stesse parole: “la gemmoterapia è un sistema terapeutico basato sull’energia potenziale dei vegetali”.

Va detto subito che il ragionamento di Pol Henry fu di tipo analogico e prese le mosse da molto lontano. Dalla constatazione cioè che i vegetali per primi hanno colonizzato il pianeta  rendendo possibile lo sviluppo della vita sulla terraferma. In principio infatti l’atmosfera terrestre era assolutamente irrespirabile essendo composta prevalentemente di metano, ammoniaca, acqua ed idrogeno, tutti sottoposti a decomposizione ad opera delle radiazioni ultraviolette della luce solare non filtrata mancando ancora la stratosfera. Diversa la situazione nell’ambiente marino dove, come dimostrato da Miller in un celebre esperimento datato ormai 1935, a quelle condizioni di calore ed elettricità (numerosissimi i fulmini) spontaneamente si crearono i primi agglomerati di materiale organico tra cui aminoacidi e successivamente proteine. Così la vita si affacciò nell’ambiente acquatico marino sotto forma di protobatteri ed altre simili strutture primordiali viventi. L’evoluzione successiva portò alla formazione delle prime alghe unicellulari che rappresentarono la condizione sine qua non per lo sviluppo successivo della vita sulle terre emerse. Infatti, la capacità di produrre ossigeno per via fotosintetica, ha vieppiù arricchito l’acqua di ossigeno e quindi, data la bassa solubilità dell’ossigeno molecolare, l’atmosfera di questa molecola che, sotto la spinta delle radiazioni ultraviolette stesse, si trasformò in ozono e gettò pertanto le premesse per la formazione di quel potente filtro anti UV che è la stratosfera odierna (sempreché avremo il buonsenso di lasciarla un po’ in pace). Pertanto, se non fossero apparsi i vegetali la vita come oggi la conosciamo non sarebbe mai stata possibile.

Qualcosa di simile avvenne anche, molti milioni di anni dopo, sulla superficie terrestre, quando le prime piante a fusto come le Cordaites, oggi scomparse, mossero i primi passi di adattamento alla vita terrestre e, dopo molti passaggi evolutivi, alla comparsa delle prime gimnosperme, le conifere, e successivamente alla comparsa delle altre specie vegetali.

Tale e tanta è la nostra dipendenza dal regno vegetale che possiamo affermare senza tema di smentita che, mentre noi abbiamo bisogno delle piante per sopravvivere, le piante non hanno alcun bisogno di noi. Ancora oggi l’ossigeno necessario per la respirazione ci è fornito dalle piante e tra queste principalmente dagli alberi, che sono il più straordinario e potente trasformatore di energia fisica, la luce solare, in energia chimica, quella necessaria per tutte le sintesi di materiale organico a partire da materiale inorganico. Tutto questo è garantito dai processi fotosintetici che si svolgono nelle piante verdi grazie alla clorofilla (straordinariamente simile per altro per struttura all’eme dell’emoglobina del sangue, e alla cianocobalamina o vitamina B12, come dire il trasporto dell’energia solare è garantito sostanzialmente dalla stessa molecola). La nostra dipendenza dall’albero è testimoniata anche dal profondo significato religioso e simbolico che l’uomo gli ha dato. Il suo levarsi verso il cielo, abbinato al suo profondo radicamento, rappresenta il tratto d’unione tra mondo reale e mondo surreale, aldiquà ed aldilà, mondo essoterico e mondo esoterico, vita e morte. Gli esempi mitologici che testimoniano di quest’antichissima venerazione dell’uomo per l’albero non mancano e non fanno altro che rafforzare nel nostro immaginario l’importanza e la dipendenza che abbiamo nei confronti di questi vegetali.

Ben consapevole di tutto questo Pol Henry iniziò uno studio sistematico della foresta per cercare di trovare conferme della sua intuizione che nei tessuti giovanili vegetali in generale, ed in quelli degli alberi e degli arbusti più in particolare, dovessero nascondersi preziosissimi strumenti terapeutici. Ragionando in termini analogici, cioè cercando analogie tra il percorso evolutivo della vita sul pianeta e l’evoluzione delle foreste da un lato, e le modificazioni di ben precisi parametri ematici, in particolare delle modificazioni del quadro proteico del plasma,pensava si trovasse la chiave per la scoperta di rimedi capaci di agire in modo profondo e a livello cellulare in modo dolce e definitivo.

