Visione d’insieme

di Massimo Rossi, Biologo, Consulente aziendale

 

 

 

I rischi della Ricerca analitica: perdere di Vista il Tutto

Nello studio delle attività biologiche e farmacologiche delle piante, la tendenza corrente punta l’attenzione sulla stretta verifica sperimentale, prima in laboratorio su modelli animali, poi sull’uomo, per provare le evidenze terapeutiche.

Si valuta una proprietà alla volta, cercando di individuare i meccanismi biochimici coinvolti, si misurano le intensità d’azione e si controlla l’apparire di effetti collaterali, di interazioni con altri farmaci e quindi di controindicazioni.

 

Virtù trascurate

La storia sociale di una pianta, il suo portato tradizionale e le osservazioni empiriche sedimentate sono viste come pedana di partenza per costruire congetture da vagliare sperimentalmente.

Delineata l’ipotesi, le stratificazioni di conoscenza vengono abbandonate, se va bene, alle cure degli umanisti (storici, antropologi, etnologi, quasi mai i poeti), con lo scarso valore che a tali cure vengono attribuite.

Accade così che, paradossalmente, ad una pianta con una ricca e complessa tradizione di usi diversi venga oggi attribuita un’unica virtù, la sola su cui si è indagato approfonditamente, e che tutto il resto si perda come non esistesse.

Si focalizza l’attenzione su un principio attivo e sul suo ruolo biochimico, mentre la costellazione di altri componenti, ciascuno dotato di proprietà altrettanto nobili, viene trascurata e messa in un angolo. Anzi, capita spesso che la si veda come impaccio.

Come frequentemente accade, per illuminare un elemento si perde di vista complessità e memoria.

 

Un bell’Esempio

Quando si presentano nuovi Macerati di Pianta Fresca si ha invece ben chiaro il fine che ci si propone, contribuire cioè a portare alla luce il giusto impasto di tradizione erboristica, di clinica empirica riaggiornata e di ricerca scientifica. Un esempio può forse servire.

In Europa, l’uso del Crespino (Berberis vulgaris L.) fu incorporato dalla dottrina delle signature in ragione del colore giallo della parte interna della corteccia delle sue radici, che ne indicava il pregio come rimedio per i mali del fegato e della cistifellea. Per analogia con la causalità epatica delle malattie febbrili e infiammatorie, si estendevano le proprietà delle radici alla cura delle febbri intermittenti (malaria) e acute, alle infezioni urinarie e intestinali.

Nel secolo scorso l’interesse si puntò quasi esclusivamente su un singolo principio attivo del fitocomplesso, la berberina, e sulle sue attività antibatteriche,  antiparassitarie, antinfiammatorie e antiaritmiche. A causa di questa prevalente focalizzazione sulla berberina e su sostanze ad essa analoghe, si perdevano di vista le tracce della complessità della pianta lasciate nella storia umana.

 

La Madre rivela

La rilettura attenta delle ricerche pubblicate, invece, mostra che molte delle attività riscontrate sono coerenti con le caratteristiche del fitocomplesso di Berberis, ottenibile per estrazione nella preparazione della Tintura Madre.

Il quadro che se ne può desumere è quello di un regolatore funzionale dell’attività epatobiliare e renale in condizioni di stasi da stress provocato da agenti infettivi o infiammatori.

È chiaro che la regolazione indotta da Berberis si riflette sulle condizioni di apparati che sono fisiologicamente in connessione con le mansioni di drenaggio del fegato, della cistifellea e dei reni, come la pelle e il sistema immunitario.

Possiamo osservare evidenze analoghe anche ripercorrendo la storia di altre piante, che nel corso del tempo sembravano aver perso di interesse, se non a titolo etnobotanico. Il loro recupero razionale, non avulso dalla tradizione, può restituirci strumenti utili e flessibili.

LE CANAPICCHIE – PIANTE DELLA VAL D’ORCIA CON DIOSCORIDE E GALENO

di Luigi Giannelli

In Val d’Orcia usa chiamare “Canapicchia” non una sola pianta, ma un gruppo nemmeno tanto omogeneo.

Le più importanti sono due (L’ Elicriso – Helycrysum Italicum L. e l’ Erba Cipressina o Santolina – Santolina Chamaecyparissias L., ambedue composite.).Ambedue sono citate nella più celebre opera di sostanze impiegate nella terapia medica dell’ antichità, la “Materia Medica” di Dioscoride.Intanto, sommariamente, chi era Dioscoride?

Pedacio (o Pedanio) Dioscoride, nato ad Anazarba, in Cilicia (costa sud-occidentale dell’ attuale Turchia, proprio sopra all’ isola di Cipro), tra circa il 40 e il 90 dopo Cristo. Che non vuol dire che sia campato 50 anni, le date sono solo indicative).Fu medico, farmacologo e botanico al tempo degli Imperatori Claudio, Nerone e Vespasiano.Militò come medico militare nelle legioni al comando del futuro Imperatore Vespasiano, durante la Prima Guerra Giudaica, 64-70 d.C., iniziata sotto Nerone e conclusa da Vespasiano.Per la precisione la sua opera fu prestata sotto il proconsole Sesto Lucilio Basso, che dopo alterne vicende si legò all’astro nascente di Vespasiano.In pratica, la Prima Guerra Giudaica fu condotta dalle legioni romane sotto il comando supremo del Legatus Flavio Vespasiano; ai suoi oridini c’era questo Sesto Lucilio Basso, che a sua volta comandava i reparti dove Dioscoride.Questi fatti permisero a Dioscoride di viaggiare in lungo e in largo per il Medio-Oriente, dove potè rilevare la presenza, il tipo di raccolta, conservazione e trasformazione di una quantità enorme di droghe.Nel suo testo “Materia Medica” sono riportate oltre 800 droghe per uso medicamentoso di origine vegetale, ma anche minerale e animale.“Materia Medica”, nel significato originario significa “Raccolta della descrizione di sostanze per la preparazione di medicamenti complessi”.In realtà nella materia medica sono descritte sia le proprietà medicamentose delle singole droghe riportate, sia la presenza di molte preparazioni complesse.

Galeno è figura molto più complessa: visse a lungo e stimatissimo; il padre, l’architetto Nikone di Pergamo sognò il Dio Asclepio che gli ordinò di consacrare a Lui il piccolo Galeno.

Galeno, quindi invece che architetto, fu medico.Studiò presso gli ultimi Maestri della Medicina Ellenistica, da Pergamo ad Alessandria d’ Egittoe compose centinaia di opere, di medicina, farmacologia e filosofia.Fu medico di “ludi” gladiatori, ma anche medico di fiducia ed amico di Marco Aurelio, del figlio Commodo e sopravvisse alla caduta della Casa Imperiale Antonina e fu gradito al servizio di Settimio Severo. Visse oltre 80 anni.                                                                       

L’ Elicriso:

Dice Dioscoride, nel IV° Libro della “Materia Medica”, Capitolo 59° (vers. Mattioli):(Alcuni termini sono stati lievemente modificati, per adattarli alla mentalità di oggi)<< Lo Helicriso, il Quale chiamano alcuni “Crisantemo” [in grecoElicriso significa “Sole d’Oro” e “Crisantemo”, “Fiore d’ Oro”] e altri “Amaranto, di cui coronano le statue degli Dei, ha uil fusto dritto, bianco, verdeggiante,  e fermo, su per il quale sono le fronde strette simili all’ Abrotano, distinte tutte per intervalli.

