ALLE ORIGINI DELL’ ARTE FARMACEUTICA – TRASFORMAZIONE DI ALCUNE PIANTE PER ESSERE USATE COME FARMACI. Seconda Parte del Dott. Luigi Giannelli –

L’ Oxymele.
DIOSCORIDE.
Dioscoride. “Materia Medica” – Libro V° – Cap. 15° (vers. Mattioli).
– Oxymele ( latino: Acetum Mulsum, ovvero in italiano “Aceto Melato”), si fa in questo modo:
cinque hemine di Aceto [ 1, 35 litri circa], una libbra di Sale comune [330 gr circa], dieci hemine di Miele [2,70 litri circa], cinque sestari di Acqua [2,70 litri circa], e si fa bollire insieme fino a dieci bollori (10); come si è raffreddato, si mette nei suoi vasi. Si crede che bevuto dreni gli Umori densi e viscosi [ovvero il Freddo e Umido condensato, come il muco bronchiale patologico] e che giovi nella sciatica, nell’ epilessia, nei dolori articolari. Combatte il veleno dato dal morso della Vipera detta “Sepa” (11), gli effetti dell’Oppio e quelli del’Ixia (vedi nota 6).
Gargarizzato, giova nel mal di gola. -.
GALENO.
Mattioli ci fa sapere che secondo Galeno, nel IV° libro del “Arte di conservare la salute”, per fare l’ Oxymele ci sono tre modi, ma egli non usa il Sale, come dice Dioscoride:
– 1° – Per fare l’Oxymele si prendono una parte di Aceto e due di Miele schiumato (12) [parti in volume], e si fanno cuocere insieme a fuoco lento, finchè le qualità di entrambi non diventino una cosa sola, e così facendo non si sente più alcuna “crudità” dell’Aceto (13).
2° – Altro modo, più veloce: si prendono una parte di Miele e quattro parti di Acqua [sempre in volume], e si cuociono insieme a fuoco lento, finchè schiumando continuamente, finisca di fare la schiuma (14). Il che si fa più presto o più tardi, a seconda della bontà del Miele. L’ottimo è quello che fa poca schiuma [scarsa presenza di sostanze proteiche, potremmo dire oggi] e che presto si cuoce; il meno buono è quello che fa molta schiuma e si cuoce più tardi [maggior presenza di proteine, ma anche di Acqua!], dato che se ne va in schiuma un quarto di esso. Una volta che il Miele è schiumato, vi si aggiunge la metà del suo peso [stavolta si ragiona con il peso e non con il volume; perché è dichiarato] di Aceto e si cuoce finchè tutte le qualità siano unite, e che l’Aceto [ma ormai mescolato e cotto con il Miele], non abbia più nulla di crudo.
3° – Si fa anche mettendo tutte e tre le cose predette insieme a bollire: si prende una parte di Aceto, due di Miele, quattro di Acqua [non essendo dichiarato il peso, si intende in volume] e si cuociono insieme fino a consumarne la terza parte o la quarta [del volume totale], schiumando di continuo.-.
A questo punto Galeno, sempre di seguito, vuol dare un altro suggerimento, che secondo noi rappresenta un 4° metodo!
– Volendolo più potente, si mettono Aceto e Miele in parti uguali [quindi di più di Aceto].-
MESUE’
Mesuè (15), probabilmente (visto che Mattioli non cita la fonte esatta) tratto dall’ opera più importante che è giunta fino a noi, anche attraverso traduzioni edite tra il XVI° ed il XVII° secolo, il cosiddetto “Collectorio Universalissimo delle Opere Mediche”, ove nella prefazione lo stesso Mesuè ci fa sapere che le sue formule vengono da gli Autori più antichi. “Collectorio” ovvero raccolta delle opere.
– L’Oxymele si fa con l’Aceto, con l’Acqua e con il Miele. L’Acqua la si mette affinchè, cuocendo lungamente, si dissolvano le parti che potrebbero causare meteorismo (16) ed anche perché si possa far schiumare meglio ed infine la sostanza [la materia fondamentale] di questo medicamento divenga più sottile, si diffonda più agevolmente per tutti gli organi del corpo. Il Miele si mette affinchè possa espellere la Flemma [ l’aspetto umano-animale dell’Elemento Acqua, Fredda e Umida, ovvero le varie forme di mucosità e i liquidi organici in generale, sia fisiologici sia patologici].
