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ALLE ORIGINI DELL’ ARTE FARMACEUTICA – TRASFORMAZIONE DI ALCUNE PIANTE PER ESSERE USATE COME FARMACI. Seconda Parte del Dott. Luigi Giannelli –

L’ Oxymele.
DIOSCORIDE.
Dioscoride. “Materia Medica” – Libro V° – Cap. 15° (vers. Mattioli).
– Oxymele ( latino: Acetum Mulsum, ovvero in italiano “Aceto Melato”), si fa in questo modo:
cinque hemine di Aceto [ 1, 35 litri circa], una libbra di Sale comune [330 gr circa], dieci hemine di Miele [2,70 litri circa], cinque sestari di Acqua [2,70 litri circa], e si fa bollire insieme fino a dieci bollori (10); come si è raffreddato, si mette nei suoi vasi. Si crede che bevuto dreni gli Umori densi e viscosi [ovvero il Freddo e Umido condensato, come il muco bronchiale patologico] e che giovi nella sciatica, nell’ epilessia, nei dolori articolari. Combatte il veleno dato dal morso della Vipera detta “Sepa” (11), gli effetti dell’Oppio e quelli del’Ixia (vedi nota 6).
Gargarizzato, giova nel mal di gola. -.
GALENO.
Mattioli ci fa sapere che secondo Galeno, nel IV° libro del “Arte di conservare la salute”, per fare l’ Oxymele ci sono tre modi, ma egli non usa il Sale, come dice Dioscoride:
– 1° – Per fare l’Oxymele si prendono una parte di Aceto e due di Miele schiumato (12) [parti in volume], e si fanno cuocere insieme a fuoco lento, finchè le qualità di entrambi non diventino una cosa sola, e così facendo non si sente più alcuna “crudità” dell’Aceto (13).
2° – Altro modo, più veloce: si prendono una parte di Miele e quattro parti di Acqua [sempre in volume], e si cuociono insieme a fuoco lento, finchè schiumando continuamente, finisca di fare la schiuma (14). Il che si fa più presto o più tardi, a seconda della bontà del Miele. L’ottimo è quello che fa poca schiuma [scarsa presenza di sostanze proteiche, potremmo dire oggi] e che presto si cuoce; il meno buono è quello che fa molta schiuma e si cuoce più tardi [maggior presenza di proteine, ma anche di Acqua!], dato che se ne va in schiuma un quarto di esso. Una volta che il Miele è schiumato, vi si aggiunge la metà del suo peso [stavolta si ragiona con il peso e non con il volume; perché è dichiarato] di Aceto e si cuoce finchè tutte le qualità siano unite, e che l’Aceto [ma ormai mescolato e cotto con il Miele], non abbia più nulla di crudo.
3° – Si fa anche mettendo tutte e tre le cose predette insieme a bollire: si prende una parte di Aceto, due di Miele, quattro di Acqua [non essendo dichiarato il peso, si intende in volume] e si cuociono insieme fino a consumarne la terza parte o la quarta [del volume totale], schiumando di continuo.-.
A questo punto Galeno, sempre di seguito, vuol dare un altro suggerimento, che secondo noi rappresenta un 4° metodo!
– Volendolo più potente, si mettono Aceto e Miele in parti uguali [quindi di più di Aceto].-
MESUE’
Mesuè (15), probabilmente (visto che Mattioli non cita la fonte esatta) tratto dall’ opera più importante che è giunta fino a noi, anche attraverso traduzioni edite tra il XVI° ed il XVII° secolo, il cosiddetto “Collectorio Universalissimo delle Opere Mediche”, ove nella prefazione lo stesso Mesuè ci fa sapere che le sue formule vengono da gli Autori più antichi. “Collectorio” ovvero raccolta delle opere.
– L’Oxymele si fa con l’Aceto, con l’Acqua e con il Miele. L’Acqua la si mette affinchè, cuocendo lungamente, si dissolvano le parti che potrebbero causare meteorismo (16) ed anche perché si possa far schiumare meglio ed infine la sostanza [la materia fondamentale] di questo medicamento divenga più sottile, si diffonda più agevolmente per tutti gli organi del corpo. Il Miele si mette affinchè possa espellere la Flemma [ l’aspetto umano-animale dell’Elemento Acqua, Fredda e Umida, ovvero le varie forme di mucosità e i liquidi organici in generale, sia fisiologici sia patologici].
Infatti, dall’Aceto e dal Miele mescolati insieme [vedi anche quello che dice Galeno dell’Aceto], vi nasce una terza virtù, che non si trova né nell’uno né nell’altro, quando sono separati. E questa virtù è efficacissima e certissima per alleggerire, fluidificare e dissolvere le superfluità/mucosità dense e viscose [la Flemma, Fredda e Umida perversa; superfluità poiché si tratta di materie che comunque stazionano sulle superfici di organi e mucose] cronicizzate, generate nello stomaco e nel fegato. Ma agisce anche su quelle “scorse” – greco: “rheuma” e “catarrho” – nelle articolazioni e che generano le febbri croniche, poiché le fluidifica e le matura [le fa uscire, quindi libera il corpo da esse. Si prepara con una parte di Aceto, due di Miele e quattro di Acqua [vedi il metodo 3° di Galeno]; si cuociono prima l’Acqua con il Miele, finchè non cessi la schiuma, poi si aggiunge l’ Aceto e si fa bollire ancora, togliendo la schiuma se si presenta ancora. Se ne somministrano da una fino a tre once (da 27 gr circa a 80 gr circa).-.
Altri prodotti fatti con l’Aceto.
L’ Oxalme o “Salamoia Acetosa”.
Dioscoride la tratta subito dopo l’Oxymele, sempre nel V° Libro della “Materia Medica”, Cap. 16° (vers. Mattioli).
La descriviamo in parte, poiché, già ai tempi del Mattioli, era in disuso. Quindi la ricordiamo per amore di Storia!
– Se ne fa lavanda contro le ulcerazioni corrosive e contro quelle putrescenti, nei morsi dei Cani [rischio di rabbia! Rabbia malattia infettiva]. Ristagna le emorragie causate dagli interventi chirurgici che si fanno per togliere i calcoli dalla vescica [orinaria] , schizzandola subito, calda, nella ferita. Riduce il prolasso anale, quando il retto esce fuori. Se ne fanno clisteri nella diarrea/dissenteria, soprattutto quando la mucosa intestinale [del colon] è ulcerata, con ulcerazioni corrosive., ma occorre fare subito dopo un clistere di Latte. Gargarizzata, uccide le Sanguisughe che sono state inavvertitamente bevute e che si sono attaccate alla gola [un tempo era facile che le Sanguisughe colonizzassero cisterne e altre raccolte di acqua da bere], ripulisce dalla forfora e dalle ulcerazioni purulente della cute del cranio.-
Dioscoride non dà le dosi e le tecniche di preparazione; in pratica, comunque si tratta di una miscela di Sale ed Aceto o anche di Acqua di Mare, bollita con Aceto finchè la Salamoia diviene concentrata in modo da rendersi conservabile nel tempo.
Il Thimoxalme.
Anche questa è descritta di seguito all’ Oxalme, nel Cap. 17° ( vers. Mattioli) del V° Libro dell’opera citata:
– il Thimoxalme era in uso dagli antichi [antichi per Dioscoride! Figuriamoci per noi!], per darne a coloro che sono deboli di stomaco, tre o quattro bicchieri, annacquata con Acqua calda ed anche nei dolori articolari e nel meteorismo. Purga gli Umori densi e neri [quindi Flemma/Acqua unita a Malinconia/Bile nera/Terra perverse e concomitanti]. Si prepara in questo modo:
si prende un acetabolo (volume di circa 300 ml) di Timo triturato, altrettanto di Sale, poi di Ruta, di Menta Pulegio, di Polenta [polenta fatta con farina di Grano o di Farro] di ciascuno un pochetto [dice proprio così! Si fa ad occhio…] e si mette tutto insieme in un vaso e vi si versano sopra tre sestari di Acqua (circa 160 ml), tre ciati (circa 145 ml) di Aceto, e si copre il vaso con una tela e si pone [all’esterno] al cielo sereno.>>
Dioscoride non dice altro, e non si capisce se i liquidi messi sono caldi o se si fa cuocere o meno. Evidentemente era preparazione poco usata, anche ai suoi tempi…
L’ Aceto Scillino.
Descritto, sempre di seguito, Cap. 18° ( vers. Mattioli) del V° Libro, ancora nella “Materia Medica” di Dioscoride.
Dal Medioevo in poi, fu anche chiamato, fin quando fu preparato, quasi in tempi moderni, “Aceto Scillitico”.
Lo rammentiamo solamente, poiché la Scilla, anzi le Scille, contengono scillareni, sostanze di natura digitalica, quindi molto poco maneggevoli, per la mentalità anche medica e rigorosa, di oggi.
Certo la Scilla Rossa (Drimia o Urginea maritima, var. rubra), è praticamente solo tossica ed è stata usata come veleno per i Topi. Mentre la Bianca (Urginea maritima), è stata usata come cardiotonico fin quasi alla metà del XX° secolo.