Produce la chioma ritonda, di colore d’ Oro, ridotta in ombrella, come di secchi corimbi pendenti; la radice è sottile.Nasce in luoghi aspri e nelle rive e nei letti dei fiumi.

Giova la sua chioma bevuta nel Vino al morso dei serpenti [velenosi], alle sciatiche, alle distillazioni d’ orina [probabile spasmi uretrali] ed alle ulcerazioni [viscerali], ; provoca le mestruazioni.Bevuta con Vino Melato dissolve il sangue rappreso nella vescica e nell’intestino.Bevuta a digiuno in Vino bianco annacquato………evita il catarro che scende dalla testa [sinusite e raffreddore].>>

Galeno, nel suo “Le virtù dei semplici medicamenti”, al VI° libro, dice

<<….. L’Amaranto – lui lo chiama così – ha virtù incisiva [fluidificante del muco] e disseccativa. Provoca le mestruazioni, dissolve i coaguli sanguigni dello stomaco e della vescica, con Vino Melato. Asciuga tutti i flussi [sangue, muco], ma nuoce allo stomaco >> E perciò andava assunto con Vino Melato.

Rammentiamo che l’ Elicriso fu usato tra gli anni ’50 e ’60 da un celebre (per il luogo) medico condotto della Garfagnana, il Dott. Santini, figura benemerita e mai abbastanza compianta: egli curava con il decotto di questa pianta: cirrosi epatica e epatiti, affezioni reumatiche fino alla artrite reumatoide, le affezioni, anche gravi e infettive dell’apparato respiratorio e dell’apparato urogenitale, la cefalea e buon ultima, la psoriasi.

In Val d’Orcia, era usato dai contadini e dai maniscalchi, fino a 60-70 anni fa sui cavalli con difficoltà ad orinare.                                                                                                                                                                                                   La        Santolina                                                                                                                                                               Era detta anche “Abrotano Femmina” e quindi descritto alla voce “Abrotano” da Dioscoride, nel III° Libro, Capitolo 26° (vers. Mattioli).

Saltiamo la parte descrittiva, che comunque corrisponde perfettamente alla pianta, ed ai luoghi dove cresce di più (Sicilia, Siria, Cappadocia), ma per noi interessa che cresca in Val d’Orcia!

<< ……………………..il seme d’ambedue crudo e bollito nell’acqua e bevuto, giova agli asmatici, a coloro che hanno ulcerazioni anche nelle vie respiratorie, agli spasmi colici, alle sciatiche, ai dolori uretrali, e nell’amenorrea. Sparso in giro, sia la pianta, sia il suo fumo, scaccia i serpenti. Bevuto con Vino giova ai morsi dei serpenti ed alle punture degli scorpioni e dei ragni detti “Phalangi”.

Ridotto in empiastro con Mele Cotogne cotte oppure con pane ammollato, giova nelle infiammazioni degli occhi.

Impastato con farina d’Orzo e poi cotto, risolve i piccoli ascessi………>>.

Galeno, sempre nel VI° Libro del “Le virtù dei semplici medicamenti” dice:

<<……… E’ Caldo e Secco nel III° grado [alto grado dell’Elemento Fuoco]. Ma si trova il suo equilibrio nel gusto fortemente amaro e questo sapore indica una certa essenza Terrestre., è quindi molto fluidificante e alleggerente. Quindi l’Abrotano [femmina]

 dissecca e perciò si impiastrano le sue fronde e i suoi fiori sulle ulcerazioni e si ritrova un po’ acre e lievemente irritante.

Si usa il suo estratto oleoso per ungere la testa ed il corpo. Soprattutto a chi ha febbri che danno tremito da freddo, soprattutto prima che la febbre prenda il sopravvento……….

………………E’ molto fluidificante, uccide i vermi intestinali……………>>

 Nella tradizione popolare era usato fino a tempi recenti come vermifugo per i bambini e contro le tarme, appeso negli armadi e posto nelle cassapanche, anche – e soprattutto – in Val d’Orcia.

Connessione con la Fisionomica.

 Eliocriso e Santolina (quest’ultima è oggi vietata nell’uso familiare), essendo Caldi e Secchi, piante di Fuoco, sono assolutamente adatti a fluidificare il muco dei Flemmatici e le malattie dell’apparato genito-urinario e di quello articolare.

Quindi i soggetti pallidi, pieni di liquidi ristagnanti e con dolori articolari non possono che trarne Calore e giovamento.

Moderne ricerche non fanno che confermare quanto gli Antichi Maestri avevano già, da millenni osservato.

USI e BENEFICI delle foglie di NEEM (terza parte)

di Luca Cozzi:(Inizio terza parte)

Dopo aver formato un gruppo di persone nella preparazione dell’olio medicato di neem, secondo l’antica procedura, la preparazione e l’uso di questo olio sta rapidamente diffondendosi grazie proprio alla sua efficace e sicura azione. L’olio che noi prepariamo lo usiamo in interventi a favore dei bambini di strada di Dhaka, ai lavoratori della yuta, alle fasce più deboli della popolazione. Ecco di seguito il testo in italiano che avevo preparato al tempo del training e con il quale prepariamo il nostro olio.

[..] Spieghiamo ora tutti i passaggi necessari per preparare un prodotto di buona qualità nel rispetto delle tradizioni scritte nei testi di Medicina Ayurveda.

Raccolta e preparazione delle foglie

Dalle modalità di raccolta delle foglie dipenderà anche quanto tempo è necessario per prepararle all’uso. Per ogni tipo di preparazione dove sono necessarie le foglie, queste devono essere prive dei rametti. La quantità di foglie necessaria per la preparazione che si vuole fare viene pesata. Una volta pronto il materiale viene messo a bagno in acqua per 10 minuti, poi lavato sotto acqua corrente finché l’acqua che gli passa attraverso rimane limpida. Se le foglie lavate sono destinate ad essere essiccate allora il materiale cosi lavato viene posto all’esposizione dell’aria per 1 ora e poi messo in essicatori naturali; se invece le foglie lavate devono essere utilizzate per la preparazione di un decotto, allora il materiale così lavato viene tagliato grossolanamente e immediatamente utilizzato.

Quantitativi necessari per la preparazione di olio di neem medicato

Foglie di Neem fresche private di picciuoli = 1 Kg

Foglie di Neem fresche private di picciuoli =  0,250 Kg

Acqua potabile = 16 Kg

Olio di Sesamo = 1 Kg

Strumenti necessari per la preparazione di olio di neem medicato

No.1 Pentola in acciao inossidabile, con una base abbastanza spessa per evitare che bruci o si attacchi sul fondo la materia prima durante la cottura;

No.1 Contenitore, preferibilmente in acciaio, dove poter mettere il prodotto durante le varie fasi del processo;

No.1 Bilancia elettronica da 0.5-500 gr.;

No.1 Bilancia normale che arrivi almeno a 30 kg;

No.1 Termometro per liquidi; (vanno bene i termometri che usano i cuochi)

Teli per filtraggio, coltello, imbuto, cucchiai di legno, mortaio in pietra (mixer), torchio, bottiglie color ambra o scuro, preferibilmente di vetro.