Infatti, dall’Aceto e dal Miele mescolati insieme [vedi anche quello che dice Galeno dell’Aceto], vi nasce una terza virtù, che non si trova né nell’uno né nell’altro, quando sono separati. E questa virtù è efficacissima e certissima per alleggerire, fluidificare e dissolvere le superfluità/mucosità dense e viscose [la Flemma, Fredda e Umida perversa; superfluità poiché si tratta di materie che comunque stazionano sulle superfici di organi e mucose] cronicizzate, generate nello stomaco e nel fegato. Ma agisce anche su quelle “scorse” – greco: “rheuma” e “catarrho” – nelle articolazioni e che generano le febbri croniche, poiché le fluidifica e le matura [le fa uscire, quindi libera il corpo da esse. Si prepara con una parte di Aceto, due di Miele e quattro di Acqua [vedi il metodo 3° di Galeno]; si cuociono prima l’Acqua con il Miele, finchè non cessi la schiuma, poi si aggiunge l’ Aceto e si fa bollire ancora, togliendo la schiuma se si presenta ancora. Se ne somministrano da una fino a tre once (da 27 gr circa a 80 gr circa).-.
Altri prodotti fatti con l’Aceto.
L’ Oxalme o “Salamoia Acetosa”.
Dioscoride la tratta subito dopo l’Oxymele, sempre nel V° Libro della “Materia Medica”, Cap. 16° (vers. Mattioli).
La descriviamo in parte, poiché, già ai tempi del Mattioli, era in disuso. Quindi la ricordiamo per amore di Storia!
– Se ne fa lavanda contro le ulcerazioni corrosive e contro quelle putrescenti, nei morsi dei Cani [rischio di rabbia! Rabbia malattia infettiva]. Ristagna le emorragie causate dagli interventi chirurgici che si fanno per togliere i calcoli dalla vescica [orinaria] , schizzandola subito, calda, nella ferita. Riduce il prolasso anale, quando il retto esce fuori. Se ne fanno clisteri nella diarrea/dissenteria, soprattutto quando la mucosa intestinale [del colon] è ulcerata, con ulcerazioni corrosive., ma occorre fare subito dopo un clistere di Latte. Gargarizzata, uccide le Sanguisughe che sono state inavvertitamente bevute e che si sono attaccate alla gola [un tempo era facile che le Sanguisughe colonizzassero cisterne e altre raccolte di acqua da bere], ripulisce dalla forfora e dalle ulcerazioni purulente della cute del cranio.-
Dioscoride non dà le dosi e le tecniche di preparazione; in pratica, comunque si tratta di una miscela di Sale ed Aceto o anche di Acqua di Mare, bollita con Aceto finchè la Salamoia diviene concentrata in modo da rendersi conservabile nel tempo.
Il Thimoxalme.
Anche questa è descritta di seguito all’ Oxalme, nel Cap. 17° ( vers. Mattioli) del V° Libro dell’opera citata:
– il Thimoxalme era in uso dagli antichi [antichi per Dioscoride! Figuriamoci per noi!], per darne a coloro che sono deboli di stomaco, tre o quattro bicchieri, annacquata con Acqua calda ed anche nei dolori articolari e nel meteorismo. Purga gli Umori densi e neri [quindi Flemma/Acqua unita a Malinconia/Bile nera/Terra perverse e concomitanti]. Si prepara in questo modo:
si prende un acetabolo (volume di circa 300 ml) di Timo triturato, altrettanto di Sale, poi di Ruta, di Menta Pulegio, di Polenta [polenta fatta con farina di Grano o di Farro] di ciascuno un pochetto [dice proprio così! Si fa ad occhio…] e si mette tutto insieme in un vaso e vi si versano sopra tre sestari di Acqua (circa 160 ml), tre ciati (circa 145 ml) di Aceto, e si copre il vaso con una tela e si pone [all’esterno] al cielo sereno.>>
Dioscoride non dice altro, e non si capisce se i liquidi messi sono caldi o se si fa cuocere o meno. Evidentemente era preparazione poco usata, anche ai suoi tempi…
L’ Aceto Scillino.
Descritto, sempre di seguito, Cap. 18° ( vers. Mattioli) del V° Libro, ancora nella “Materia Medica” di Dioscoride.
Dal Medioevo in poi, fu anche chiamato, fin quando fu preparato, quasi in tempi moderni, “Aceto Scillitico”.