In altre parole, studiando l’evoluzione delle foreste dalla tundra settentrionale fino alla macchia mediterranea (resta esclusa dai suoi studi la foresta pluviale), catalogando le specie vegetali che abitano i diversi ambienti, mettendoli in relazione con le fasi evolutive della malattia, costruì un sistema terapeutico completo che per la prima volta nella storia poneva al centro non già le manifestazioni esteriori della malattia ma le sue modificazioni profonde; siamo negli anni ’50 quando Henry cominciò a pubblicare i suoi primi lavori attorno alla gemmoterapia e da allora ad oggi l’entusiasmo che si è sviluppato nei troppo ristretti circoli di cultori della medicina naturale in generale e vegetale in particolare non solo non è andato scemando ma si è accresciuto arricchendosi di nuove gemme, nuovi campi di utilizzo e nuove prospettive. Tutto ciò ci fa dire che la gemmoterapia rappresenta, a nostro giudizio, la nuova frontiera che l’uomo ha dinanzi a sé per progredire veramente nel campo della medicina. Come lo stesso Henry scrisse, infatti, “non si guarisce senza rispettare la nozione dell’evoluzione nella quale l’uomo attuale trova la sua origine nel comportamento della prima cellula, nel comportamento dei metazoi, nella vita marina degli invertebrati, dei pesci e poi nella vita all’aria dei vertebrati. Una struttura estremamente complessa come quella dell’uomo attuale è stata elaborata 600 milioni di anni fa in un ambiente marino di cui noi manteniamo il ricordo ionico”.  I più grandi trasformatori ambientali sono gli alberi, e, all’interno di essi, i loro tessuti giovanili cioè le cellule meristematiche. Allo stesso modo, se si vuole raggiungere una guarigione profonda a livello cellulare si devono utilizzare non già i tessuti adulti  differenziati ma le cellule giovani, contenenti tutta quell’energia potenziale della quale l’uomo ha bisogno per guarire veramente e non per sopprimere questo o quel sintomo. Non che Pol Henry disdegnasse completamente l’uso di tessuti adulti, semplicemente li considerava complementari ai tessuti giovanili secondo schemi rigorosi dei quali parleremo in seguito. Va detto a scanso di equivoci che la gemmoterapia non è solo una branca della fitoterapia ma una disciplina a se stante, con le sue regole e i suoi presupposti scientifici.

 

Cos’è un gemmoterapico

 

Come già detto i gemmoterapici sono derivati di tessuti giovanili vegetali in accrescimento, noti in biologia come meristemi; perciò, non solo le gemme delle piante entrano a far parte delle materie prime disponibili per il fitopreparatore che volesse cimentarsi della produzione di questi rimedi. Anche giovani radici, giovani getti, amenti entrano a pieno titolo nella gemmoterapia moderna. La caratteristica comune che deve avere la materia prima di partenza è comunque quella di appartenere ad un meristema con alcune significative eccezioni. Per questo, alcuni autori hanno suggerito di sostituire al termine gemmoterapia, troppo esclusivo non includendo derivati diversi dalle gemme e che inoltre si presta ad equivoci potendosi intendere per gemme le pietre preziose, con quello di meristemoterapia, più preciso e meno equivocabile. Tuttavia, a tutt’oggi, il termine più in voga è quello di gemmoterapia coniato per altro dallo stesso Pol Henry. Questi rimedi si ottengono a partire da materiale fresco, pulito e triturato; viene quindi messo a macerare per 4-5 giorni in contenitori impenetrabili alla luce in alcool a 90°. Successivamente si aggiunge unha miscela di acqua e glicerina in rapporto di 1:1 fino ad ottenere un prodotto finale che corrisponda a 20 volte il peso secco della materia prima di partenza. In altre parole, il rapporto droga solvente deve essere di 1:20. Questa nuova soluzione deve macerare per altre 3 settimane dopodiché si procede a decantazione e poi filtrazione. Si spreme il residuo, si riunisce il prodotto della spremitura con quello della filtrazione e si lascia il tutto a riposo per altre 48 ore. La soluzione così ottenuta è il macerato glicerico di base. Questo poi viene diluito alla prima decimale per tutti i gemmoderivati con la sola eccezione di Viscum album che è diluito alla prima centesimale.