Procedura per la preparazione

Per la procedura ci siamo attenuti alle spiegazioni riportate nei testi Ayurvedici riconosciuti dal “Drugs and Cosmetics Act” e nel libro “Ayurvedic Formulary of India” (AFI).

L’Olio medicato ha 3 componenti principali chiamati, “Drava” o “Qwatha” (il liquido che si ottiene dalla decozione in acqua di una o più erbe), “Kalka” (una pasta preparata con le erbe) e “Sneha dravya” (un olio vegetale). Per la preparazione degli oli medicati i testi consigliano di utilizzare olio spremuto a freddo di sesamo. Occasionalmente possono essere anche utilizzati olio di ricino o olio di cocco, sia come sostituti parziali che interi.

Come riportato nell’AFI ogni preparazione di olio ayurvedico medicato ha la sua specifica formulazione che prevede l’utilizzo da un minimo di 2 a un massimo di 73 differenti specie di piante medicinali.  La proporzione tra i 3 diversi componenti è la seguente: una parte Kalka, quattro parti Sneha dravya e sedici parti Drava. La preparazione di un olio medicato prevede che la fase di cottura dei tre ingredienti non sia inferiore ai 3 giorni e superiore ai 6.

Preparazione Drava

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Prendere 1 Kg di foglie di Neem fresche, private di picciuoli e lavate; con l’aiuto di un coltello tagliare le foglie a pezzetti e metterle in una pentola di acciaio, aggiungere 16 Kg d’acqua potabile, portare a ebollizione e continuare la cottura a fuoco medio finché il volume della fase liquida non raggiunge un quarto del volume originario. Per determinare il peso in maniera corretta suggerisco di pesare pentola, acqua e foglie, che chiamo y, mentre il peso dell’acqua lo chiamo x.  La cottura dovrà proseguire finché il peso non sará uguale a (y – 3/4x). Terminata la cottura bisogna lasciare riposare il preparato fino al raggiungimento di una temperatura che ne permetta la filtrazione. Per filtrare si consiglia di utilizzare dei pezzi di tela. Successivamente si torchia il residuo con torchio manuale ottenendo un decotto di aspetto scuro e dal sapore amaro.

Preparazione Kalka

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Prendere  0,250 Kg di foglie di Neem fresche, private di picciuoli, lavate, e acqua potabile da utilizzare al bisogno. Nella tradizione, e ancora oggi nei villaggi, per procedere alla preparazione della pasta si utilizza un tagliere in pietra con una specie di mattarello sempre in pietra. Si può alternativamente usare un mixer da cucina. Le foglie vengono tritate fino al punto di avere della polvere, durante la procedura viene aggiunta un poco di acqua, quanto basta per dare la consistenza di “pasta” al preparato.

Una volta pronti la “Drava” e la “Kalka” si può procedere all’ultima fase della preparazione. Prendere di nuovo la pentola di acciaio, unire le tre parti iniziando dalla “Sneha” che in questo caso è l’olio di sesamo. Iniziare la cottura dell’olio a fuoco medio, passati due o tre minuti aggiungere la “Drava” e la “Kalka”. Ora inizia la fase più delicata e che richiede quindi molta presenza. Il composto deve cuocere a fuoco medio/basso, va rimestato in continuazione perchè la “Kalka” presente nel composto tende a depositarsi sul fondo della pentola e a bruciarsi, rendendo vano il lavoro fatto. Il composto deve cuocere fino a completa evaporazione dell’acqua. È necessario avere a portata di mano il termometro. Per tutta la durata della cottura il composto non supera mai i 100 gradi centigradi ma quando l’acqua è evaporata, per un breve periodo di tempo, la temperatura arriva tra i 105 e i 110 gradi. Quando il composto ha raggiunto la temperatura di 106/107 gradi, spegnere il fuoco e lasciare riposare fino al raggiungimento di una temperatura idonea per poterlo filtrare. Prendere dei nuovi teli e iniziare la filtratura del composto e torchiatura del residuo.

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L’olio cosí ottenuto deve essere messo in un contenitore e lasciato riposare (decantare) per almeno due giorni. Passato questo tempo, necessario alla precipitazione e alla sedimentazione, la fase limpida viene separata da quella torbida e messa in bottiglia. Le bottiglie devono essere di colore scuro e preferibilmente di vetro. Conservare il preparato a temperatura ambiente e non esposto al sole. [..]

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(Luca Cozzi, Khulna May 23, 2014)

 

 

 

 

 

Cannella Ceylon – Nonna Ortica

Il Laboratorio di Nonna Ortica.
Nel 1983 Roberto Nicola conobbe Luigi Giannelli e Angelo Severi, Maestro di entrambi; da questa conoscenza nacque una collaborazione che portò al Laboratorio di “Nonna Ortica”.
Da quando è nato il Laboratorio di “Nonna Ortica” di Roberto Nicola, ha cercato di realizzare un sogno: quello di fare tinture madri e gemmoderivati ad elevata concentrazione e superare i “protocolli” della pur rispettabile Farmacopea Francese.
E’ dal XVI° secolo che le estrazioni idroalcoliche fanno parte della Tradizione Mediterranea; eravamo ancora in epoca pre-industriale e i “protocolli” e le metodiche sono state elaborate più secondo le Dottrine Alchemico-Spagiriche (quelle più semplici, ovvio) che secondo quelle della Chimica Moderna.
E quando non si usavano soluzioni idroalcoliche “pure” (e si usavano!), si usavano estratti vinosi (gli enoliti) ed estratti in acquavite.
Il bello è che i prodotti di “Nonna Ortica” rispondono alle migliori regole sia elaborate nel XVI° secolo, sia al giorno di oggi.
Sia le TM sia i MG hanno una concentrazione più alta di quelle “alla francese”.
Ad esempio, basta guardare il filmato fornito da “Nonna Ortica”, dove si sente la voce di Roberto, il titolare, che fa l’esperimento dove si vede la bella differenza tra una preparazione al 30% di Cannella ed una al 10%, sempre di Cannella.
L’altro aspetto è il livello di qualità: le piante che obbligatoriamente sono presenti allo stato secco (come la Cannella), si usa quella di qualità più elevata, ovvero a corteccia intera e lunga quasi 30 cm. E del tipo detto “Cannella Ceylon” (e non la Cannella Cina, buona ma più povera di aldeide cinnamica).
Invece per le piante che possono essere raccolte allo stato fresco, sono raccolte allo stato fresco, e lavorate entro la giornata, ovvero non oltre le 5-6 ore dalla raccolta.
Rammentiamo ai colleghi le foto delle Rose fresche, profumatissime, biologiche, per le quali Roberto è andato sull’Appennino Ligure. Le Rose sono state raccolte e quasi subito lavorate. Roberto si era portato dietro attrezzature e contenitori, proprio per evitare che le Rose soffrissero per il viaggio e per il tempo di non lavorazione. Roberto le mostrò, un paio di mesi fa in un “forum”.
Stesso discorso vale per i gemmoderivati; i macerati glicerinati invece del 2% raggiungono il 5%, e sono preparati usando alcol, glicerina e solo pochissima acqua, tenendo conto di quella presente nelle gemme, sempre raccolte e lavorate freschissime, ovvero raccolte e lavorate entro 4-5 ore al massimo.
Infine, c’è da dire che forme estrattive così concentrate sono molto più attive ed i loro effetti molto più rapidi; i costi poi sono comparabili con quelli delle altre aziende del settore, pur con la concentrazione più elevata.