Lo rammentiamo solamente, poiché la Scilla, anzi le Scille, contengono scillareni, sostanze di natura digitalica, quindi molto poco maneggevoli, per la mentalità anche medica e rigorosa, di oggi.
Certo la Scilla Rossa (Drimia o Urginea maritima, var. rubra), è praticamente solo tossica ed è stata usata come veleno per i Topi. Mentre la Bianca (Urginea maritima), è stata usata come cardiotonico fin quasi alla metà del XX° secolo.

Per Dioscoride agisce in molte affezioni anche diverse da quelle cardiache, come le mucosità tenaci (contiene infatti anche materie solforate analoghe a quelle del genere Allium – che non sono velenose! C’è l’Aglio, la Cipolla, il Porro, lo Scalogno), sulle malattie purulente, per i deboli di stomaco ed in particolare giova: – ai Melanconici, alle vertigini e per i mentecatti [nella traduzione del Mattioli], nei calcoli vescicali, nelle crisi isteriche, alla milza ingrossata [produttrice di cattiva Malinconia] e nella sciatica. Rafforza i deboli, dà energia ai corpi, dà buon colorito…….- ed infine dice che – fa bene ad ogni cosa – ! Però non va dato nel mal di testa e nelle affezioni dei nervi…
Si preparava solo con Scilla bianca, si faceva il bulbo a fettine, si faceva essiccare ed una volta essiccata, se ne prendeva una libbra (circa 330 gr) e si faceva macerare in dodici sestari (circa 6 litri e mezzo) di Aceto, (buono, dice Dioscoride, cioè ad elevato tenore di acido acetico), per sette giorni al Sole, in un recipiente ben chiuso. Poi si prendono i bulbi macerati e si spremono con le mani (meglio di no! Chi scrive, anni fa, affettò dei bulbi di Scilla ed ebbe una gravissima reazione di intolleranza; magari dopo essiccata e macerata in Aceto e poi con il Sole, perde buona parte di questa potenza irritante…); poi si riuniscono i liquidi e si filtrano bene. Dioscoride ci fa sapere anche che c’è chi la fa con solo cinque sestari (2,7 litri) di Aceto, quindi il prodotto viene più concentrato, altri la fanno con parti uguali in peso di bulbo di Scilla essiccato e Aceto e li fanno macerare sei mesi. Quest’ultimo preparato è quello più potente per fluidificare e alleggerire le mucosità Flemmatiche perverse. Ma, secondo noi, ancora meno maneggevole e molto pericoloso, ai tempi nostri!
Rimaniamo sempre affascinati dalla “verve” ancora brillantissima degli antichi Maestri.
Vogliamo continuare a provare a trasmettere ai Colleghi le nostre emozioni, mentre riscopriamo la loro ineguagliata sapienza e sottigliezza di pensiero.

TRATTO DALLA RIVISTA “FARMACIA NEWS”
ARGOMENTO: STORIA DELLA FARMACIA-SPEZIERIA

ALLE ORIGINI DELL’ ARTE FARMACEUTICA – TRASFORMAZIONE DI ALCUNE PIANTE PER ESSERE USATE COME FARMACI. – Prima Parte – del Dott. Luigi Giannelli

Ci piace rievocare l’ amato Maestro Dioscoride di Anazarba, medico militare nelle legioni comandate dal futuro Augusto Vespasiano, al tempo del Principato di Nerone (che, al di là dei suoi evidenti eccessi e perversità, fu amato dal popolo; e finchè rimase sotto la guida del suo Maestro Seneca, fu anche un buon Principe; poi Nerone lo fece ammazzare – cioè lo fece suicidare – diventò diverso, con tutte le conseguenze del caso…….).
Stavolta siamo stati colpiti da una droga particolare, usata nell’antichità sia come medicamento in sé, sia come “eccipiente attivo”, comune, facile da trovare, di facile gestione: l’ Aceto!
Naturalmente era usato comunemente come ingrediente alimentare, come oggi.
Oltre a Dioscoride consulteremo anche altri grandi Maestri, come Galeno.
Poi vedremo due o tre facili preparazioni (antiche!) a base di Aceto.
L’ACETO .
Ma vediamo cosa ci racconta il nostro medico legionario:
Pedanio/Pedacio Dioscoride di Anazarba, I° sec. d.C. (40 circa – 90 circa d.C.) – “Materia Medica” – Libro V° – Cap. 14° (vers. Mattioli).