A questo punto il gemmoderivato è pronto per il suo utilizzo e costituisce il prodotto di base nel sistema terapeutico di Pol Henry.

Nei prossimi articoli tratteremo in dettaglio la gemmoterapia dapprima secondo quella che  Henry stesso chiamò la sindrome biologica sperimentale e successivamente passeremo in rassegna altri sistemi e modalità d’impiego di questi preziosissimi rimedi.

 

(1-continua)

 

Paolo Ospici

 

Bibliografia:

F. Piterà “Compendio di gemmoterapia clinica – Meristemoterapia” De Ferrari editore

P. Henry “Gemmoterapia” Giuseppe Maria Ricchiuto editore

 

GEMMOTERAPIA

 

Introduzione alla conoscenza e all’uso degli estratti embrionali giovanili delle piante officinali

 

Breve storia dei gemmoterapici

L’introduzione dei derivati delle gemme e, più in generale, degli estratti ottenuti da tessuti giovanili vegetali, si deve al genio ed all’intuizione del medico e biologo belga Pol Henry. Si tratta non di una branca specifica della fitoterapia ma di una vera e propria disciplina avente le sue caratteristiche e peculiarità.

I tessuti embrionali vegetali, infatti, presentano caratteristiche del tutto particolari se paragonati a tessuti adulti; intanto, bisogna far notare come le cellule giovani hanno la caratteristica di essere le uniche in grado di dare sviluppo alla pianta adulta contenendo in se tutte le informazioni necessarie alla successiva differenziazione di apparati morfologicamente e funzionalmente diversi (apparato foliare, radicale, tessuto lignificato ecc). E’ noto e sperimentalmente dimostrato che un’unica cellula vegetale embrionale (detta cellula meristematica e meristema il tessuto che la contiene) può ricreare l’intero vegetale adulto. Inoltre, la cellula giovane si presenta priva di vacuolo (presente solo nella cellula adulta), ha un elevato rapporto nucleoplasmatico (cioè il contenuto di citoplasma rispetto al nucleo è molto più elevato che non nella cellula adulta), presenta un’elevata concentrazione di DNA e RNA, enzimi, protidi e tutti i fattori necessari alla crescita dell’individuo vegetale inclusi i fitormoni (cinetine, giberelline). Queste straordinarie caratteristiche portarono Pol Henry a concentrare la sua attenzione sulle supposte, e successivamente verificate, proprietà terapeutiche delle cellule embrionali vegetali. In altre parole, egli suppose che in qualche modo il tessuto giovanile vegetale racchiudesse in sé tutte le potenzialità della pianta più e meglio del tessuto adulto differenziato. Per usare le sue stesse parole: “la gemmoterapia è un sistema terapeutico basato sull’energia potenziale dei vegetali”.

Va detto subito che il ragionamento di Pol Henry fu di tipo analogico e prese le mosse da molto lontano. Dalla constatazione cioè che i vegetali per primi hanno colonizzato il pianeta  rendendo possibile lo sviluppo della vita sulla terraferma. In principio infatti l’atmosfera terrestre era assolutamente irrespirabile essendo composta prevalentemente di metano, ammoniaca, acqua ed idrogeno, tutti sottoposti a decomposizione ad opera delle radiazioni ultraviolette della luce solare non filtrata mancando ancora la stratosfera. Diversa la situazione nell’ambiente marino dove, come dimostrato da Miller in un celebre esperimento datato ormai 1935, a quelle condizioni di calore ed elettricità (numerosissimi i fulmini) spontaneamente si crearono i primi agglomerati di materiale organico tra cui aminoacidi e successivamente proteine. Così la vita si affacciò nell’ambiente acquatico marino sotto forma di protobatteri ed altre simili strutture primordiali viventi. L’evoluzione successiva portò alla formazione delle prime alghe unicellulari che rappresentarono la condizione sine qua non per lo sviluppo successivo della vita sulle terre emerse. Infatti, la capacità di produrre ossigeno per via fotosintetica, ha vieppiù arricchito l’acqua di ossigeno e quindi, data la bassa solubilità dell’ossigeno molecolare, l’atmosfera di questa molecola che, sotto la spinta delle radiazioni ultraviolette stesse, si trasformò in ozono e gettò pertanto le premesse per la formazione di quel potente filtro anti UV che è la stratosfera odierna (sempreché avremo il buonsenso di lasciarla un po’ in pace). Pertanto, se non fossero apparsi i vegetali la vita come oggi la conosciamo non sarebbe mai stata possibile.