USI e BENEFICI delle foglie di NEEM (seconda parte)

di Luca Cozzi:(Inizio seconda parte)

In quale forma sia meglio assumere le foglie di Neem internamente mi porta a considerare un aspetto interessante che comunque si applica a tutte le erbe e non solo al neem. Parlo quindi di tinture, estratti, capsule, tea.

Estratti e Tinture della foglia di Neem: se una pianta contiene sostanze tossiche, queste si concentrano solitamente negli estratti e nelle tinture. Diversi estratti conterranno diverse concentrazioni di diversi principi attivi a seconda del solvente utilizzato e del metodo di lavorazione. L’estratto di Neem è noto soprattutto per i suoi promettenti usi medicinali, ma alcuni esperimenti condotti su estratti di foglie di neem hanno evidenziato spiacevoli effetti collaterali negli animali di laboratorio. Se non si sa esattamente cosa si sta assumendo e che cosa si sta facendo è fortemente sconsigliata l’auto-medicazione con estratti o tinture. L’uso di estratti dovrebbe essere lasciato agli esperti medici ayurvedici.

Le capsule di Neem sono molto popolari perché sono convenienti, facile da usare e perché si evita il sapore estremamente amaro delle foglie. Ma le capsule sono il modo meno efficace di utilizzare le erbe. Sono generalmente mal digerite, scarsamente utilizzate e spesso stantie e inefficaci, il che significa anche che sono senza dubbio sicure…

Tè di Neem: le erbe essiccate preparate in tisane o infusi sono solitamente sicure ed efficaci. Questo è vero anche nel caso delle foglie di neem. Un tè di foglie di Neem ha un sapore estremamente amaro ed è quindi consigliabile miscelare le foglie con altre erbe. Nella medicina ayurvedica il neem non viene mai usato da solo ma assieme ad altre erbe.

Ricordo infine ancora che l’uso interno delle foglie di neem può interferire con il concepimento e con la gravidanza. Se si sta cercando di avere un bambino è consigliabile evitare il neem. Ma allo stesso modo bisogna sapere che se si stà cercando un mezzo naturale di contraccezione, ad oggi non esistono ricerche che provino l’efficacia come contraccettivo delle foglie di neem per uso interno.

Riporto ora alcuni esempi di come poter utilizzare le foglie fresche o essiccate di Neem.

Per preparare l’estratto di foglie di Neem: coprire le foglie di neem con acqua in un rapporto di 1 a 5 (1 Kg di foglie e 5 Kg di acqua), lasciare le foglie in ammollo per 12 ore, non scaldare o bollire il mix perchè il calore abbassa il contenuto di Azadirachtina contenuto nelle foglie, trascorse le 12 ore macinare le foglie in acqua e poi filtrare il composto. Per filtrare bene il composto conviene dapprima filtrare utilizzando della garza così da eliminare il grosso e poi filtrare una seconda volta utilizzando appropriata carta filtro. Avrete ottenuto a questo punto un liquido chiaro e trasparente. Mettere l’estratto in bottiglia scura e conservare in frigorifero. Il consiglio è sempre, avendone la possibilità, di preparare giornalmene l’estratto così da poterlo assumere sempre fresco. L’estratto può anche essere aggiunto all’acqua del bagno per proteggere la pelle e combatterne le impurità. Se volete usare le foglie di Neem per il bagno ma non avete dell’estratto pronto, potete allora mettere a bollire dell’acqua con una buona dose di foglie (come per preparare un tea robusto) e poi aggiungerlo all’acqua del bagno.  Se invece volete preparare un’estratto da utilizzare per le vostre piante da giardino (azione fungicida, antiparassitaria e insetticida) allora, mantenendo gli stessi rapporti, lasciate le foglie a bagno per una settimana e poi spruzzatene l’estratto. L’esratto ottenuto sarà molto più potente ma nello stesso tempo anche dall’odore molto più intenso.

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Per preparare dell’acqua di neem da utilizzare in caso di prurito agli occhi, occhi rossi, congiuntivite ecc bollire dieci foglie fresche di neem in un litro d’acqua per dieci minuti, mettere alcuni pezzi di cotone a bollire assieme così che possano assorbire le impurità. Lo stesso mix può essere utilizzato per gargarismi per curare il mal di gola e come lavaggio della bocca per il trattamento di malattie gengivali oltre che per prevenire la carie. Per preparare invece un’acqua per lavare il viso mettere a bollire in acqua una buona dose di foglie (come per preparare un tea robusto), far bollire per qualche minuto poi filtrare e aspettare che il composto sia diventato freddo. Lavarsi il viso più volte al giorno permette di sfruttare le proprietà antibatteriche del Neem in caso di acne e punti neri con risultati eccellenti.

Un’altro utilizzo delle foglie di Neem è la preparazione di una pasta o crema di foglie di Neem. Può essere utilizzata per il trattamento di vari disturbi della pelle…acne, punti neri, eczema, psoriasi, scabbia; qualsiasi disturbo della pelle vi affligga, con l’applicazione della pasta di neem potrete avere incredibili benefici. Sono diversi i metodi utilizzati per preparare questo  erbolato e di seguito ne riporto alcuni.

Il metodo più semplice prevede l’utilizzo del mortaio e del pestello. Pestare alcune foglie fresche di neem con l’aggiunta di poche gocce d’acqua, quantità sufficiente a rendere cremoso l’erbolato. Usare il preparato così come è. Applicare sulla pelle e lasciare per venti minuti o fino a quando è quasi asciutto e poi risciacquare.

A volte nella preparazione vengono usate più piante, o parti di esse, come ad esempio nel trattamento tradizionale per combattere la scabbia, utilizzato anche in più di uno studio clinico,     dove vengono combinate quattro parti di foglie di neem e una parte di curcuma. Un’altra variazione è quella di coprire le foglie di acqua calda fino a quando non si siano ammorbidite, una volta morbide schiacciarle nella stessa acqua fino ad avere ottenuto una crema. È anche possibile utilizzare l’estratto di foglie; mescolare l’estratto con un’altra droga in polvere, ad esempio polvere di calamina (il suo nome deriva dal latino “calamina”, a sua volta dal greco “kadmeia”, che significa “terra di Cadmo”, in rifermento all’omonimo personaggio leggendario, fondatore di Tebe. La polvere di calamina è formata principalmente da ossido di zinco (ZnO), di colore bianco, oltre ad una piccola quantità di ossido di ferro; la combinazione dei due elementi crea questa graziosa e leggera polvere rosa. L’ossido di zinco, noto anche come zinco bianco o bianco di Cina, viene utilizzato negli unguenti medicinali come antisettico. Viene ricavato dalla zincite, un minerale che diventa ossido di zinco se esposto ad alte temperature. La polvere di calamina è uno dei componenti principali della tradizionale lozione di calamina, molto usata come lenitivo per episodi di eritema, urticaria e irritazione cutanea. Storicamente veniva mescolata con l’acqua di rose come ingrediente di una maschera lenitiva per il viso. Tradizionalmente la polvere di calamina è utilizzata all’interno di ciprie, polveri di talco e dentifrici)  o polvere di legno di sandalo. Raggiungere la consistenza di crema e quindi applicare.

