Il caffè della nonnina!

L’uomo  fin  dai  tempi  più  remoti  ha  sempre  avuto  dei  vizi, ma  a  volte  dagli  stessi vizi sono  nate  delle virtù.

E’ questo  il caso  infatti  in  cui  le  donne  delle  nostre campagne – siamo nella  Valle D’Itria – avevano  trovato un succedaneo  del  caffè  per  sopperire  alla  sua  mancanza  in  tempo  di  guerra.

Se  prima  della  guerra  il  caffè (cofea arabica) era un lusso,  durante  i  lunghi  anni  della  seconda  guerra mondiale  era  diventato  un  ricordo.

La  mia  ricerca  parte  da  “Nenella” (classe 1930),  la  signora  più  anziana  della  contrada Ventura,  sita  in agro  di  Locorotondo.

Nenella  vede nel  mio giardino una pianta  e  mi racconta che dai semi di quella pianta, quando lei era ragazzina preparavano una bevanda che sostituiva il caffè  e che loro chiamavano il “caffè americano”.

Il nome penso sia stato dato in onore dei soldati americani o forse offerto a qualche americano lui avrà replicato: “Oh yes, cafè americano!”

La pianta è l’Astragalus boeticus L.  appartenente alla famiglia  delle Fabaceae

Del  genere  Astragalo in  Puglia  ce  ne  sono  diverse  specie :

A. sesameus;  A. pelecinus; A. monspessulans;  A. glycyphyllos,  molto  comune  è  anche  l’A. hamosus  anche  detta  falciforme  per  la  sua  caratteristica  forma  dei  semi  a  uncino.

Entrambi le foto, sono piante del mio giardino, immaginate che nel mio giardino ci  sono  tutte  le  erbacce  che  altri  cercano  di  debellare  nei  loro  campi,  io  invece  ne  raccolgo  i  semi  e  li  spargo un po’ ovunque.

Torniamo  all’Astragalo boeticus

Di  questa  pianta  si  raccolgono  i  semi  a  fine  autunno, dopo  che  la  pianta  ha  perso  le  foglie,  si  seccano  all’ombra,

si  tostano  nel  forno  e  si  frantumano  sino  a  ridurli  in  polvere, in  questo  modo  poteva  essere  usato  come  succedaneo  del  caffè.

Eccoci  in  un  altra  contrada  distante  4  km  circa,  la  signora  Vitina  (classe 1935) ricorda  che  utilizzavano  le  ghiande  di  una  particolare  quercia  che  chiamavano

“u fragn dolc”  quercia  dolce.

Le  caratteristiche  botaniche  di  questa  pianta  sembrano  essere   molto  simili  alla  comune  quercia  detta  roverella (Quercus  pubescens) .

Vitina  ricorda  solo  un  particolare,  che  la  cuticola  che  riveste  parzialmente  la  ghianda  ha  un  colore  più  scuro  rispetto  alla roverella.

I  pochi  esemplari  che  lei  ricorda  nella  zona  sono  stati  estirpati  per  fare  spazio  alle costruzioni,  così  non  potrò  mai  assaggiare  il  caffè di  quercia.

Ma  da  un  appassionato  di  botanica salentino  vengo  a  sapere che potrebbe essere la Quercia castagnara che dovrebbe corrispondere alla Quercia virgiliana che è molto affine  alla  roverella.  Il  nome  comune  volgare  la  lega  alla  castagna  poiché  il  suo  seme  è  edule.  Lui  stesso  dice  di  aver  trovato  questa  pianta  nel  Parco  Naturale  dei  Paduli   – Foresta  Belvedere-  nel  cuore  del  basso  Salento  e  di  aver  mangiato  una  ghianda  appena  caduta  ed  era  commestibile,  non  amara  come  di  solito  sono  le  ghiande.

Mi  racconta  anche,  che  nel  cuore  dei  Paduli  vi  è  una  masseria  chiamata  “spaccaghiande”  e  sembra  che  il  suo  nome  derivi  dalla  locale  pratica  di  raccogliere  le  ghiande  dalla foresta  Belvedere per  spaccarle,  nel  senso  di  macinarle  per  farne  farina  per  uso  umano.

Ma  torniamo  alla  preparazione  del  cafè  di  quercia.

Vitina  racconta  che le  ghiande  venivano  arrostite  nel  forno  per  poi  essere  ridotte  in  polvere  con  i  mezzi  di  allora  “u pisasel”  .  Si  conservava  in  bottiglie  col  collo  largo  tenute  sulle  mensole  del  camino,  se  ne  aggiungeva  2  o  3  cucchiai  nella  pignata  piena  di  acqua  che  era  solito  tenere  vicino  al  camino.

Appena  l’acqua  bolliva  si  aggiungeva  la  polvere  di  ghianda  e  si  aspettava  dinuovo  il  bollore,  appena  ritornava  a  bollire  si  allontanava  la  pignata  dal  fuoco  e  si  lasciava  raffreddare  per  qualche  minuto, poi  dinuovo  si  riavvicinava  al  fuoco  per  portarla  dinuovo  a  bollore  per  essere  nuovamente  allontananta  e  lasciata  raffreddare,  dopo  la  terza  volta  che  l’acqua  bolliva,  la  bevanda  era  pronta  per  essere  gustata,  dopo  uno  spartano  filtraggio.

La  maggior  parte  delle  persone  anziane  intervistate  ricordano  il  caffè  di  cicoria,  ottenuto  dalla  radice  di  Cichorium  intybus,  famoso  un  po’  in  tutta  Italia  e  non  solo,  sembra  che  i  francesi  ne  fanno  un  largo  uso.  Anche  da  noi  sta  tornando  di  moda, infatti  da  alcuni  anni  ci  sono  piccole    aziende  che producono  e  commercializzano  il  cafè  di  cicoria.

Non  mi  resta  che  augurarvi  un  buon  caffè  a  tutti!!

Dott.ssa  Dina  Liuzzi

3 pensieri su “Il caffè della nonnina!”

  1. Salve, mi chiamo Nicola Bazzani ed abito in Toscana:mi ricordo quando una mia bis zia (ancora vivente) mi raccontava che preparava il caffè di cicoria ma non mi ha detto mai in che modo. Vorrei sapere (solo per cultura mia e chissà che un giorno non lo prepari), il periodo migliore per raccogliere tale pianta e tutta la metodologia,grazie in anticipo !

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