Per Dioscoride agisce in molte affezioni anche diverse da quelle cardiache, come le mucosità tenaci (contiene infatti anche materie solforate analoghe a quelle del genere Allium – che non sono velenose! C’è l’Aglio, la Cipolla, il Porro, lo Scalogno), sulle malattie purulente, per i deboli di stomaco ed in particolare giova: – ai Melanconici, alle vertigini e per i mentecatti [nella traduzione del Mattioli], nei calcoli vescicali, nelle crisi isteriche, alla milza ingrossata [produttrice di cattiva Malinconia] e nella sciatica. Rafforza i deboli, dà energia ai corpi, dà buon colorito…….- ed infine dice che – fa bene ad ogni cosa – ! Però non va dato nel mal di testa e nelle affezioni dei nervi…
Si preparava solo con Scilla bianca, si faceva il bulbo a fettine, si faceva essiccare ed una volta essiccata, se ne prendeva una libbra (circa 330 gr) e si faceva macerare in dodici sestari (circa 6 litri e mezzo) di Aceto, (buono, dice Dioscoride, cioè ad elevato tenore di acido acetico), per sette giorni al Sole, in un recipiente ben chiuso. Poi si prendono i bulbi macerati e si spremono con le mani (meglio di no! Chi scrive, anni fa, affettò dei bulbi di Scilla ed ebbe una gravissima reazione di intolleranza; magari dopo essiccata e macerata in Aceto e poi con il Sole, perde buona parte di questa potenza irritante…); poi si riuniscono i liquidi e si filtrano bene. Dioscoride ci fa sapere anche che c’è chi la fa con solo cinque sestari (2,7 litri) di Aceto, quindi il prodotto viene più concentrato, altri la fanno con parti uguali in peso di bulbo di Scilla essiccato e Aceto e li fanno macerare sei mesi. Quest’ultimo preparato è quello più potente per fluidificare e alleggerire le mucosità Flemmatiche perverse. Ma, secondo noi, ancora meno maneggevole e molto pericoloso, ai tempi nostri!
Rimaniamo sempre affascinati dalla “verve” ancora brillantissima degli antichi Maestri.
Vogliamo continuare a provare a trasmettere ai Colleghi le nostre emozioni, mentre riscopriamo la loro ineguagliata sapienza e sottigliezza di pensiero.

TRATTO DALLA RIVISTA “FARMACIA NEWS”
ARGOMENTO: STORIA DELLA FARMACIA-SPEZIERIA

ALLE ORIGINI DELL’ ARTE FARMACEUTICA – TRASFORMAZIONE DI ALCUNE PIANTE PER ESSERE USATE COME FARMACI. – Prima Parte – del Dott. Luigi Giannelli