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Ovviamente l’erbolato di neem può essere anche preparato partendo da foglie essiccate. Questo è un modo facile e veloce per fare un buon erbolato di neem utile per i piccoli disturbi della pelle come brufoli o foruncoli, infezioni della pelle, acne ecc. L’utilizzo dell’erbolato preparato partendo da foglie essiccate è solo molto più conveniente poiché le foglie essiccate sono molto più facili da mantenere e conservare. Mescolare una piccola quantità di foglie essiccate con una sufficiente quantità d’acqua fino al raggiungimento della consistenza desiderata. Applicare sulla pelle e lasciare asciugare. Un’altro modo per preparare un efficacissimo erbolato di neem è l’utilizzo della pelle/corteccia dei ramo giovani. Strofinare la corteccia su una superficie ruvida con un pò di acqua fino ad ottenere una pasta marrone. La crema ottenuta può essere utilizzata tal quale oppure miscelata con la crema ottenuta dalle foglie.

Questi sono solo alcuni dei metodi più semplici ed abbordabili da chiunque, metodi usati come “rimedi casalinghi” e tratti dall’uso tradizionale che viene normalmente praticato nei villaggi Indiani e Bangladeshi. Per riuscire a trasmettervi quanto la pianta di Neem sia di vitale importanza nella quotidianità ed economia dei villaggi aggiungo anche un’altro modo in cui le foglie di neem vengono usate.

Nel controllo dei parassiti  nei prodotti immagazzinati è uso mettere alcune foglie secche di neem all’interno dei contenitori, questo permette di preservare in maniera ottimale i prodotti. Farina di frumento, curcuma in polvere, farina di mais, farina di riso, legumi, ecc vengono spesso infestati da parassiti come il coleottero rosso della farina, il coleottero  del sorgo, noci, frutta secca, ecc., quando questi prodotti alimentari vengono conservati in contenitori che per lungo tempo non vengono aperti.  Molte persone non sono consapevoli dei sintomi né delle ragioni per le quali avvenga l’infestazione da parassiti. La larva, così come l’adulto dell’insetto, rompe il duro rivestimento del seme e si introduce mangiando completamente l’endosperma contenuto nei chicchi. Nel caso della farina è stata anche riscontrata la presenza, all’interno dei contenitori, di deiezioni dei parassiti.  Di seguito riporto una parte tratta dall’articolo – Natural Remedies For Controlling Pests in Your House – scritto da  K Vijayalakshmi & Subhashini Sridhar del “Centre for Indian Knowledge Systems”.

 

[..] Umidità e asciugatura

L’eccessiva umidità nei prodotto alimentari immagazzinati è una delle principali cause di malattie fungine come la muffa e inoltre attire molti parassiti. Quindi una periodica aerazione sotto il sole caldo,  dell’alimento immagazzinato, ne impedisce la formazione. È più sicuro immagazzinare le grandi quantità di granaglie in grandi sacchi. Prima di essere utilizzati, i sacchi,  vanno trattati con una soluzione preparata con i kernel del neem (il kernel è la parte dura che protegge il seme). Per peparare una soluzione al 10% con i kernel del neem, polverizzare 1 Kg di kernel di neem, raccogliere la polvere in un sacchetto di stoffa e metterlo in ammollo in 10 litri di acqua durante la notte. Il mattino successivo spremere bene il sacchetto e immergere per mezz’ora in questa soluzione i sacchi. Mettere i sacchi ad asciugare all’ombra e quindi utilizzarli per immagazzinare le granaglie. Questo metodo preserva il prodotto da attacchi di parassiti  per un anno. Per utilizzare questo metodo anche con i sacchi di stoffa sono necessari 2-3 litri di  Per 10 borse di stoffa, due o tre litri di una soluzione fatta con l’estratto di semi di neem.

Conservare i prodotti vegetali

Per immagazzinare prodotti alimentari come legumi, frumento, riso e altre derrate, possono essere adottati i seguenti metodi:

  • Per un kg di qualsiasi tipo di granaglia , bisogna usare 10 gr di polvere di semi di neem. La polvere può essere raccolta in un sacchetto di stoffa e posizionata all’interno dei contenitori.
  • La polvere dei  rizomi di Acorus calamus può essere mescolata nella proporzione di 1 kg a 50 kg di grano. Per lo stoccaggio del riso, è consigliato un kg per 100 kg di riso. Questa polvere può essere messa in una busta di panno che viene inserita nel contenitore dove è immagazzinato il prodotto.

    (Fine seconda parte)

 

Oligoelementi e Oligoterapia (seconda parte)

Di Elena Radici, seconda parte:

 

3- LE REAZIONI BIOCHIMICHE

Le reazioni chimiche, in generale, avvengono solo in determinate condizioni e a determinate velocità, esistono, infatti, reazioni chimiche che procedono ad altissima velocità ed altre che sono, invece, estremamente lente.

Questa velocità si può modificare ed, in effetti, viene influenzata da sostanze chiamate Catalizzatori. Esse non modificano la reazione, ma le forniscono una “strada” alternativa più veloce.

In pratica, una reazione, in presenza di un Catalizzatore, acquista (nella maggioranza dei casi) una velocità di reazione maggiore.

Questo fenomeno viene chiamato Catalisi.

Il nostro organismo funziona grazie a Reazioni Biochimiche estremamente veloci: nelle Cellule avvengono una quantità enorme di reazioni in frazioni infinitesime di secondo.

Le condizioni di Temperatura (37°C circa), Pressione atmosferica (normali, circa 1) e PH (vicino alla neutralità) del nostro organismo (quindi il luogo dove avvengono queste reazioni) sono particolarmente blande e certo da sole non permetterebbero alle Reazioni Biochimiche di avvenire in tempi così brevi, compatibili con la vita.

Per questo motivo il ruolo dei Catalizzatori, ovvero degli Enzimi, è così importante, vitale.

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4- GLI ENZIMI

Abbiamo detto che gli Enzimi sono dei Catalizzatori biologici, sono responsabili del regolare svolgersi delle reazioni biochimiche sulle quali si fonda l’equilibrio metabolico del nostro organismo; quindi sono indispensabili alla vita e al benessere del nostro organismo.

Sono stati isolati e studiati e si è visto che un gran numero di Enzimi contiene un Oligoelemento o comunque funziona solo in presenza di un Oligoelemento, perciò anche essi sono indispensabili alla vita e al benessere del nostro organismo.

Una carenza di Oligoelementi può quindi portare ad un blocco, sia pure parziale, di un sistema enzimatico, con conseguente squilibrio metabolico e ripercussioni negative sulla nostra salute.