– L’Aceto raffredda ed è astringente, giova allo stomaco, dà appetito, blocca le emorragie, in qualunque parte del corpo avvengano, sia bevuto sia sedendocisi dentro.
Cotto nei cibi, giova nella diarrea, e messo sulle ferite sanguinanti, ristagna il sanguinamento, applicato con Lana “succida” [“succida” significa “appena tosata” – “sub caedo” = dopo/sotto l’azione del taglio”, grezza, “sudicia”, non privata della lanolina, diremmo oggi. n.d.A.] oppure con una Spugna, sana le infiammazioni locali; fa rientrare l’intestino prolassato che è uscito dall’ano e del pari agisce sul prolasso dell’utero nelle donne. Blocca le emissioni purulente che escono dalle gengive ed anche le loro emorragie. Giova nelle ulcerazioni che distruggono i tessuti, nelle piaghe Herpetiche [“Fuoco Sacro”], nella scabbia, nell’impetigine (1), nelle unghie incarnite, nelle ulcere corrosive, al massimo grado se si mescola con medicamenti specifici per quel male.
Lavandocisi di continua sana le ulcerazioni che corrodono e serpeggiano sulla superficie del corpo.
Un pediluvio caldo, fatto con Aceto e Zolfo, giova nella gotta.
Fattone un empiastro con Miele e applicato, dissolve i lividi.
Si mette, mescolato con Olio Rosato (2), con la Lana “succida” o con Spugna, sulla testa, per il bruciore della testa stessa [si suppone una forma di dermatite; ma potrebbe essere anche il mal di testa!].
Il vapore dell’Aceto bollente giova agli idropici (3), alla sordità, ai sibili nelle orecchie; instillatovi dentro, uccide i vermi che vi si generano [si pensi: vermi nelle orecchie!].
Bagnandosi con Aceto tiepido, dissolve i “pani” (4); applicato con la Spugna, mitiga il prurito.
Scaldato e fattone un bagno [immaginiamo con Acqua!] giova nei morsi di quegli animali velenosi, che uccidono con la loro Freddezza; ma La Freddezza [l’Aceto è considerato Freddo dagli antichi], giova nello stesso modo anche nei morsi degli animali che producono un veleno Caldo.
Bevuto caldo e vomitato, giova contro tutti i veleni, al massimo grado contro l’Oppio (5), la Cicuta, il sangue coagulato nello stomaco, i Funghi velenosi, il Latte coagulato [il Latte un veleno!], l’Ixia (6), il Tasso (7), assunto con Sale.
Bevuto., fa uscire dalla gola le Sanguisughe che si fossero ingoiate; mitiga la tosse cronicizzata, ma irrita quella recente.
Si può bere utilmente caldo nelle crisi asmatiche; gargarizzato, giova nelle infiammazioni della gola; cura anche la “schiranzia” (8), ed al prolasso dell’ugola. Si tiene caldo in bocca per il mal di denti.>>.
Ma vogliamo completare la definizione della droga, che ci accorgiamo essere molto importante, nel mondo antico.
A questo punto non ci resta che far parlare anche il sommo dei Maestri di epoca romana-imperiale, Galeno, detto Claudio Galeno, vissuto nel II° sec. d.C.; fu medico e amico di Marco Aurelio e Lucio Vero, poi dovette occuparsi del figlio di Marco Aurelio, Commodo, e dopo la fine della dinastia degli Antonini – inaugurata da Adriano – anche di Settimio Severo. Visse a lungo, per l’epoca, superò sicuramente gli 80 anni, tra il 129 ed il 201 d.C. secondo alcuni autori, secondo altri visse fin oltre il 210 d.C.
L’ACETO SECONDO GALENO .
– da “Le Virtù dei semplici medicamenti” (semplici intesi come ingredienti singoli).
Dal I° Libro dell’opera:
– E’ composto di qualità contrarie, Calde cioè e Fredde, non è composto di parti simili, come il Latte [che infatti è composta dal Siero, definito come Caldo e dalla parte coagulabile, considerato Freddo e Flemmogeno/Acqua condensabile]>>.
Lo confermò anche nel VIII° libro dell’opera citata, così dicendo:
– Fu dimostrato nel I° Libro di questo commentario, che l’Aceto è composto di sostanza mista, una Calda ed una Fredda; ambedue però sottili e leggere; tuttavia la Fredda supera la Calda. Dissecca valorosamente, in modo che si considera tra quelle cose che sono Secche nel III° grado
[tra i più alti, al massimo si arriva al IV°!], intendo dire che è potentissimo per Disseccare.>>.