Ci piace rievocare l’ amato Maestro Dioscoride di Anazarba, medico militare nelle legioni comandate dal futuro Augusto Vespasiano, al tempo del Principato di Nerone (che, al di là dei suoi evidenti eccessi e perversità, fu amato dal popolo; e finchè rimase sotto la guida del suo Maestro Seneca, fu anche un buon Principe; poi Nerone lo fece ammazzare – cioè lo fece suicidare – diventò diverso, con tutte le conseguenze del caso…….).
Stavolta siamo stati colpiti da una droga particolare, usata nell’antichità sia come medicamento in sé, sia come “eccipiente attivo”, comune, facile da trovare, di facile gestione: l’ Aceto!
Naturalmente era usato comunemente come ingrediente alimentare, come oggi.
Oltre a Dioscoride consulteremo anche altri grandi Maestri, come Galeno.
Poi vedremo due o tre facili preparazioni (antiche!) a base di Aceto.
L’ACETO .
Ma vediamo cosa ci racconta il nostro medico legionario:
Pedanio/Pedacio Dioscoride di Anazarba, I° sec. d.C. (40 circa – 90 circa d.C.) – “Materia Medica” – Libro V° – Cap. 14° (vers. Mattioli).
– L’Aceto raffredda ed è astringente, giova allo stomaco, dà appetito, blocca le emorragie, in qualunque parte del corpo avvengano, sia bevuto sia sedendocisi dentro.
Cotto nei cibi, giova nella diarrea, e messo sulle ferite sanguinanti, ristagna il sanguinamento, applicato con Lana “succida” [“succida” significa “appena tosata” – “sub caedo” = dopo/sotto l’azione del taglio”, grezza, “sudicia”, non privata della lanolina, diremmo oggi. n.d.A.] oppure con una Spugna, sana le infiammazioni locali; fa rientrare l’intestino prolassato che è uscito dall’ano e del pari agisce sul prolasso dell’utero nelle donne. Blocca le emissioni purulente che escono dalle gengive ed anche le loro emorragie. Giova nelle ulcerazioni che distruggono i tessuti, nelle piaghe Herpetiche [“Fuoco Sacro”], nella scabbia, nell’impetigine (1), nelle unghie incarnite, nelle ulcere corrosive, al massimo grado se si mescola con medicamenti specifici per quel male.
Lavandocisi di continua sana le ulcerazioni che corrodono e serpeggiano sulla superficie del corpo.
Un pediluvio caldo, fatto con Aceto e Zolfo, giova nella gotta.
Fattone un empiastro con Miele e applicato, dissolve i lividi.
Si mette, mescolato con Olio Rosato (2), con la Lana “succida” o con Spugna, sulla testa, per il bruciore della testa stessa [si suppone una forma di dermatite; ma potrebbe essere anche il mal di testa!].
Il vapore dell’Aceto bollente giova agli idropici (3), alla sordità, ai sibili nelle orecchie; instillatovi dentro, uccide i vermi che vi si generano [si pensi: vermi nelle orecchie!].
Bagnandosi con Aceto tiepido, dissolve i “pani” (4); applicato con la Spugna, mitiga il prurito.
Scaldato e fattone un bagno [immaginiamo con Acqua!] giova nei morsi di quegli animali velenosi, che uccidono con la loro Freddezza; ma La Freddezza [l’Aceto è considerato Freddo dagli antichi], giova nello stesso modo anche nei morsi degli animali che producono un veleno Caldo.
Bevuto caldo e vomitato, giova contro tutti i veleni, al massimo grado contro l’Oppio (5), la Cicuta, il sangue coagulato nello stomaco, i Funghi velenosi, il Latte coagulato [il Latte un veleno!], l’Ixia (6), il Tasso (7), assunto con Sale.
Bevuto., fa uscire dalla gola le Sanguisughe che si fossero ingoiate; mitiga la tosse cronicizzata, ma irrita quella recente.
Si può bere utilmente caldo nelle crisi asmatiche; gargarizzato, giova nelle infiammazioni della gola; cura anche la “schiranzia” (8), ed al prolasso dell’ugola. Si tiene caldo in bocca per il mal di denti.>>.
Ma vogliamo completare la definizione della droga, che ci accorgiamo essere molto importante, nel mondo antico.
A questo punto non ci resta che far parlare anche il sommo dei Maestri di epoca romana-imperiale, Galeno, detto Claudio Galeno, vissuto nel II° sec. d.C.; fu medico e amico di Marco Aurelio e Lucio Vero, poi dovette occuparsi del figlio di Marco Aurelio, Commodo, e dopo la fine della dinastia degli Antonini – inaugurata da Adriano – anche di Settimio Severo. Visse a lungo, per l’epoca, superò sicuramente gli 80 anni, tra il 129 ed il 201 d.C. secondo alcuni autori, secondo altri visse fin oltre il 210 d.C.
L’ACETO SECONDO GALENO .
– da “Le Virtù dei semplici medicamenti” (semplici intesi come ingredienti singoli).
Dal I° Libro dell’opera:
– E’ composto di qualità contrarie, Calde cioè e Fredde, non è composto di parti simili, come il Latte [che infatti è composta dal Siero, definito come Caldo e dalla parte coagulabile, considerato Freddo e Flemmogeno/Acqua condensabile]>>.
Lo confermò anche nel VIII° libro dell’opera citata, così dicendo:
– Fu dimostrato nel I° Libro di questo commentario, che l’Aceto è composto di sostanza mista, una Calda ed una Fredda; ambedue però sottili e leggere; tuttavia la Fredda supera la Calda. Dissecca valorosamente, in modo che si considera tra quelle cose che sono Secche nel III° grado
[tra i più alti, al massimo si arriva al IV°!], intendo dire che è potentissimo per Disseccare.>>.
Quindi, dalla somma possiamo dire che l’Aceto è Freddo moderatamente, e Secco in grado elevato.
Da “La composizione dei medicamenti secondo i luoghi (= organi)”, Libro I°:
<< L’ Aceto, che si trova tra i medicamenti considerati incisivi/fluidificanti, oltre ad essere dissolvente, ha anche la specifica Virtù di ricacciare in dentro; come medicamento lo si usa più per la sua parte Fredda, che per quella Calda; quella Fredda è anche molto sottile e leggera -. Ancora dal IV° Libro del “Le Virtù dei semplici medicamenti”: - La sua Freddezza che nasce dall’Aceto, tanto è potente quanto è leggera e sottile. Ma vi si trova anche un certo Calore acre, che tuttavia non basta a superare la Freddezza, che nasce dalla sua Acidità, ma è bastante a renderla penetrante. Molto più facilmente penetra il Calore della Freddezza, per questo è più adatto ogni succo acre [acredine = affine alla piccantezza, all’ardore igneo] a penetrare per i meati che appaiono sui corpi, di quelli acidi [quindi Freddi e Secchi]. Il Calore, dunque, con l’acredine sua, precede [anche se di grado inferiore all’acidità], penetra, apre la strada; il Freddo dell’ acidità, gli viene dietro. Questi eventi dovrebbero far dubitare di poter dimostrare che l’Aceto sia del tutto Freddo, anche se la presenza della parte di acredine ardente, non dimostra che sia del tutto Caldo. Quindi: la Freddezza che viene a seguito del Calore, nasconde il Calore causato dal precedere dell’acredine, non solamente lo nasconde occupando l’area dove agisce il Calore, ma alla fine, del tutto lo spegne, di modo che il senso di Freddezza è molto maggiore di quello di Calore.>>.
Il commentatore/traduttore, Per Andrea Mattioli, medico del XVI° secolo che ci ha reso, oltre alle sue considerazioni anche i suoi punti di vista – comunque coerenti quelli antichi – la possibilità di conoscere l’antico sapere. In questo caso, conclude: << Da questo è chiaro che l’Aceto contiene in sé qualità diverse e contrarie; partecipa nondimeno molto più del Freddo che del Calore. A ciò ci aveva diligentemente avvertito Dioscoride, facendoci sapere che l’Aceto è Freddo, tenendo conto che la Freddezza è la sua qualità dominante. Bisogna tuttavia tenere conto che l’Aceto è tanto più Caldo, quanto più è vecchio e più mordente. Ne è testimone sempre Galeno nel suo “Le virtù dei semplici medicamenti”, Libro XI° e nel “La composizione dei medicamenti secondo i luoghi/organi”, Libro III°, che il Vino, l’Aceto, il Miele, l’Olio ed il Grasso [animale], tanto più sono Caldi, quanto più sono vecchi. Quindi si ritrova che l’Aceto molto invecchiato, è così fortemente acre, da divenire più Caldo che Freddo o perlomeno equilibrato tra le due qualità contrarie. -. Considerazioni odierne. Interessante la modifica nel tempo di alcune materie – considerate complesse, pur nella loro “singolarità” – nel corso del tempo; Mattioli parla di “invecchiamento”. L’Aceto invecchiando perde sicuramente l’acidità, visto che l’acido acetico è molto volatile, quindi anche ben chiuso, potrà perdere almeno in parte la Freddezza dovuta all’acidità stessa. Il Vino da invecchiare, ieri come oggi, deve essere di grado alcoolico elevato. I Vini a lunga conservazione, prodotti nell’antichità, avevano certamente una gradazione alcolica elevata (superiore ai 15-16 gradi alcolici e anche più, grazie all’attività di specie di Saccaromyces, capaci di sopravvivere e quindi fermentare, a gradi alcolici che possono arrivare fino a 18°! ), quindi in grado di mantenere una condizione ottimale per l’invecchiamento; ma comunque l’invecchiamento del Vino provoca in esso importanti modificazioni, grado alcolico a parte, nel colore, nella presenza di tannini, di zuccheri, di antocianosidi, ed altre sostanze. Certo, molti Vini rossi, nel lungo invecchiamento modificano o perdono il colore, cambiano il sapore, la digeribilità. La fermentazione malo-lattica trasforma l’acido malico, più aspro in acido lattico più dolce; i polifenoli polimerizzano, i tannini si legano agli antociani, e spesso precipitano, alcune sostanze, pur molto lentamente si ossidano, ecc. Il Vino diviene più corposo, l’aroma è meno acre e meno acido (anche se nei Vini di qualità questi gusti sono molto ridotti), il colore vira dal rosso quasi violaceo al rubino fino all’aranciato, ecc. Quindi, il Vino vecchio, per la mente antica, è ben più Caldo del Vino giovane. Il Miele nel tempo favorisce una parziale polimerizzazione degli zuccheri con formazione di polisaccaridi, il fruttosio dà luogo alla formazione di idrossimetilfurfurolo, sostanza che conferisce delle proprietà interessanti (anche se potenzialmente cancerogeno!), come quella di essere fluidificante del muco, ed altre azioni di degrado, come la perdita di enzimi e vitamine. Può aumentare l’aspetto acre del sapore, assumere un colore più scuro, il tutto dovuto alla progressiva ossidazione ed all’ aumento graduale dei derivati furanici (come il citato i.m.furfurolo, ma anche altri). Il Miele invecchiato assume un complesso di sapore e odore, che segnala un maggior grado di Calore, per la mentalità antica. Per finire, gli oli ed i grassi, in tempi e modi diversi, con il tempo subiscono i processi ossidativi, quindi di irrancidimento. Odore e sapore così modificati (per noi sgradevolmente), segnalano _ sempre per la mente antica – un considerevole aumento del Calore, ma anche della Secchezza. Quindi, Aceto a parte, Vino, Miele e Grasso, che freschi possono essere considerati tra il Calore Umido (Elemento Aria) ed il Calore Secco (Elemento Fuoco), da invecchiati sono molto più potentemente Caldi e Secchi (Fuoco). Certo è che gli oli e i grassi irranciditi non erano certo usati più nell’alimentazione, ma solo per uso esterno, poiché i derivati dell’ossidazione di oli e grassi hanno una discreta attività rubefacente. Anzi oli e grassi freschi sono Caldi e Umidi, quelli vecchi rancidi sono Caldi e Secchi, si passa dalla moderazione dell’Aria alla violenza del Fuoco! Prodotti complessi, derivati dall’ Aceto.

Decimo ragionamento “LE VIE REINTERATIVE ERBORISTICHE” seconda parte del Maestro Simone Iozzi

I PROCEDIMENTI DÌ BASE

IL DRENAGGIO
Rappresenta uno dei principali strumenti fisiologici atti alla detossicazione dell’organismo attraverso il coinvolgimento dei sistemi emuntori avverso la presenza di tossine organiche (endogene e/o esogene) presenti nei vari sostrati organici.

LA VIA CONNETIVALE
Il tessuto connettivo è uno dei quattro tessuti fondamentali dell’organismo, assieme a quello epiteliale, muscolare e nervoso, caratterizzato soprattutto dal fatto di essere costituito, oltre che da cellule, anche da sostanza intercellulare non vivente, che, come dice il nome, si trova tra le cellule separando le une dalle altre. Sostanza intercellulare costituita da una componente fibrosa distinguibile in fibre collagene, reticolari ed elastiche. Altra caratteristica del tessuto connettivo è di essere fornito di vasi e di nervi e di essere il vettore di essi agli altri tessuti poiché si trova in tutte le parti dell’organismo a costituirne l’impalcatura e il sostegno, ne forma lo strato sottostante a tutti gli epiteli di rivestimento (derma, cute, lamina propria delle mucose), avvolge gli organi, formando un involucro che li delimita dalle strutture vicine connettendole tra loro:
Penetra entro gli organi nella loro più intima compagine costituendone il così detto stroma non solo con il compito di sostenere le cellule parenchimali, cioè specifiche di ciascun organo, ma anche quello di recare ad esse i vasi ed i nervi; forma le fasce, le aponeurosi, i legamenti e i tendini, fa parte dell’imbottitura generale dell’organismo (tessuto sottocutaneo, grasso periviscerale, ecc); partecipando anche alla costituzione della parete degli organi cavi (vasi sanguigni, tubo intestinale, vie respiratorie, urinarie, ecc; infine va a formare strutture altamente specializzate come lo scheletro osseo, gli organi emopoietici, ecc.
Le funzioni del connettivo sono molteplici e non limitatamente a quella di “connettere” e sostenere le varie parti del corpo. Oltre ad una funzione meccanica svolta in varia natura da quasi tutte le varietà di connettivo, adempie un importante compito trofico, in quanto in esso decorrono i vasi sanguigni, si svolgono le reti capillari ed hanno inizio i vasi linfatici.
La sostanza fondamentale cui è composto; per le sue proprietà fisiochimiche, funziona da medium
tra gli scambi di sostanze nutritizie e di gas fra il sangue e le cellule, rappresentando
degli scambi delle sostanze nutritizie e dei gas tra il sangue e le cellule e rappresenta anche, per il suo alto potere di imbibizione, la grande riserva idrica dell’organismo giustificandone la definizione data dal Ruffini di tessuto trofoconnettivale.
Il tessuto connettivo inoltre ha una notevole importanza dal punto di vista protettivo, non solo perché avvolge e protegge i singoli organi, ma anche perché è in grado, in determinate circostanze, di costituire una barriera al progredire dei processi patologici, delimitandoli ed evidentemente incapsulandoli. Possiede quindi notevoli capacità rigenerative che li consentono di intervenire, in maniera preponderante anche nei processi riparativi e cicatriziali.
Fondamentale dunque è l’importanza del connettivo nei processi di difesa organica, sia in senso aspecifico che specifico poiché buona parte dei processi patologici, quelli di natura infiammatoria, si svolgono nel connettivo reagendo ad essi con le sue componenti cellulari di risposta attiva (fagocitosi e produzione di anticorpi specifici): quella della sostanza intercellulare (edema, aumentata permeabilità, iperemia arriva e passiva), dei vasi (edema, aumentata permeabilità, iperemia (attiva e passiva) e dei nervi (irritazione e dolore) che, nel loro insieme, rappresentano la risposta passiva.
Altra e non meno importante funzione del connettivo è quella di partecipare attivamente ai fenomeni metabolici, specie per ciò che riguarda l’immagazzinamento di sostanza nutritizie di riserva, come avviene nel caso delle cellule adipose.
Infine, tra le funzioni del tessuto connettivo può essere considerata anche quella emopoietica compartecipando alla produzione degli elementi figurati del sangue (nelle sue varietà mieloide e linfoide), identificandosi nela comune origine mesenchimale e il piano generale di organizzazione di tutti i connettivi.