 

5- CONCETTO DI AMETALLOSI

“Ametallosi è una carenza locale o generale, momentanea o persistente, continua o intermittente di ioni metallici necessari per lo svolgimento delle reazioni metaboliche che non possono effettuarsi in modo fisiologico senza la loro partecipazione”

(Claude Meunier, ricercatore francese)

 

L’Ametallosi quindi è alla base di uno squilibrio metabolico che si ripercuoterà inevitabilmente sullo stato di salute: questa compromissione metabolica sarà cioè l’effetto di una carenza anche parziale di oligoelementi nel nostro organismo.

Possiamo sintetizzare e chiarire questo concetto con un piccolo schema:

 

Ametallosi >> Deficit di attività enzimatica >> Dismetabolismo >> Malattia funzionale

 

Questa correlazione è tuttavia reversibile.

E’ provato infatti che reintroducendo gli oligoelementi metallici carenti, prima che la malattia provochi lesioni irreversibili, si corregge lo stato di Ametallosi, si compensa il deficit enzimatico, si riequilibra il metabolismo e pertanto si ritorna allo stato di salute o quantomeno si blocca l’evoluzione della malattia funzionale.

(E’ questo meccanismo compensativo che ci fa paragonare gli oligoelementi alle vitamine, tanto che alcuni ricercatori chiamano gli oligoelementi “vitamine inorganiche”)

 

 

6- L’AZIONE CATALITICA DEGLI OLIGOELEMENTI

L’impiego terapeutico degli oligoelementi è senz’altro basato sulla necessità di correggere eventuali carenze, ma questa azione primaria non è l’unica.

Va riconosciuta agli oligoelementi un’altra azione che è sempre di tipo catalitico e che

 

“è orientata verso la regolazione degli scambi ionici. E’quest’ultima azione che ci sembra costituire la base della Terapeutica Funzionale. In effetti certi oligoelementi (elementi chimici denominati -di transizione-) sembrano dotati di caratteristiche fisiche atte a favorire gli scambi ionici proprio per la loro struttura elettronica”.

(J. Ménétrier)

 

Questa azione catalitica di tipo enzimatico avviene grazie alla forte diluizione e ionizzazione dei preparati oligoterapici.

Questi scambi ionici, questa particolare reattività chimica, che si traduce in una altissima biodisponibilità, consentono agli oligoelementi di intervenire in maniera correttiva sui terreni organici*.

Si tratta cioè di un intervento sulla globalità diatesica* tant’è che vedremo modificarsi sia le caratteristiche intellettuali, psicologiche, fisiche che le manifestazioni pre o parapatologiche.

Quand’anche non si arrivi alla guarigione, si determina comunque un miglioramento netto e generale, così come si potrà agire positivamente nei trattamenti preventivi delle varie patologie.

Si tratta quindi di due azioni distinte: una che corregge una determinata carenza e l’altra che produce una regolazione ionica.

La Medicina Funzionale, tramite l’impiego della terapia catalitica con gli oligoelementi, si indirizza “innanzitutto verso i meccanismi intimi della materia vivente per regolarizzarli”, riportando cioè ordine e armonia dove vi è squilibrio e disarmonia.

In questo senso l’Oligoterapia deve essere considerata come trattamento causale che tende a rimuovere, in senso globale, le cause e non solo gli effetti del disordine diatesico*.

 

*Questi termini verranno spiegati meglio nel prossimo paragrafo dove entreremo nel vivo dell’Oligoterapia.

 

7- DIATESI E TERRENO ORGANICO

Con il termine Diatesi, nella medicina classica, si definiva la predisposizione di un soggetto a contrarre una determinata malattia.

Ménétrier ampliò questa definizione identificando con la parola Diatesi la tendenza morbosa generale del terreno di un soggetto prendendo in considerazione

le caratteristiche intellettuali (memoria, capacità di concentrazione, creatività…),

quelle psicologiche (atteggiamento nei confronti della vita, ottimismo, pessimismo, indifferenza…),

il tipo di sonno del soggetto e la sua stancabilità,

oltre ovviamente alla predisposizione a contrarre certe malattie.

Egli suddivise i suoi pazienti in 4 gruppi omogenei, cioè in 4 Diatesi che chiamò così:

 

Diatesi 1 o Allergica

Diatesi 2 o Ipostenica

Diatesi 3 o Distonica

Diatesi 4 o Anergica

 

Egli somministrò particolari miscele di oligoelementi ad ognuna delle 4 Diatesi fino alla scoperta della risposta significativamente positiva di una di esse alla somministrazione di un particolare oligoelemento o miscela di oligoelementi che vennero, pertanto, definiti “Diatesici”.

Scoprì così che la Diatesi 1 o Allergica rispondeva positivamente al Manganese, quella Ipostenica al Manganese-Rame, quella Distonica al Manganese-Cobalto e quella Anergica al Rame-Oro-Argento.

Dosi piccolissime, dell’ordine dei millesimi di milligrammo di sali di questi metalli, altamente ionizzati, che venivano somministrate per via perlinguale (sotto la lingua) con posologie abbastanza rarefatte, 2-3 volte alla settimana, davano risultati estremamente interessanti in molte patologie funzionali.

Da questi risultati ebbero il via numerosissime sperimentazioni in tutta Europa. L’impiego degli oligoelementi si estese coinvolgendo altre miscele e altri metalli e metalloidi che divennero complementari alle miscele Diatesiche.

 

Bibliografia:

Alfredo Torti “Il presente terapeutico degli oligoelementi”, Giuseppe Maria Ricchiuto Editore

M. Deville, F. Deville “Gli Oligoelementi” Edizioni Mediterranee

USI E BENEFICI delle foglie di NEEM (prima parte)

Le foglie di Neem dovrebbero ottenere l’attenzione che meritano ma finora non è stato così, non perlomeno nel mondo occidentale. Molte persone hanno sentito parlare dell’olio di neem e delle sue proprietà come insetticida, ma pochi sono consapevoli delle stupefacenti e innumerevoli proprietà medicinali delle foglie di neem. In India la situazione è diversa, la Medicina Ayurvedica ha da sempre utilizzato le foglie. Oltre il 75% dei rimedi ayurvedici contengono neem e solitamente vengono utilizzate le foglie (o suoi estratti), a volte la corteccia, i frutti, i fiori e quasi mai l’olio estratto dai semi. La foglia è comunque la parte della pianta maggiormente conosciuta dalla medicina occidentale, una ragguardevole parte degli studi scientifici sul neem sono stati fatti con le foglie di neem o estratti della stessa.
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L’olio di neem è l’olio estratto dalla spremitura dei semi e non, come qualcuno erroneamente crede, ottenuto dalle foglie. L’olio può essere reso sicuro per il consumo e soprattutto l’uso di olio di neem come anticoncezionale (pillola maschile) continua a generare moltissimo interesse. Tuttavia ha davvero bisogno di speciali conoscenze e trattamenti prima di poter essere assunto internamente.
Non così per le foglie. Le foglie di Neem sono considerate sicure anche per l’assunzione interna, su base regolare o giornaliera, escludendo però le donne in attesa o che stanno cercando di concepire. Per migliaia di anni le persone del subcontinente indiano hanno assunto foglie di neem per via interna senza che ci siano mai state eventuali segnalazioni di effetti collaterali negativi.
Naturalmente è necessario utilizzare il buonsenso come si dovrebbe fare con qualsiasi erba. Per assicurarsi che non vi siano reazioni allergiche si consiglia sempre di provarne una piccola quantità e, altro aspetto importante, non esagerare mai perchè è completamente falso che “se 1 fa bene, 10 fa meglio”. Pur avendo un alone di mistero che spesso può far apparire magiche le proprietà medicinali delle piante, così non è e la pianta di Neem stessa non è una cura magica che risolve ogni problema prendendone a sufficienza, ma può aiutare in moltissimi ambiti, se assunta in modo sensato.
Nel 2005 è stato pubblicato un lavoro intitolato: Medicinal properties of neem leaves: a review. È una raccolta di studi scientifici e studi clinici esistenti. Mostra in maniera impressionante quanto versatili siano le foglie. Ecco ciò che è stato scritto circa i benefici delle foglie di neem: “La foglia di Neem e suoi costituenti hanno dimostrato di possedere proprietà immunomodulanti, antinfiammatorie, antiiperglicemiche, antiulcera, antimalariche, antifungine, antibatteriche, antivirali, antiossidanti, proprietà antitumorali e antimutageniche.”