Quindi, dalla somma possiamo dire che l’Aceto è Freddo moderatamente, e Secco in grado elevato.
Da “La composizione dei medicamenti secondo i luoghi (= organi)”, Libro I°:
<< L’ Aceto, che si trova tra i medicamenti considerati incisivi/fluidificanti, oltre ad essere dissolvente, ha anche la specifica Virtù di ricacciare in dentro; come medicamento lo si usa più per la sua parte Fredda, che per quella Calda; quella Fredda è anche molto sottile e leggera -. Ancora dal IV° Libro del “Le Virtù dei semplici medicamenti”: - La sua Freddezza che nasce dall’Aceto, tanto è potente quanto è leggera e sottile. Ma vi si trova anche un certo Calore acre, che tuttavia non basta a superare la Freddezza, che nasce dalla sua Acidità, ma è bastante a renderla penetrante. Molto più facilmente penetra il Calore della Freddezza, per questo è più adatto ogni succo acre [acredine = affine alla piccantezza, all’ardore igneo] a penetrare per i meati che appaiono sui corpi, di quelli acidi [quindi Freddi e Secchi]. Il Calore, dunque, con l’acredine sua, precede [anche se di grado inferiore all’acidità], penetra, apre la strada; il Freddo dell’ acidità, gli viene dietro. Questi eventi dovrebbero far dubitare di poter dimostrare che l’Aceto sia del tutto Freddo, anche se la presenza della parte di acredine ardente, non dimostra che sia del tutto Caldo. Quindi: la Freddezza che viene a seguito del Calore, nasconde il Calore causato dal precedere dell’acredine, non solamente lo nasconde occupando l’area dove agisce il Calore, ma alla fine, del tutto lo spegne, di modo che il senso di Freddezza è molto maggiore di quello di Calore.>>.
Il commentatore/traduttore, Per Andrea Mattioli, medico del XVI° secolo che ci ha reso, oltre alle sue considerazioni anche i suoi punti di vista – comunque coerenti quelli antichi – la possibilità di conoscere l’antico sapere. In questo caso, conclude: << Da questo è chiaro che l’Aceto contiene in sé qualità diverse e contrarie; partecipa nondimeno molto più del Freddo che del Calore. A ciò ci aveva diligentemente avvertito Dioscoride, facendoci sapere che l’Aceto è Freddo, tenendo conto che la Freddezza è la sua qualità dominante. Bisogna tuttavia tenere conto che l’Aceto è tanto più Caldo, quanto più è vecchio e più mordente. Ne è testimone sempre Galeno nel suo “Le virtù dei semplici medicamenti”, Libro XI° e nel “La composizione dei medicamenti secondo i luoghi/organi”, Libro III°, che il Vino, l’Aceto, il Miele, l’Olio ed il Grasso [animale], tanto più sono Caldi, quanto più sono vecchi. Quindi si ritrova che l’Aceto molto invecchiato, è così fortemente acre, da divenire più Caldo che Freddo o perlomeno equilibrato tra le due qualità contrarie. -. Considerazioni odierne. Interessante la modifica nel tempo di alcune materie – considerate complesse, pur nella loro “singolarità” – nel corso del tempo; Mattioli parla di “invecchiamento”. L’Aceto invecchiando perde sicuramente l’acidità, visto che l’acido acetico è molto volatile, quindi anche ben chiuso, potrà perdere almeno in parte la Freddezza dovuta all’acidità stessa. Il Vino da invecchiare, ieri come oggi, deve essere di grado alcoolico elevato. I Vini a lunga conservazione, prodotti nell’antichità, avevano certamente una gradazione alcolica elevata (superiore ai 15-16 gradi alcolici e anche più, grazie all’attività di specie di Saccaromyces, capaci di sopravvivere e quindi fermentare, a gradi alcolici che possono arrivare fino a 18°! ), quindi in grado di mantenere una condizione ottimale per l’invecchiamento; ma comunque l’invecchiamento del Vino provoca in esso importanti modificazioni, grado alcolico a parte, nel colore, nella presenza di tannini, di zuccheri, di antocianosidi, ed altre sostanze. Certo, molti Vini rossi, nel lungo invecchiamento modificano o perdono il colore, cambiano il sapore, la digeribilità. La fermentazione malo-lattica trasforma l’acido malico, più aspro in acido lattico più dolce; i polifenoli