Infatti tutte le varietà di tessuto connettivo hanno origine da un particolare tessuto embrionale, il mesenchima, derivato, a sua volta, in gran parte dal terzo foglietto germinativo, ossia dal mesoblasto. Anche l’endoblasto e l’ectoblasto partecipano tuttavia, seppure in modesta misura, alla formazione del mesenchima.

LA DEFLOGiSTICA
Rappresenta uno dei fondamentali atti difensivi definibili come la naturale risposta di un organismo vivente ad agenti o situazioni che provocano un danno in una sua qualsiasi sede.
L’infiammazione consiste in una serie di eventi biochimici e morfologici che coinvolgono attivamente i sistemi polimolecolari del plasma e dell’interstizio (sistemi di complemento, della coagulazione, delle kinine, della plasmina), elementi cellulari del sangue (globuli bianchi, piastrine), cellule di origine mesenchimale libere nei tessuti (mastociti, macrofagi, fibroblasti), e cellule organizzate in strutture (endotelio dei vasi sanguigni e linfatici, cellule muscolari lisce, cellule del reticolo e dei seni degli organi linfatici.
Senza entrare nel merito dei meccanismi di risposta infiammatoria (modificazioni vascolari, essudato, migrazione dei leucociti), questa rappresenta un fenomeno essenzialmente difensivo la cui finalità viene realizzata con meccanismi diretti quali la fagocitosi e pinocitosi e nella secrezione da parte dei granulociti, monoliti e macrofagi, e indiretti più complessi, possiamo dire come a lungo termine la flogosi provoca spesso fenomeni degenerativi e necrotici del tessuto comportando alterazioni funzionali di organi con complicazioni cliniche anche gravi.
Oltre a queste provoca anche conseguenze di ordine generale consistenti in alterazioni della crasi ematica, febbre, modificazioni cardiovascolari e metaboliche sistemiche a livello del plasma circolante, di immissione in circolo di mediatori, ecc. Eventi indotti e regolati da una serie di modificazioni biochimiche che coinvolgono il plasma, il connettivo interstiziale, le cellule del sangue e dei vasi, mediante la formazione di composti quali responsabili di modificazioni vascolari, dell’aumento della permeabilità, della chemiotassi, delle trasformazioni cellulari della fase istogena, della proliferazione di fibroblasti e vasi.
Sequenza molto complessa il cui meccanismo di scatenamento iniziale rimane uno dei grandi problemi ancora irrisolti. Esso viene definito in termini generici come danno al tessuto e segna l’inizio di una serie di modificazioni biochimiche a cascata in una rete di interreazioni che si regolano e s influenzano reciprocamente.
L’infiammazione consiste in una serie di eventi biochimici e morfologici che coinvolgono attivamente i sistemi polimolecolari del plasma e dell’interstizio (sistemi di complemento, della coagulazione, delle kinine, della plasmina), elementi cellulari del sangue (globuli bianchi, piastrine), cellule di origine mesenchimale libere nei tessuti (mastociti, macrofagi, fibroblasti), e cellule organizzate in strutture (endotelio dei vasi sanguigni e linfatici, cellule muscolari lisce, cellule del reticolo e dei seni degli organi linfatici.

LA DETOSSICANTE
Con in termine di detossicazione, nel suo significato più ampio, indica l’insieme delle operazioni di sistemi escretori atti ad allontanare le sostanze derivate dal ricambio organico, come scorie endogene, o esogene, introdotte occasionalmente con gli alimenti, farmaci o derivati batterici, e come questi si trovino a diverso livello è ormai dimostrato. Infatti, restando l’urina il più importante veicolo di escrezione per certi composti, altri possono essere eliminati con le feci, mentre per molti altri l’escrezione urinaria e fecale può essere preceduta da quella biliare e in certi casi, possono avere notevole importanza, quella polmonare. Non è da escludere infine l’eliminazione di alcune sostanze e loro scarti metabolici può avvenire tramite il sudore, i capelli e le unghie, come è anche nota l’escrezione attraverso la saliva e il latte. In ultimo c’è da aggiungere come alcune sostanze vengano poi escrete direttamente senza alcuna trasformazione, altre ancora la trasformazione da parte dell’organismo non richiede alcun intervento enzimatico, altre ancora lo sono ad opera della flora intestinale.
Oltre alla possibilità di ricorrere ai sistemi escretori in modo di influenzare le vie e i modi di eliminazione delle sostanze inquinanti, vanno tenuti in considerazione anche altri fattori quali età e il sesso come anche una certa importanza è da attribuirsi ai fattori ambientali, agli stati di stress,ai ritmi circadiani, ecc.

LA FEBBRILE
Nell’uomo il controllo della temperatura corporea non è che uno dei tanti atteggiamenti fisiologici atti a consentire il regolare svolgersi delle funzioni corporee in condizioni ambientali interne diverse, non solo riferito a quello delle parti periferiche dell’organismo ma a quella presente in profondità, ossia della testa e del tronco. Pertanto il controllo della temperatura corporea dipende da due modalità principali: a) dal calore prodotto dal metabolismo dei vari organi e tessuti, b) il calore disperso dalla maggior parte dalla superficie corporea.
Per questo lo stato febbrile, salvo eccezioni, deve essere considerato lo sforzo più franco di cui è capace l’organismo per eliminarne le cause tramite un’azione detossicante, tonificante e temperante di tutto il suo sistema adattivo di cui la febbre né rappresenta lo sforzo corporeo più franco.
“Per la cronaca, Sydenhan e Boerhave espressero, tempo addietro, il carattere depurativo della febbre come instrumentum naturae qui pertes a puris sacernat per il primo; effecti virae conatis avertere morter per il secondo. Latemendi insiste invece nella sua tendenza conservatrice del danno casuale, tuttavia non è il danno in sé, bensì la difesa avverso di esso: in linea di principio va rispettata e può rappresentare il barometro che annuncia la tempesta (però questa non si scongiura rompendo il barometro). Infine Ippocrate stesso giudicava più facile trattare qualunque patologia che non la cronica febbre”.
Con questo ultimo ragionamento termina la parte propedeutica, cioè l’acquisizione di una certa “forma mentis” per svolgere coerentemente (a mio personale giudizio) la nobile Arte dei semplici come sintesi di una più vasta esposizione. Comunque spero sia sufficientemente esaustiva
Ringraziandovi per l’attenzione. Simone Iozzi
PS. Per quanto riguarda la parte propriamente erboristica, quella applicativa, sto ancora lavorandoci sopra (cosa non facile). Comunque sempre a diposizione per eventuali ragguagli

Decimo ragionamento “LE VIE REINTERATIVE ERBORISTICHE” prima parte del Maestro Simone Iozzi

DIVAGAZIONI ECONSIDERAZIONI PRELIMINARI

Nell’ambito della Fitoterapia Tradizionale Erboristica si è inserita di recente una sostanziale negligenza verso ciò che ne rappresenta l’aspetto più saliente, ossia il rispetto delle fondamentali regole dei suoi procedimenti reintegrativi per il recupero e mantenimento del benessere psicofisico. Per cui una doverosa riflessione verso questo modo di procedere è quanto mai opportuna poiché oggi necessita affrancare la Fitoterapia Tradizionale Erboristica da una Fitoterapia Clinico Farmacologica che vede nella singola molecola attiva, il principale attore della sua attività terapeutica.