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Se si prova ad andare nella pagina web PubMed e si fa una ricerca con il vocabolo “neem” associato al vocabolo “foglia o foglie”, si possono trovare alcuni degli studi che sono stati pubblicati fino ad oggi e sono veramente tanti. Essendo i titoli delle ricerche molto tecnici e scientifici, non a tutti possono risultare familiari, ma alcune parole potrebbero saltare all’occhio anche ai meno ferrati: HIV/AIDS, cardioprotettivo, risposta immunitaria, cellule del tumore, immunità anti-tumorale…
Per dare un senso all’apparente “senza senso scientifico”, di seguito vengono fornite ulteriori informazioni per aiutarvi a meglio comprendere i benefici delle foglie di Neem e mostrarvi come poterle utilizzare.
Il Neem è stato spinto, soprattutto a partire dagli anni 90’, come l’erba delle meraviglie, una droga miracolosa in grado di risolvere ogni cosa. “Le foglie di Neem curano il diabete” si legge alle volte in alcuni titoli.
Grandioso! Come potete immaginare a molti occidentali piacerebbe prendere semplicemente una pillola al giorno piuttosto che cambiare abitudini alimentari malsane. Non stupisce infatti che in molti mercati le capsule contenenti foglie di neem stiano vendendo bene. Ma c’è un altro aspetto del neem. L’olio di Neem può essere tossico, come possono le foglie essere sicure? Le foglie non dovrebbero contenere gli stessi principi attivi come l’olio estratto dai semi? E se le foglie sono più sicure, quanto più sicure?
In migliaia di anni di uso nella medicina tradizionale e in decine di anni di studi scientifici, le foglie fresche o essiccate di neem non hanno mai evidenziato effetti collaterali per qualcuno o qualcosa.
Tuttavia, alcune persone hanno reazioni a diverse sostanze, farmaci, alimenti o erbe. Inoltre, a seconda di che cosa si sta prendendo ci possono essere interazioni inaspettate. Se si prende il neem per la prima volta, provare a prenderne solo un poco e vedere cosa succede. Potreste essere la prima persona a mostrare una reazione allergica al neem.
Per le informazioni conosciute sull’utilizzo delle foglie di Neem per uso interno, si può affermare che l’assunzione, anche giornaliera, non ha mai creato problemi o causato disturbi ad alcuno. Da una ricerca effettuata da noi (non perchè si sia più bravi, ma solo perchè presenti sul territorio ce lo siamo potuti permettere), in Bangladesh, nelle comunità contadine, principalmente di religione Hindù, era ed è abitudine delle madri, prima di dormire, mettere a bagno in un bicchiere d’acqua alcune foglie fresche di neem e far bere l’acqua ai figli il mattino seguente. Le madri lo fanno perchè cosi gli è stato tramandato da generazioni, ad oggi la ricerca ha confermato che questo utilizzo permette di prevenire e combattere l’elmentiasi. Tuttavia vorrei suggerire ancora una volta di lasciarsi guidare dalla regola del buon senso e dai consigli di esperti. Il Neem è una pianta molto potente. Per sicurezza potete iniziare a prenderne poco e vedere come reagisce il vostro corpo. Certamente un’altro aspetto da non sottovalutare rispetto alla sicurezza è la provenienza. Stiamo parlando di una pianta con oltre cento principi attivi, non si tratta di una singola sostanza che può essere misurata esattamente. Che cosa esattamente si sta prendendo quindi varia, a seconda della zona di provenienza, se da raccolta spontanea o da coltivazione, come è stata coltivata, in quale periodo dell’anno è stata raccolta, come è stata processata e immagazzinata e così via. Per cui riassumendo le regole: 1) trattare il neem come qualsiasi altra erba medicinale potente, con buon senso e rispetto; 2) acquistare prodotti biologici da venditori affidabili ed esperti; 3) usare il neem con moderazione, come suggerito, e osservare da vicino i risultati. (Finora nessuno caso è mai stato denunciato di sovradosaggio delle foglie).

(Fine Prima parte)

Evento ” La metamorfosi nelle piante e nel paesaggio ” 26-29 giugno 2014 presso Oasi San Benedetto ( Lamoli, PU )

La metamorfosi nelle piante e nel paesaggio

V° Corso teorico pratico di osservazione della natura

Oasi San Benedetto (Lamoli, PU) 26-29 giugno 2014

Metamorfosi  significa  trasformazione,  mutamento,  modificazione.  Il nostro occhio vede però nel ricco mondo delle piante solo delle forme finite, ferme, disposte nello spazio. Eppure sappiamo che sono il risultato di processi che si svolgono nel tempo, la foglia finita si è sviluppata dalla sua gemma, la pianta stessa nel suo insieme dal suo seme. Come possiamo avvicinare la metamorfosi delle forme?  Goethe scienziato apre un vasto campo di ricerca che non riduce il fenomeno della forma vegetale a  processi  fisico-chimici,  ma  ci  sollecita  ad  avvicinare  concretamente con la nostra esperienza sensoriale le singole piante e l’ambiente in cui crescono, nei loro colori, nelle loro forme, nei loro profumi, nei loro sapori  e  così  via.  Possiamo  riscoprire  un  rapporto  personale  con  le piante  stesse  e,  al  contempo,  cogliere  attraverso  la  metamorfosi l’elemento universale che le unisce. Il corso comprende laboratori di osservazione  nel  paesaggio  dell’Alpe  della  Luna,  relazioni,  esperienze artistiche, pratiche di estrazione e erboristeria pratica.

http://petrarca.info/pdf/metamorfosi_2014.pdf

La metamorfosi nelle piante e nel paesaggio

 

 

 

 

 

IL LENTISCO, LA PIANTA CHE SANA DENTI, GENGIVE, STOMACO E LE EMORRAGIE

ARTICOLO PER VAL D’ORCIA – DI Luigi GIANNELLI – PIANTE TIPICHE

La Val d’Orcia è una delle zone più ricche di flora tipica della Toscana e, forse, dell’Italia.
Innanzitutto, nonostante la non vicinanza con il mare, risente del suo inesorabile influsso e si crea una forma di macchia mediterranea, al tempo stesso tipica e con caratteristiche peculiari.
Il terreno, prevalentemente argilloso, misto ad ampi banchi di travertino (che è calcare “spugnoso-cavernoso” a carattere sedimentario-termale), favorisce le specie che amano l’alcalinità e la secchezza, tuttavia vicina ad un corso d’acqua importante (l’Orcia) e prossima alle fonti termali.
Nel mondo antico località come questa erano considerate vere miniere di materie prime di grandi utilità, vegetali, ma anche minerali ed animali.