polimerizzano, i tannini si legano agli antociani, e spesso precipitano, alcune sostanze, pur molto lentamente si ossidano, ecc. Il Vino diviene più corposo, l’aroma è meno acre e meno acido (anche se nei Vini di qualità questi gusti sono molto ridotti), il colore vira dal rosso quasi violaceo al rubino fino all’aranciato, ecc. Quindi, il Vino vecchio, per la mente antica, è ben più Caldo del Vino giovane. Il Miele nel tempo favorisce una parziale polimerizzazione degli zuccheri con formazione di polisaccaridi, il fruttosio dà luogo alla formazione di idrossimetilfurfurolo, sostanza che conferisce delle proprietà interessanti (anche se potenzialmente cancerogeno!), come quella di essere fluidificante del muco, ed altre azioni di degrado, come la perdita di enzimi e vitamine. Può aumentare l’aspetto acre del sapore, assumere un colore più scuro, il tutto dovuto alla progressiva ossidazione ed all’ aumento graduale dei derivati furanici (come il citato i.m.furfurolo, ma anche altri). Il Miele invecchiato assume un complesso di sapore e odore, che segnala un maggior grado di Calore, per la mentalità antica. Per finire, gli oli ed i grassi, in tempi e modi diversi, con il tempo subiscono i processi ossidativi, quindi di irrancidimento. Odore e sapore così modificati (per noi sgradevolmente), segnalano _ sempre per la mente antica – un considerevole aumento del Calore, ma anche della Secchezza. Quindi, Aceto a parte, Vino, Miele e Grasso, che freschi possono essere considerati tra il Calore Umido (Elemento Aria) ed il Calore Secco (Elemento Fuoco), da invecchiati sono molto più potentemente Caldi e Secchi (Fuoco). Certo è che gli oli e i grassi irranciditi non erano certo usati più nell’alimentazione, ma solo per uso esterno, poiché i derivati dell’ossidazione di oli e grassi hanno una discreta attività rubefacente. Anzi oli e grassi freschi sono Caldi e Umidi, quelli vecchi rancidi sono Caldi e Secchi, si passa dalla moderazione dell’Aria alla violenza del Fuoco! Prodotti complessi, derivati dall’ Aceto.

Decimo ragionamento “LE VIE REINTERATIVE ERBORISTICHE” seconda parte del Maestro Simone Iozzi

I PROCEDIMENTI DÌ BASE

IL DRENAGGIO
Rappresenta uno dei principali strumenti fisiologici atti alla detossicazione dell’organismo attraverso il coinvolgimento dei sistemi emuntori avverso la presenza di tossine organiche (endogene e/o esogene) presenti nei vari sostrati organici.

LA VIA CONNETIVALE
Il tessuto connettivo è uno dei quattro tessuti fondamentali dell’organismo, assieme a quello epiteliale, muscolare e nervoso, caratterizzato soprattutto dal fatto di essere costituito, oltre che da cellule, anche da sostanza intercellulare non vivente, che, come dice il nome, si trova tra le cellule separando le une dalle altre. Sostanza intercellulare costituita da una componente fibrosa distinguibile in fibre collagene, reticolari ed elastiche. Altra caratteristica del tessuto connettivo è di essere fornito di vasi e di nervi e di essere il vettore di essi agli altri tessuti poiché si trova in tutte le parti dell’organismo a costituirne l’impalcatura e il sostegno, ne forma lo strato sottostante a tutti gli epiteli di rivestimento (derma, cute, lamina propria delle mucose), avvolge gli organi, formando un involucro che li delimita dalle strutture vicine connettendole tra loro:
Penetra entro gli organi nella loro più intima compagine costituendone il così detto stroma non solo con il compito di sostenere le cellule parenchimali, cioè specifiche di ciascun organo, ma anche quello di recare ad esse i vasi ed i nervi; forma le fasce, le aponeurosi, i legamenti e i tendini, fa parte dell’imbottitura generale dell’organismo (tessuto sottocutaneo, grasso periviscerale, ecc); partecipando anche alla costituzione della parete degli organi cavi (vasi sanguigni, tubo intestinale, vie respiratorie, urinarie, ecc; infine va a formare strutture altamente specializzate come lo scheletro osseo, gli organi emopoietici, ecc.