Qualcosa di simile avvenne anche, molti milioni di anni dopo, sulla superficie terrestre, quando le prime piante a fusto come le Cordaites, oggi scomparse, mossero i primi passi di adattamento alla vita terrestre e, dopo molti passaggi evolutivi, alla comparsa delle prime gimnosperme, le conifere, e successivamente alla comparsa delle altre specie vegetali.

Tale e tanta è la nostra dipendenza dal regno vegetale che possiamo affermare senza tema di smentita che, mentre noi abbiamo bisogno delle piante per sopravvivere, le piante non hanno alcun bisogno di noi. Ancora oggi l’ossigeno necessario per la respirazione ci è fornito dalle piante e tra queste principalmente dagli alberi, che sono il più straordinario e potente trasformatore di energia fisica, la luce solare, in energia chimica, quella necessaria per tutte le sintesi di materiale organico a partire da materiale inorganico. Tutto questo è garantito dai processi fotosintetici che si svolgono nelle piante verdi grazie alla clorofilla (straordinariamente simile per altro per struttura all’eme dell’emoglobina del sangue, e alla cianocobalamina o vitamina B12, come dire il trasporto dell’energia solare è garantito sostanzialmente dalla stessa molecola). La nostra dipendenza dall’albero è testimoniata anche dal profondo significato religioso e simbolico che l’uomo gli ha dato. Il suo levarsi verso il cielo, abbinato al suo profondo radicamento, rappresenta il tratto d’unione tra mondo reale e mondo surreale, aldiquà ed aldilà, mondo essoterico e mondo esoterico, vita e morte. Gli esempi mitologici che testimoniano di quest’antichissima venerazione dell’uomo per l’albero non mancano e non fanno altro che rafforzare nel nostro immaginario l’importanza e la dipendenza che abbiamo nei confronti di questi vegetali.

Ben consapevole di tutto questo Pol Henry iniziò uno studio sistematico della foresta per cercare di trovare conferme della sua intuizione che nei tessuti giovanili vegetali in generale, ed in quelli degli alberi e degli arbusti più in particolare, dovessero nascondersi preziosissimi strumenti terapeutici. Ragionando in termini analogici, cioè cercando analogie tra il percorso evolutivo della vita sul pianeta e l’evoluzione delle foreste da un lato, e le modificazioni di ben precisi parametri ematici, in particolare delle modificazioni del quadro proteico del plasma,pensava si trovasse la chiave per la scoperta di rimedi capaci di agire in modo profondo e a livello cellulare in modo dolce e definitivo.