Mi sia consentito dissentire da questo approccio poiché è dai suoi intendimenti curativi declinando, per contro, il ricorso ad una metodologia il cui operare è orientato al riallineamento funzionale dei servomeccanismi fisiologici (funzioni organiche), ai quali l’organismo ricorre per assicurarsi il regolare scorrere della vita che fa capo ad una più vasta interpretazione formativa che trae origine da una rivisitazione moderna dell’ Ars curandi che ha implicito il concetto di ricorso alla forza sanante della natura imprescindibilmente messa in relazione ad una figura umana quale rappresentazione della figura umana sostenuta da una ordinata cooperazione tra organi, apparati e sistemi che ne fanno parte.
Descrivere una tradizione scaturita da acquisizioni ricollegabili alla Vis Medicatrix Naturae che rinvia ai diversi capitoli della teoria umorale di ippocratica memoria, la cui differenza consiste oggi nell’interpretare la Physis e l’ Habitus come precedentemente descritti in modo che diversi procedimenti reintegrativi operino coerentemente all’interno dell’assunto sopra descritto.

A tale riguardo dobbiamo ammettere che una rivisitazione sopra il precetto dottrinale ippocratico rimanda necessariamente ad acquisizioni sul sistema vita quale metasistema biologico per cui giova distogliere le tradizionali discussioni e dibattiti recenti e passati le cui differenze si fondano esclusivamente su una dissimile (non contrapposta) interpretazione della corporeità dell’Homo sapiens – sapiens.

Fatta tale premessa, luogo comune oggi come l’odierna ricerca sui vegetali sia una pratica solo ed esclusivamente basata sui principi attivi posseduti dai vegetali, estratti, purificati, standardizzati, cristallizzati, resi stabili, ecc. ovvero all’interno dei canoni propri della Farmacognosia prima e Farmacologica poi, e non più nel rispetto di quel patrimonio che ci è stato commesso dalla comparsa del primo Erbario fino alla testimonianza del Mattioli: che niente abbia più a che vedere con la sua millenaria origine.
Con Pietro Andrea Mattioli, infatti, cessa il rapporto “pianta – uomo” interpretato secondo l’antica e originaria Ars dei semplici

I’interesse ed il ritornare ad una Fitoterapia tradizionale Erboristica significa riappropriarsi dell’attività pervasiva dei fitocomplessi posseduti dai vegetali, riemerge oggi a tutto campo il cui prezzo da pagare però è quello di non ripresentare tal quale l’originario significato. Non più sull’enunciato del Morgagni di organo quale sede e causa morborum indagato per anatomi sistemi
ma come solidale coerenza tra i vari organi, apparati e sistemi nella gestione della salute quale espressione di costante aggiornamento corporeo
In altri termini, ritornare ad una Fitoterapia Tradizionale Erboristica è il ricorrere ai vegetali nella sostanzialità dei loro fitocomplessi in grado di produrre situazioni sfavorevoli all’incidenza di una situazione da stress funzionale a carico di organi, apparati e sistemi al fine di superarli o di adattarvisi.
Per conseguire tale scopo la scelta dei vari fitocomplessi, sul piano dei procedimenti reintegrativi, è in funzione del bisogno in causa: ossia, deve orientarsi nell’ambito dello stress funzionale, ovvero sull’organo implicato quale compensazione fisiologica a mezzo degli effetti pervasivi dei vari fitocomplessi.
Stando ai fatti, oggi dopo la travagliata esperienza che ha contraddistinto la figura professionale dell’erborista (a mio personale giudizio), riemerge a tutto campo un appressamento culturale coerente alla caratterizzazione di riferimento nel prospetto reintegrativo nell’ambito e all’interno di un trattamento integrale dell’individuo commisurato alla predisponente a priori di valore omeostatico sul quale fondare, congiuntamente ai tratti fisiognomici del soggetto (abitudini e tenore di vita, atteggiamento psicologico, ecc) il ricorso alla Fitoterapia Tradizionale Erboristica per un ottimale ritorno che passa da una insufficiente conduzione fisiologica ad una buona condizione fisiologica.

Nono ragionamento ” Lo stato morboso ” seconda parte, Maestro Simone Iozzi

LA PREDISPONENTE MORBOSA.

L’idea di una predisponente riguardo ogni stato morboso è databile intorno all’epoca della Scuola Ippocratica perfezionata poi, nel corso dei secoli, da molteplici Scuole di pensiero medico, fino a darle una collocazione idonea a definirne i sui contorni patognomici di fondo Ossia fu riconosciuto che ogni stato morboso nasca da un susseguirsi di input stressogeni a fronte della vis medicatrix naturae.
Interpretazione che ha dato luogo oggi a diverse opinioni che optano per stati morbosi consequenziali casualità remote, ovvero da input aspecifici; viceversa imputabili a casualità prossime.
Ciò ha dato adito al tormentato quesito pilatiano su tutta una serie opinioni, spesso in contraddizione tra loro, sull’importanza o no, in ambedue situazioni, di una predisponente a priori spesso è latenti e asintomatici, oppure palese tramite manifestazioni come malesseri indefinibili, debolezza, apatia, senso di stanchezza, ecc, cui può seguire la reazione infiammatoria, la febbre, la sudorazione, le scariche diarroiche, ecc, anticamera spesso di una lunga ed estremamente complicata serie di fenomeni identificabili poi in una patologia vera e propria..

I TRATTI DELLA PREDISPONENTE MORBOSA

Esaminati tramite una interpretazione basata su aspetti oggettivi e soggettivi circa il rapporto tra esteriorità somatiche e predisponente morbosa ricorrendo ai dati forniti nel capitolo sul sostrato di fondo individuale tenendo di conto l’homo sapiens vive in grazia di una norma omeostatica da cui derivano due precetti fondamentali indissolubilmente legati all’oggettività dello stato morboso cui dipende la soggettività di risposta adattiva avverso il processo morboso

Oggettività dello stato morboso:

– l’ereditarietà: quale concomitante situazione che ha o che potrebbe incidere sull’insorgere e sul decorso della stato morboso;

– l’eucrasia: intesa come componente umorale interna;

– la diatesi: come predisposizione verso determinati stati morbosi.

Si parla di diatesi reumatica, allergica, ecc;

– i segni analogici: la coerenza tra abito costituzionale è stato morboso;

– i segni non analogici: la non coerenza tra abito costituzionale e stato morboso;

La soggettività del processo morboso

– il carattere: se occasionale o accidentale, se stazionario o permanente;

– gli aggravanti: rappresentati dal cattivo rapporto con i fattori ambientali esterni;

– gli emuntori di base: quali la defecazione l’escrezione urinaria, la tegumentale e polmonare.

Nono ragionamento ” Lo stato morboso ” prima parte, Maestro Simone Iozzi

NONO RAGIONAMENTO

LO STATO MORBOSO
SECONDO
LA FITOTERAPIA TRADIZIONALE ERBORISTICA

CONSIDERAZIONI E DIVAGAZIONI PRELIMINARI

Sulle generali possiamo parlare di due stati certi riguardo al senso della vita e di morte nel quale lo stato morboso non vi rientra poiché esso continuamente muta ed evolve, quindi passibile di risoluzione, di cronicizzazione e può condurre allo stato certo che è la morte. Può condurre alla morte ma non è la morte, perciò non considerabile come vita né tanto meno come morte, ma come fatto accidentale che sta alla vita, come la vita non sta alla morte ma ad un complesso di funzioni biologiche che resistono alla morte.
Dunque la vita in sé e di per sé è una condizione singolare e caratteristica rappresentata e sostenuta da un insieme di processi biologici che le consentono di alimentarsi, crescere, automantenersi e di riprodursi. Affinché questi processi abbiano possibilità di procedere secondo occorrenza, devono avvenire all’interno di determinate costanti fisiologiche, onde resistere alla morte. In pratica si ammette che la morte si ha quando queste vengono meno fino alla loro cessazione dell’organismo; in particolare le tre grandi funzioni quali la cerebrale, la cardiocircolatoria e la respiratoria. Mai drasticamente (salvo nell’infarto e altre condizioni traumatiche), ma gradatamente venendo sostituite da altri fenomeni quali i precadaverici. Le condizioni di vita sono dunque indissolubilmente legate all’incessante sforzo da parte dell’organismo di resistere alle forze che tendono ad annullarne il naturale scorrimento.
Quand’è dunque che inizia questo andare incontro alla morte? come e evolve e come si conclude? E’ difficile dare una risposta esaustiva al quesito al di fuori del significato di normalità per anatomi sistemi ma come accidentalità che non rientra nella normalità (dal latino norma che nella sua eccezione significa regola o legge)