Le funzioni del connettivo sono molteplici e non limitatamente a quella di “connettere” e sostenere le varie parti del corpo. Oltre ad una funzione meccanica svolta in varia natura da quasi tutte le varietà di connettivo, adempie un importante compito trofico, in quanto in esso decorrono i vasi sanguigni, si svolgono le reti capillari ed hanno inizio i vasi linfatici.
La sostanza fondamentale cui è composto; per le sue proprietà fisiochimiche, funziona da medium
tra gli scambi di sostanze nutritizie e di gas fra il sangue e le cellule, rappresentando
degli scambi delle sostanze nutritizie e dei gas tra il sangue e le cellule e rappresenta anche, per il suo alto potere di imbibizione, la grande riserva idrica dell’organismo giustificandone la definizione data dal Ruffini di tessuto trofoconnettivale.
Il tessuto connettivo inoltre ha una notevole importanza dal punto di vista protettivo, non solo perché avvolge e protegge i singoli organi, ma anche perché è in grado, in determinate circostanze, di costituire una barriera al progredire dei processi patologici, delimitandoli ed evidentemente incapsulandoli. Possiede quindi notevoli capacità rigenerative che li consentono di intervenire, in maniera preponderante anche nei processi riparativi e cicatriziali.
Fondamentale dunque è l’importanza del connettivo nei processi di difesa organica, sia in senso aspecifico che specifico poiché buona parte dei processi patologici, quelli di natura infiammatoria, si svolgono nel connettivo reagendo ad essi con le sue componenti cellulari di risposta attiva (fagocitosi e produzione di anticorpi specifici): quella della sostanza intercellulare (edema, aumentata permeabilità, iperemia arriva e passiva), dei vasi (edema, aumentata permeabilità, iperemia (attiva e passiva) e dei nervi (irritazione e dolore) che, nel loro insieme, rappresentano la risposta passiva.
Altra e non meno importante funzione del connettivo è quella di partecipare attivamente ai fenomeni metabolici, specie per ciò che riguarda l’immagazzinamento di sostanza nutritizie di riserva, come avviene nel caso delle cellule adipose.
Infine, tra le funzioni del tessuto connettivo può essere considerata anche quella emopoietica compartecipando alla produzione degli elementi figurati del sangue (nelle sue varietà mieloide e linfoide), identificandosi nela comune origine mesenchimale e il piano generale di organizzazione di tutti i connettivi.

Infatti tutte le varietà di tessuto connettivo hanno origine da un particolare tessuto embrionale, il mesenchima, derivato, a sua volta, in gran parte dal terzo foglietto germinativo, ossia dal mesoblasto. Anche l’endoblasto e l’ectoblasto partecipano tuttavia, seppure in modesta misura, alla formazione del mesenchima.

LA DEFLOGiSTICA
Rappresenta uno dei fondamentali atti difensivi definibili come la naturale risposta di un organismo vivente ad agenti o situazioni che provocano un danno in una sua qualsiasi sede.
L’infiammazione consiste in una serie di eventi biochimici e morfologici che coinvolgono attivamente i sistemi polimolecolari del plasma e dell’interstizio (sistemi di complemento, della coagulazione, delle kinine, della plasmina), elementi cellulari del sangue (globuli bianchi, piastrine), cellule di origine mesenchimale libere nei tessuti (mastociti, macrofagi, fibroblasti), e cellule organizzate in strutture (endotelio dei vasi sanguigni e linfatici, cellule muscolari lisce, cellule del reticolo e dei seni degli organi linfatici.
Senza entrare nel merito dei meccanismi di risposta infiammatoria (modificazioni vascolari, essudato, migrazione dei leucociti), questa rappresenta un fenomeno essenzialmente difensivo la cui finalità viene realizzata con meccanismi diretti quali la fagocitosi e pinocitosi e nella secrezione da parte dei granulociti, monoliti e macrofagi, e indiretti più complessi, possiamo dire come a lungo termine la flogosi provoca spesso fenomeni degenerativi e necrotici del tessuto comportando alterazioni funzionali di organi con complicazioni cliniche anche gravi.
Oltre a queste provoca anche conseguenze di ordine generale consistenti in alterazioni della crasi ematica, febbre, modificazioni cardiovascolari e metaboliche sistemiche a livello del plasma circolante, di immissione in circolo di mediatori, ecc. Eventi indotti e regolati da una serie di modificazioni biochimiche che coinvolgono il plasma, il connettivo interstiziale, le cellule del sangue e dei vasi, mediante la formazione di composti quali responsabili di modificazioni vascolari, dell’aumento della permeabilità, della chemiotassi, delle trasformazioni cellulari della fase istogena, della proliferazione di fibroblasti e vasi.