In altre parole, studiando l’evoluzione delle foreste dalla tundra settentrionale fino alla macchia mediterranea (resta esclusa dai suoi studi la foresta pluviale), catalogando le specie vegetali che abitano i diversi ambienti, mettendoli in relazione con le fasi evolutive della malattia, costruì un sistema terapeutico completo che per la prima volta nella storia poneva al centro non già le manifestazioni esteriori della malattia ma le sue modificazioni profonde; siamo negli anni ’50 quando Henry cominciò a pubblicare i suoi primi lavori attorno alla gemmoterapia e da allora ad oggi l’entusiasmo che si è sviluppato nei troppo ristretti circoli di cultori della medicina naturale in generale e vegetale in particolare non solo non è andato scemando ma si è accresciuto arricchendosi di nuove gemme, nuovi campi di utilizzo e nuove prospettive. Tutto ciò ci fa dire che la gemmoterapia rappresenta, a nostro giudizio, la nuova frontiera che l’uomo ha dinanzi a sé per progredire veramente nel campo della medicina. Come lo stesso Henry scrisse, infatti, “non si guarisce senza rispettare la nozione dell’evoluzione nella quale l’uomo attuale trova la sua origine nel comportamento della prima cellula, nel comportamento dei metazoi, nella vita marina degli invertebrati, dei pesci e poi nella vita all’aria dei vertebrati. Una struttura estremamente complessa come quella dell’uomo attuale è stata elaborata 600 milioni di anni fa in un ambiente marino di cui noi manteniamo il ricordo ionico”.  I più grandi trasformatori ambientali sono gli alberi, e, all’interno di essi, i loro tessuti giovanili cioè le cellule meristematiche. Allo stesso modo, se si vuole raggiungere una guarigione profonda a livello cellulare si devono utilizzare non già i tessuti adulti  differenziati ma le cellule giovani, contenenti tutta quell’energia potenziale della quale l’uomo ha bisogno per guarire veramente e non per sopprimere questo o quel sintomo. Non che Pol Henry disdegnasse completamente l’uso di tessuti adulti, semplicemente li considerava complementari ai tessuti giovanili secondo schemi rigorosi dei quali parleremo in seguito. Va detto a scanso di equivoci che la gemmoterapia non è solo una branca della fitoterapia ma una disciplina a se stante, con le sue regole e i suoi presupposti scientifici.

Cos’è un gemmoterapico

 

Come già detto i gemmoterapici sono derivati di tessuti giovanili vegetali in accrescimento, noti in biologia come meristemi; perciò, non solo le gemme delle piante entrano a far parte delle materie prime disponibili per il fitopreparatore che volesse cimentarsi della produzione di questi rimedi. Anche giovani radici, giovani getti, amenti entrano a pieno titolo nella gemmoterapia moderna. La caratteristica comune che deve avere la materia prima di partenza è comunque quella di appartenere ad un meristema con alcune significative eccezioni. Per questo, alcuni autori hanno suggerito di sostituire al termine gemmoterapia, troppo esclusivo non includendo derivati diversi dalle gemme e che inoltre si presta ad equivoci potendosi intendere per gemme le pietre preziose, con quello di meristemoterapia, più preciso e meno equivocabile. Tuttavia, a tutt’oggi, il termine più in voga è quello di gemmoterapia coniato per altro dallo stesso Pol Henry. Questi rimedi si ottengono a partire da materiale fresco, pulito e triturato; viene quindi messo a macerare per 4-5 giorni in contenitori impenetrabili alla luce in alcool a 90°. Successivamente si aggiunge unha miscela di acqua e glicerina in rapporto di 1:1 fino ad ottenere un prodotto finale che corrisponda a 20 volte il peso secco della materia prima di partenza. In altre parole, il rapporto droga solvente deve essere di 1:20. Questa nuova soluzione deve macerare per altre 3 settimane dopodiché si procede a decantazione e poi filtrazione. Si spreme il residuo, si riunisce il prodotto della spremitura con quello della filtrazione e si lascia il tutto a riposo per altre 48 ore. La soluzione così ottenuta è il macerato glicerico di base. Questo poi viene diluito alla prima decimale per tutti i gemmoderivati con la sola eccezione di Viscum album che è diluito alla prima centesimale.

A questo punto il gemmoderivato è pronto per il suo utilizzo e costituisce il prodotto di base nel sistema terapeutico di Pol Henry.

Nei prossimi articoli tratteremo in dettaglio la gemmoterapia dapprima secondo quella che  Henry stesso chiamò la sindrome biologica sperimentale e successivamente passeremo in rassegna altri sistemi e modalità d’impiego di questi preziosissimi rimedi.

(1-continua)

Paolo Ospici

Bibliografia:

F. Piterà “Compendio di gemmoterapia clinica – Meristemoterapia” De Ferrari editore

P. Henry “Gemmoterapia” Giuseppe Maria Ricchiuto editore