LO STATO MORBOSO
La condizione ottimale di vita di ogni essere vivente è riconosciuta nella sua capacità di conservare la propria salute: ossia di garantire il pieno benessere psicofisico.
Per salute si intende quindi qualcosa che va ben oltre il concetto di assenza di sintomi, ma definibile come sviluppo armonico della personalità del singolo individuo nei confronti delle processualità biologiche.
Tuttavia, se tale definizione generale può apparire accettabile, poco ci dice su di un piano delle processualità biologiche, per cui è opportuno precisarne i contenuti..
Tutto ha inizio nel definire la natura umana quale sistema vivente che si compie all’interno di particolari strutture, le cellule, a mezzo di appositi componenti separate tra loro da membrane semipermeabili, dove ogni componente è correlato ad un numero imprecisato di altri componenti in costante e reciproco rapporto subordinato da numerose variabili quali quelle che possono verificarsi in seno agli scambi con il mezzo ambiente interno (vedi stato eucrasico), da cui traggono materia ed energia.
Come è ben noto, tutti i fenomeni biologici che caratterizzano la sostanza vivente sono soggetti a condizioni di variabilità processuali che di volta in volta si conformano alle necessità dell’organismo, per cui appare evidente che la processualità di ogni variabile non può identificarsi con valori statisticamente stabiliti per ogni singola categoria di cellule, la cui critica può essere rappresentata dal fatto di riconoscere per normale solo ciò che rientra nei limiti prestabiliti, pecca (a mio personale giudizio), di artificiosità..
La capacità di modulare le proprie variabilità processuali a fronte di esigenze diverse, costituisce l’adattamento (vedi apposito capitolo)), tanto da rappresentare uno dei fondamentali requisiti che permette alla sostanza vivente di mantenere stazionari (non fissi) determinati valori omeostatici nonostante l’incidenza di fattori etiopatologici che ne potrebbero perturbare l’ordinato svolgersi. Stazionarietà modulante le cui possibilità non sono illimitate; oltre certi limiti l’organismo non può aumentare tale peculiarità che tende a mantenersi all’interno di minima , media e massima performance che oscilla incessantemente intorno a valori di soglia biologicamente stabiliti oltre i quali (secondo l’erboristica), la maggior parte degli stati morbosi nascenti trarrebbero la loro origine. Ipotesi che propende sull’esistenza di momenti sfasamento funzionale elementare a priori dei servomeccanismi biologici (anche se la definizione di elementari è ben lontana dall’essere semplice).

In tempi non recenti le varie patologie di cui soffre l’homo sapiens sono state considerate accidentali, ritenendo implicita la presenza di una contrapposizione tra salute e malattia, poiché risulta che un individuo perfettamente sano è un caso limite mai raggiunto. Ogni organismo è sempre, in qualche misura, ammalato, e ciò che è chiamiamo salute in realtà è una definizione che viene applicata tutte le volte che le incidenze patognomiche, di norma non superano qualitativamente e quantitativamente certi valori limite ontologicamente fissati.

Quindi, in linea di principio, possiamo presumere che ogni interpretazione, sui fatti sopra descritti, se guidata dalle sole alterazioni per anatomie indagati, rischia di non cogliere una incrinatura nella stazionarietà dei valori omeostatici su cui poggia la salute dell’organismo.
Sulla base di queste supposizioni è possibile accettare il concetto di movente patognomico a priori, ovvero sostenere l’idea che possa avere origine da una sfasamento primario a carico di un valore omeostatico interno, ideale o desiderato, potrebbe costituire il motivo di fondo di una fisiopatologia a posteriori.
L’assenza della percezione dei sintomi è una condizione permanente oppure transitoria? Ammettere la possibilità di uno stato morboso nascente i cui momenti etiologici possono essere non percepibili in termini sintomatici, permette teorizzare stati morbosi a carico di determinati sostrati organici. riconducibili ad una etiologia a priori imputabile ad oscillazioni del sistemi omeostatico generale: quindi asintomatica. Ed è proprio dei sistemi assoggettati ai sistemi omeostatici offrire la possibilità di aversi eventi definibili come stati morbosi silenti, penso non si tratti di una vischiosità concettuale, di lana caprina.

Sulla scorta di quanto fin qui descritto ogni nascente stato morboso, in generale, costituisce fenomeno limitato nel tempo che tende ad essere riassorbito spontaneamente, ma può anche evolvere fino a costituire patologie più o meno complesse con tutto il corollario che le contraddistingue. Corollario che ha una propria storia naturale chiamata decorso che può assumere caratteri diversi nel quale è possibile distinguere, una fase etiologica di incubazione, una fase iniziale silente, una fase successiva sintomatica cronica o reversibile
Nello specifico ogni stato morboso passa da livelli inferiori di organizzazione asintomatica a quello superiore sintomatico per cui si hanno, nel vivente, consequenzialità di iter a cascata a tutti i livelli di organizzazione biologica; dalla più elementare alla più complessa.

Simone Iozzi

Ottavo ragionamento riguardo ” L’Alimentazione E Nutrizione ” del Maestro Simone Iozzi

La nutrizione è la prima delle funzioni che appare nella scala degli esseri viventi e l’unica che garantisce la riproduzione (o nutrizione della specie) che è, come sappiamo, conseguenza immediata della prima. La nutrizione perciò consiste nell’attingere gli alimenti dal mezzo esterno trasformandoli assimilarli, convertirli in materia organica propriamente detta ed eliminarne poi i residui non più utilizzabili.
La nutrizione, infatti, è uno dei processi fondamentali ed esclusivi degli organismi viventi il cui studio può essere schematicamente ripartito in quattro fasi interdipendenti ed integrate.

1 – l’ alimentazione: cioè lo studio della produzione, della distribuzione e conservazione dell’associazione e del valore nutrizionale degli alimenti;

2 – la digestione: comprende l’insieme dei fenomeni meccanici e chimici (soprattutto enzimatici), che provocano e separano la parte utilizzabile degli alimenti dalle scorie. Ossia la scissione degli alimenti nei loro singoli componenti molecolari;

3 – l’assorbimento; cioè il passaggio dei costituenti stessi resi idonei dalla digestione ad attraversare la membrana delle cellule che costituiscono la parete del canale digerente ed entrare, per via ematica e linfatica, nell’ambiente interno dell’organismo;

4 – il metabolismo; per il quale le sostanze assunte sono oggetto di attività di sintesi e di scissione da parte del protoplasma vivente tramite processi che ne degradano il livello energetico e la complessità molecolare per essere poi utilizzate come costituenti strutturali, di regolazione e di riserva del protoplasma vivente, fornendo all’organismo materia ed energia necessarie allo svolgimento delle proprio funzioni biologiche.

La nutrizione rappresenta dunque la base di ogni attività interna (chimica, termica, strutturale, ed ha aspetti che toccano, è il caso di dirlo, tutte le funzioni più salienti dell’organizzazione umana perciò, in mancanza di una nutrizione coerente con le sue necessità fisiologiche non può esserci salute, ed è parere comune che una migliore difesa avverso molte patologie consiste essenzialmente da un equilibrato apporto nutrizionale dei vari sostrati organici. Pertanto una alimentazione non coerente alle necessità dei sostrati organici non può essere considerata corretta poiché causa di presenza di scorie inquinanti (tossine endogene).
Quattro sono le tipologie che distinguono le varie forme di alimentazione umana quali la:

1 – eutrofica: quali – quantitativamente idonea al fabbisogno nutrizionale dell’organismo;

2 – distrofica: quantitativamente insufficiente al fabbisogno nutrizionale dell’organismo;

3 – braditrofica: decelerata nei processi digestivo/assimilativi con tendenza all’obesità;

4 – tachitrofica: accelerata nei processi digestivo/assimilativi con tendenza alla magrezza.

La possibilità dell’organismo di trasformare, assorbire ed utilizzare in conformità ai propri fabbisogni materici ed energetici gli alimenti introdotti al suo interno, dipende essenzialmente alla qualità e quantità di questi, dall’efficienza del suo metabolismo e dall’attività di determinate ghiandole endocrine (in particolare della tiroide), del fegato, del pancreas e della secrezione gastrica.
Vi sono altri fattori che contribuiscono ad intensificare o diminuire la capacità digestivo/assimilativa dell’organismo quali: la vita sedentaria poiché aumenta la braditrofia tanto quanto l’esercizio fisico la diminuisce; viceversa l’esercizio fisico aumenta la tachitrofia mente la vita sedentaria la diminuisce, il freddo accelera il metabolismo al pari del calore, ecc.