Sequenza molto complessa il cui meccanismo di scatenamento iniziale rimane uno dei grandi problemi ancora irrisolti. Esso viene definito in termini generici come danno al tessuto e segna l’inizio di una serie di modificazioni biochimiche a cascata in una rete di interreazioni che si regolano e s influenzano reciprocamente.
L’infiammazione consiste in una serie di eventi biochimici e morfologici che coinvolgono attivamente i sistemi polimolecolari del plasma e dell’interstizio (sistemi di complemento, della coagulazione, delle kinine, della plasmina), elementi cellulari del sangue (globuli bianchi, piastrine), cellule di origine mesenchimale libere nei tessuti (mastociti, macrofagi, fibroblasti), e cellule organizzate in strutture (endotelio dei vasi sanguigni e linfatici, cellule muscolari lisce, cellule del reticolo e dei seni degli organi linfatici.

LA DETOSSICANTE
Con in termine di detossicazione, nel suo significato più ampio, indica l’insieme delle operazioni di sistemi escretori atti ad allontanare le sostanze derivate dal ricambio organico, come scorie endogene, o esogene, introdotte occasionalmente con gli alimenti, farmaci o derivati batterici, e come questi si trovino a diverso livello è ormai dimostrato. Infatti, restando l’urina il più importante veicolo di escrezione per certi composti, altri possono essere eliminati con le feci, mentre per molti altri l’escrezione urinaria e fecale può essere preceduta da quella biliare e in certi casi, possono avere notevole importanza, quella polmonare. Non è da escludere infine l’eliminazione di alcune sostanze e loro scarti metabolici può avvenire tramite il sudore, i capelli e le unghie, come è anche nota l’escrezione attraverso la saliva e il latte. In ultimo c’è da aggiungere come alcune sostanze vengano poi escrete direttamente senza alcuna trasformazione, altre ancora la trasformazione da parte dell’organismo non richiede alcun intervento enzimatico, altre ancora lo sono ad opera della flora intestinale.
Oltre alla possibilità di ricorrere ai sistemi escretori in modo di influenzare le vie e i modi di eliminazione delle sostanze inquinanti, vanno tenuti in considerazione anche altri fattori quali età e il sesso come anche una certa importanza è da attribuirsi ai fattori ambientali, agli stati di stress,ai ritmi circadiani, ecc.

LA FEBBRILE
Nell’uomo il controllo della temperatura corporea non è che uno dei tanti atteggiamenti fisiologici atti a consentire il regolare svolgersi delle funzioni corporee in condizioni ambientali interne diverse, non solo riferito a quello delle parti periferiche dell’organismo ma a quella presente in profondità, ossia della testa e del tronco. Pertanto il controllo della temperatura corporea dipende da due modalità principali: a) dal calore prodotto dal metabolismo dei vari organi e tessuti, b) il calore disperso dalla maggior parte dalla superficie corporea.
Per questo lo stato febbrile, salvo eccezioni, deve essere considerato lo sforzo più franco di cui è capace l’organismo per eliminarne le cause tramite un’azione detossicante, tonificante e temperante di tutto il suo sistema adattivo di cui la febbre né rappresenta lo sforzo corporeo più franco.
“Per la cronaca, Sydenhan e Boerhave espressero, tempo addietro, il carattere depurativo della febbre come instrumentum naturae qui pertes a puris sacernat per il primo; effecti virae conatis avertere morter per il secondo. Latemendi insiste invece nella sua tendenza conservatrice del danno casuale, tuttavia non è il danno in sé, bensì la difesa avverso di esso: in linea di principio va rispettata e può rappresentare il barometro che annuncia la tempesta (però questa non si scongiura rompendo il barometro). Infine Ippocrate stesso giudicava più facile trattare qualunque patologia che non la cronica febbre”.
Con questo ultimo ragionamento termina la parte propedeutica, cioè l’acquisizione di una certa “forma mentis” per svolgere coerentemente (a mio personale giudizio) la nobile Arte dei semplici come sintesi di una più vasta esposizione. Comunque spero sia sufficientemente esaustiva
Ringraziandovi per l’attenzione. Simone Iozzi
PS. Per quanto riguarda la parte propriamente erboristica, quella applicativa, sto ancora lavorandoci sopra (cosa non facile). Comunque sempre a diposizione per eventuali ragguagli