Per inciso, l’attività fisica rappresenta un valido sussidio per agevolare il metabolismo e non ha possibili sostituti fisiologici in tal senso se sapientemente alternata al riposo. L’attività fisica, infatti, è il più importante fattore coadiuvante il metabolismo, l’espulsione dei residui in scorie per accelerazione circolatoria e contrazione muscolare. L’aria balsamica, grazie all’apporto di ossigeno, è necessaria alla regolarità di una efficiente combustione degli alimenti per cui, un suo insufficiente apporto sminuisce il valore di una alimentazione corretta a vantaggio delle altre. Anche i fattori atmosferici come il freddo ed il caldo, risultano di una certa importanza per un metabolismo fisiologico; il primo per riflesso nervoso, ghiandolare e della contrazione muscolare, il secondo per aumentata attività biochimica e circolatoria.

Ricapitolando: una corretta alimentazione non solo è il risultato dell’apporto di alimenti in linea con le esigenze biologiche dell’organismo, ma è anche dei fattori che contribuiscono al vantaggio alimentare quali i digestivi, gli assimilativi, i metabolici, gli espulsivi dei residui finali.

DEFINIZIONE DÌ ALIMENTO

In termini rigorosi la definizione di alimento non può essere qui espressa tramite una lunga perifrasi atta a comprendere tutte le polimorfe necessità nutrizionali caratteristiche della specie umana. Ovvero, nella sua essenzialità un alimento costituisce “ogni sostanza introdotta per via del canale alimentare che possa venire ossidata fornendo all’organismo calore, lavoro o altre forme energetiche”; in altri termini “di provvedere l’organismo di materiali necessari all’accrescimento corporeo e alla riparazione del danno provocato dal continuo logorio dei sostrati organici.
Tale definizione comprende diverse classi si sostanze quali i protidi, i lipidi, i glucidi che assicurano in vario modo il fabbisogno calorico, energetico e plastico; le vitamine, numerosi minerali come regolatori dei processi del metabolismo e dell’omeostasi corporea e, conseguentemente, dello stato eucrasico interno. Infine l’acqua sia come sostanza plastica per eccellenza, sia come veicolo obbligatorio per ogni movimento vitale di regolazione fisiologica

La classificazione degli alimenti plastici quali le proteine ed energetici quali i glicidi e i lipidi, non risulta abbastanza esaustiva: in realtà glucidi e lipidi sono anch’essi da considerare come plastici, ove si consideri la componente chimica della cellula nella quale sono rappresentati tutti i principi nutrizionali; per contro le sostanze proteiche, nel loro turnover, sono anch’esse ossidate e quindi fonte di energia. Alcuni alimenti, ad esempio l’acqua e i monosaccaridi, non subiscono il processo digestivo essendo direttamente assimilati dalla mucosa gastrica.

Ai prodotti in elenco viene data anche la definizione di alimenti complessi, mentre alle sostanze cui danno origine dopo la digestione, viene data la definizione di alimenti semplici o principi nutritivi o nutrienti.

Concludendo c’è da aggiungere che nessun alimento di per sé fornisce tutti i principi nutrizionali di cui l’organismo abbisogna per le proprie funzioni vitali: nessuno di essi, nella significazione sopra descritta, è completo. Resta perciò ancora di attualità, anche se non recente, la definizione di alimento di Randoin e Simmonet (1927) che cita “un alimento è una sostanza in generale naturale che necessia ai fabbisogni dell’organismo.

Settimo ragionamento ” LA FISIOGNOMICA ” del Maestro Simone Iozzi

Che il procedere dello sviluppo della figura umana consegua quello dei tre foglietti embrionali quali l’ectoderma, il mesoderma e l’endoderma è un fatto certo dell’embriologia. Ed è altrettanto certo fissandone i caratteri morfo – funzionali di composita biologicità intesa come entità associativa complessa (come precedentemente descritta nel capitolo sulla Physis umana) tanto da rappresentare l’indice più idoneo per un collegamento tra aspetto esteriore e dinamica vitale; sempre però che la rilevazione sia corretta e i limiti delle categorie umane siano basati su solidi criteri inerenti le varie componenti sostratiali della corporeità individuale

In sintesi, ogni individuo presenta un proprio profilo fisionomico designante un “sistema complesso a se stante, apparentemente omogeneo, in perpetua reazione con l’ambiente, composto da parti tra loro armonizzate in un’unica entità indivisibile comprendente tutti gli attributi anatomo/ fisiologici e biologici che la contraddistinguono dai suoi simili: ripartibile come tipologia, costituzione e temperamento. Ma vediamoli nei loro profili fondamentali.

COME TIPOLOGIA

Come inclinazione funzionale d’insieme che determina la complessione dei tre grandi sistemi caratterizzanti la complessione umana nei suo caratteri generali ravvisabili nel:

tipo craniale – o unità nervosa eminentemente psico – volitiva la cui complessione è di relazionare l’esperienza sensoriale connessa al fattore sociale con il soma, ed ha nell’ipotalamo il centro della resistenza cerebrale.

di derivazione ectomorfa ha grande sensibilità e incostanza psicologica e sensoriale, polso piccolo e flebile: si nutre di suoni e di luce che trasforma in immagini e sensazioni ed ha negli occhi e nelle orecchie la via di entrata. Tale tipologia è contraddistinta da tratti somatici longilinei.

Tipo toracico – o unità respiratoria: eminentemente ossigenante la cui funzione è di relazionare l’apparato cardio – respiratorio con il fattore atmosferico ed ha nel cuore il centro della resistenza energetica.

di derivazione mesomorfa ha grande sensibilità ai mutamenti atmosferici, polso celere e marcato: si nutre di aria atmosferica ed ha nelle narici la via di entrata. Tale tipologia è contraddistinta dal prevalere del torace sull’addome.

Tipo addominale – o unità gastrointestinale: eminentemente digestivo – assimilativa la cui funzione è di relazionare il fattore alimentare al metabolismo generale ed ha nel fegato il centro della resistenza molecolare (o corpi chimici).

di derivazione endomorfa: ha grande sensibilità ai mutamenti alimentari , polso pieno e forte: si nutre di materia ed ha nella bocca la via di entrata. Tale tipologia è contraddistinta dal prevalere dell’addome sul torace

COME COSTITUZIONE ORGANICA DÌ FONDO

Comprende quattro caratteristiche morfo – funzionali sostratiali che determinano il terreno biologico di fondo dell’organismo. Si hanno quattro configurazioni di base quali la:

pletorico – flogistica

flogistico – reattiva

mucoide – essudativa;

compulsivo – passionale;

COME TEMPERAMENTO

Corrispondente alla risposta adattiva del temperamento sopra una certa configurazione costituzionale. Si hanno quattro adattabilità di base quali:

l’angiopenumonico a risposta adattiva pletorico – congestizia;

l’endocrino – reticoloisticitario a risposta adattiva flogisico – irritativa;

il linfoghiandolare a risposta adattiva mucoide – catarrale;

l’encefalomidollare: a risposta adattiva compulsivo – dissociativa;

Riassumendo:

in generale possiamo osservare come il soma presenti aspetti fisionomici a varianza individuale che porta al concetto di complessione individuale specificati in tipologia, costituzione e temperamento.
Un primo gruppo di considerazioni sopra questo importante argomento riguarda la possibile associabilità tra i diversi aspetti dell’habitus umano, o solo tra alcuni di essi dato che la classificazione dei caratteri distintivi dei vari habitus non può basarsi sulla valutazione di un solo carattere fisionomico, ma sull’ accordo associante tra tipologia, costituzione e temperamento, tenendo di conto della varietà che tale coniugazione comporta.
Un secondo gruppo di considerazioni è connesso alla applicazione pratica dei parametri fisionomici di identificazione dei vari habitus umani, in quanto non è praticamente ammessa l’esistenza di tipi estremi, ovvero ideali, ma tutta una gamma di tipi intermedi all’interno dei tratti tipologici, costituzionali e temperamentali, poiché l’habitus umano comporta una estesa variabilità tanto da non poter essere descritto in poche classi fisionomiche anche perché, talvolta, l’associazione tra determinati aspetti tipologici, costituzionali e temperamentali riscontrabili in uno studio fisiognomico, può presentare analogie non corrispondenti , poiché possiamo trovarci alcune volte di fronte a caratteristiche di aspetti tipologici, costituzionali e temperamentali che sembrano allontanarsi (apparentemente) da quelli ritenuti fisionomicamente coerenti.
In conclusione, in concetto di habitus umano è molto articolato poiché presenta aspetti somatici che denunciano una certa difficoltà da poter raggiungere una sintesi esaustiva se non ponderatamente analizzata: se teniamo di conto del polimorfismo cui va incontro la razza umana la cui variabilità fisionomica oggettiva è ritenuta finita in quanto espressa attraverso la ristretta gamma delle tipologie. Per quanto riguarda invece la variabilità soggettiva dei caratteri fisionomici questi possono manifestarsi con forme più o meno miste da rappresentare un “continuum” tra tipologia costituzione e temperamento; il più delle volte tra costituzione e temperamento.
Infine ragionare sull’esistenza di un habitus umano come tipo globale non è affatto sostenibile, dal momento in cui è possibile trovarsi di fronte ad una più o meno integrazione di caratteri che si combinano, integrano o discostano a fronte dei singoli individui.
Concludendo: lo studio fisiognomico dell’ Habitus umano rappresenta, per la Fototerapia Tradizionale Erboristica, la sola via per specificare le diverse complessioni riscontrabili nei singoli individui, e come essi reagiscono a fronte di determinati input stressogeni cui possono andare incontro.

Sesto ragionamento ” L’HABITUS UMANO ” del Maestro Simone Iozzi

L’HABITUS UMANO

– DIVAGAZIONI E CONSIDERAZIONI PRELIMINARI –

Rappresenta la conformazione generale dell’ habitus umano la cui nozione ha particolare
importanza per definirne l’unità corporea quale l’insieme di aspetti strutturali esprimenti il soma individuale riconoscibile mediante l’osservazione disponente anatomica della massa corporea nei le sue sembianze craniali, toraciche e addominali.

In sostanza; si tratta della prevalenza di alcune varianti sul soma individuale tra quelle riscontrabili nell’ambito della razza umana e, più specificamente, varianti dovute al prevalere di talune varianti morfologiche d’insieme.

Pur limitando l’argomento alla definizione sopra enunciata, apparentemente così semplice,
racchiude in sé un concetto molto complesso sulle varianti dei tratti somatici quali quelli esprimenti l’unità corporea dell’individuo. In altri termini un habitus umano come uno e tutto associativo in stretto rapporto tra morfologia e funzione.

In sintesi, ogni individuo ha un suo particolare assetto corporeo interpretabile come fisionomia di fondo corrispondente alla unità vivente che è, appunto l’individuo, ossia “un sistema vitale a se stante, apparentemente omogeneo, in perpetua reazione con l’ambiente, composto da parti tra loro combinate in un’unica entità indivisibile comprendente tutti gli attributi fisiologici. biochimici e psichici che contraddistinguono ogni individuo dai suoi simili”.

RIGUARDA LA COMPLESSIONE CORPOREA DÌ FONDO

Rappresentare un Habitus umano delineante la sua complessione corporea dì fondo quale sistema
polifunzionale organizzato in reciproci incanalamenti caratterizzati da estese reti di comunicazione di supersistema a circuiti multipli, limitatamente una organizzazione tra compositi sostrato organici diversi tra loro, assoggettati a dinamiche processuali tra loro diverse, a patto però che conservino la loro singolarità funzionale.

Per fare alcuni esempi, la struttura del fegato, la sua doppia circolazione, i suoi rapporti con le vie biliari implicano che sia in rapporto con la digestione, ma non in grado di fornire informazioni sulle numerose operazioni biochimiche compiute in sede di metabolismo intermedio. Cosi la struttura del rene, le sue vie escretrici unitamente al rapporto con il sistema circolatorio, portano a pensare che abbia una funzione “depurante”, ma non che tenga sotto controllo l’equilibrio elettrolitico e la riserva alcalina e della messa in circolo una sostanza in grado di controllare la differenziazione delle cellule staminali del midollo osseo in cellule della serie rossa.

Anche il fatto che ogni dinamismo biologico richieda la cooperazione di due o più apparati
organici non sempre risulta dalla sola compagine anatomica. E’ il caso della circolazione sanguigna, il cui flusso arterioso è affidato alla forza di contrazione cardiaca, mentre quello venoso è esplicato dalla contrazione muscolare e, nelle grosse vene, dalla pressione negativa provocata prevalentemente dalla contrazione del diaframma.

Inoltre il fegato grazie alla sua attività metabolica aggiunge o rimuove molecole organiche
secondo necessità, mentre i polmoni apportano ossigeno ed eliminano anidride carbonica, il tratto
gastrointestinale rende possibile all’ organismo l’ assorbimento dell’ acqua ingerita con le sostanze nutritizie; il rene elimina la giusta quantità di prodotti catabolici, acqua e sali; e così via nella lunga

lista delle attività regolate dell’ organismo tramite:

– vie di ingresso come l’assunzione;

– vie intermedie come il metabolismo;

– vie di raccordo come le nervose, le circolatorie, le endocrine

– vie di uscita come l’escretizie.

unitamente a

– garantire un continuo apporto di ossigeno e di nutrienti al sistema;

– garantire la raccolta e l’eliminazione delle scorie organiche prodotte dal proprio metabolismo;

– garantire la costanza delle condizioni fisico – chimiche necessarie al proprio ambiente interno.

Movimento circolare inizia con la digestione dove la materia attinta dall’esterno va incontro ad una intensa disintegrazione “specifica per specie molecolare”, ed è dopo il loro assorbimento che si ha una intensa reintegrazione in molecole aventi “specificità di sostrato”.

Infine, se ne guardiamo la macrostruttura corporea nel suo procedere osserviamo come alla sua
incessante inquietudine funzionale si sovrapponga un decorso di mutamento molto più lento
palesato dalla osservazione empirica della fisionomia umana, poiché ben diversa è la compagine
corporea nel neonato, da quella di un bambino, del giovane, dell’adulto e dell’anziano.
A periodi medi di tempo si ha perciò un’incessante escalation dell’organismo fino al suo destino finale che è la cessazione del fenomeno vita.

Quinto ragionamento ” RIGUARDA LA STRUTTURA DELLA CELLULA ” del Maestro Simone Iozzi

La materia vivente ci si presenta con una enorme varietà di forme e di funzioni indissolubilmente legate. Circa un milione di specie animali e 280000 circa di piante sono attualmente conosciute, e per nessun gruppo l’attuale sistematica è ben lontana dalla completezza.
Ma, pur con questa molteplice diversità, gli organismi viventi posseggono comuni attributi che li riuniscono tra loro, separandoli dal mondo inorganico e, per quanto diversi tra di loro, si distinguono da una pietra o da un campione di specie chimica, quindi tra loro si assomigliano.
Però, anche se immediata l’intuizione di ciò che è vivo, non è facile dare una breve definizione degli attributi biologici comuni all’intero mondo dei viventi poiché, in genere, presentano una conformazione estremamente complessa fin in ogni individuo e nei vari momenti di vita di ogni individuo: e la loro organizzazione deve pur avere una matrice comune, e questa è da ricercarsi nelle caratteristiche morfo funzionali identificabili nella cellula eucariota che presenta

– una morfologia
più o meno ben definita nelle loro diverse forme e una base comune che si ritrova nella cellula. Possiamo dire perciò, che tutti i sostrati organici di fondo sono costituiti da una o più unità cellulari composte ognuna essenzialmente da una massa protoplasmatica contenente il citoplasma e il nucleoplasma;

– una biochimica
esplicata nel citoplasma tramite gli organuli ivi presenti che svolgono incessantemente due ordini di fenomeni opposti, disintegrativi, con liberazione di energia (fenomeni catabolici), o costruttivi o reintegrativi (fenomeni anabolici) con immagazzinamento di energia. La sostanza vivente presenta perciò un continuo ricambio ana – e catabolico: insieme rappresentano il “metabolismo cellulare”:

– una irritabilità’
a fronte di stimoli e di reagirvi in determinate maniere, e se lo stimolo non è troppo forte, alla sua cessazione il protoplasma rientra nella condizioni quo ante
L’irritabilità è una proprietà veramente generale della sostanza vivente? E difficile dirlo, perche è difficile definire il fenomeno. Certamente la risposta è affermativa, se intendiamo interpretare ll fenomeno in senso “dinamico”, anche se risulta oltremodo complicato sotto il profilo del metabolismo cellulare

– un apparato morfo funzionale;
atto a svolgere adeguatamente ogni funzione della cellula all’interno di un habitat umorale (ialoplasma o citosol) adeguato specificamente conosciuto come gradiente biochimico o umorale quale quello che l’evoluzione naturale ha prestabilito filologicamente e ontologicamente fin dai primi nucleotidi apparsi sulla Terra;
– un rinnovamento:
continuo della componente citoplasmatica esteso a tutto il periodo di vita della cellula fino al suo arresto corrispondente alla morte.
Infatti, per rinnovamento è inteso il complesso di adeguamenti in grado di generare, conservare, accrescere e riprodurre ogni singola cellula, e sappiamo anche come ogni sua attività è vincolata all’attività dei suoi organuli quale elemento fondante di tutta la sua organizzazione, e l’ialoplasma che ne fa parte presenta carattere colloidale.
– si riproduce:
unitamente a quello dello sviluppo, dell’accrescimento e della differenziazione.
– una ereditarietà acquisita geneticamente:
nei suoi caratteri morfologici e funzionali
– un ordine:
sostanzialmente formato da protidi (o albumine) complesse i cui gruppi prostetici rappresentano gli strumenti più idonei a caratterizzare i fenomeni vitali.