Elemento caratteristico della macchia mediterranea è il Lentisco (Pistacia Lentiscus L.) della famiglia delle Anacardiacee (di essa fanno parte l’Anacardio, il Pistacchio, il Terebinto; alcune fonti di frutti oleaginosi, quasi tutte emettono –in condizioni particolari – delle gommo-resine).
Appunto, una delle gommo-resine più famose fin dalla più remota antichità è il Mastice (dal greco “Mastikà”).
Il Lentisco, ahimè, in Val d’Orcia, non trova un clima adatto ad emettere questa preziosa gommo-resina. Essa è tipica dell’arcipelago ellenico. L’isola più importante per la produzione del Mastice è l’isola di Chio: celebre nei mercati e nei traffici del mondo antico, ma ancor oggi non è stato dimenticato, era il “Mastice di Chio”.
Era usato popolarmente sia come una sorta di “chewing-gum”, masticato energicamente per rafforzare le gengive e curare disturbi di stomaco. Tant’è vero che una parte dell’olio essenziale che si trova nella gommo-resina, molto gradevolmente aromatica, è attivo sull’Helycobacter pylori, responsabile di molti danni alla mucosa gastrica.
Sappiamo bene che gli antichi, pur non sapendo molte cose che sappiamo oggi, si comportavano come se le conoscessero perfettamente!
La tradizione contadina locale faceva usare le foglie ed i giovani rametti di Lentisco per curare le gengive infiammate, i denti smossi, la piorrea, il mal di gola……. Ed il mal di stomaco!
I nostri contadini masticavano le foglie come i contadini greci masticavano il Mastikà.
Ma vediamo i “sacri testi” (Quelli di Dioscoride – originario di Anazarba, in Cilicia, medico militare sotto Vespasiano e Tito nella Prima Guerra Giudaica, Imperatore il buon Nerone, e di Galeno, medico personale imperiale, da Marco Aurelio fino a Settimio Severo):
Come sempre “aggiusteremo” alcune parole e frasi secondo la mentalità odierna, per facilitare la lettura.
Dioscoride, Materia Medica, Libro I°, Cap. 72° (vers. Mattioli)
<<……………Ogni parte della pianta ha virtù astringente, ovvero i frutti, le foglie, i rametti, la corteccia e le radici. Con la corteccia, le foglie e le radici se ne fa un liquido in questo modo: si cuociono lungamente nell’acqua; poi si toglie dal fuoco, si raffredda, si filtra e si torna a far bollire finché non assume la consistenza del Miele. Si beve il Lentisco, con successo, per curare il vomito di sangue, i flussi del corpo [emorragie intestinali] e la diarrea; è utile anche nelle emorragie mestruali ed al prolasso uterino e anale. Serve a sostituire il l’Acacia e l’Ipocistide [piante fortissimamente astringenti]. Lo stesso effetto lo fa il succo spremuto dalle foglie triturate. La sua decozione applicata esternamente, cura le ulcerazioni e le ferite; consolida le rotture delle ossa, ristagna i flussi mestruali e ferma le ulcere “serpeggianti”. Bevuto è anche diuretico. Lavandosene la bocca, ferma i denti smossi [vedere come gli usi tradizionali si conservano per secoli e secoli!]. Si usano i suoi rametti per pulirsi i denti, al posto delle Canne [antenati degli spazzolini da denti]. Dal frutto si estrae un olio, conveniente quando ci sia da astringere. Produce il Lentisco una resina [oggi sappiamo che è una gommo-resina (1)], chiamata da alcuni “Lentiscina” e da altri “Mastice”. Questa, bevuta, giova al vomito di sangue ed alla tosse cronica; fa bene allo stomaco ma fa fare rutti (!). Si mette nelle polveri che si preparano per i denti e nei cosmetici che si usavano per schiarire la pelle del viso. Fa rinascere i peli delle palpebre e masticandola fa buono l’alito e rassoda le gengive. Nasce copiosa ed ottima nell’isola di Chio. Lodasi quella che risplende come una lucciola e quella che rassomiglia, nel suo candore alla Cera di Toscana, piena, secca, fragile, profumata , e stridente [si riferisce al rumore stridulo che fanno i grani della gommo-resina quando si sfregano tra di loro]. Se è verde è meno attiva. Si sofistica con l’Incenso (2) e con resine dei gusci delle pigne.>>

Mattioli, nel commentario che segue il testo Dioscorideo (ci serviamo dell’edizione veneziana del 1557 dei “Discorsi sui sei libri della Materia Medicinale di Pedacio Dioscoride Anarzabeo”), ci fa sapere che il Mastice si produce anche in Italia. Noi riteniamo soprattutto nelle regioni più calde, assolate e più vicine al mare.

Galeno descrive il Lentisco nell’ VIII° Libro del “Le Virtù dei semplici medicamenti” (ovvero dei singoli prodotti usati per fare medicamenti); in questa parte del testo, Galeno descrive sia il Lentisco come tale, sia il Mastice.

<< Lentisco (“” – “Schinos”) Il Lentisco è un arbusto che contiene una essenza Acquea leggermente Calda e di una minore parte Terrestre e Fredda, grazie alla quale è moderatamente astringente. Dissecca tra la fine del II° grado e l’inizio del III°, ma è quasi equilibrato tra Calore e Freddezza. E’ astringente in tutte le sue parti, nelle radici, nei rami, nei germogli, nelle foglie, nei frutti e nella corteccia del fusto e dei rami. Il succo estratto dalle foglie è anche esso simile e moderatamente astringente. Lo si assume per via interna da solo o mescolato ad altri ingredienti nella diarrea ed in altre affezioni intestinali; giova nell’emottisi, nelle metrorragie e nel prolasso anale o dell’utero; questa ultima attività lo rende simile, affine e mescolabile con l’ Ipocistide [vedi anche il testo di Dioscoride] >>

<< Mastice (“” – “Mastike”) Quando è candido, è consuetudine chiamarlo “Chio” (20). E’ costituito da virtù contrarie, astringente ma anche emolliente; per questo motivo cura le infiammazioni dello stomaco, dell’intestino e del fegato. Considerato il bilancio finale delle sue qualità, risulta Caldo e Secco nel II° grado. Quello nero è detto “Egizio” ed è più disseccante e meno astringente e quindi più adatto a disperdere i flussi Umorali per traspirazione; sempre per questo motivo è un eccellente rimedio per i foruncoli. Macerandolo con Olio si ottiene l’ Unguento Masticino, ma lo si prepara solo con il “Chio” e non con l’ “Egizio”. Questo Unguento ha le stesse proprietà della droga tal quale >>.

Attenzione: mentre la descrizione di Dioscoride è comprensibile a tutti ancor oggi, perché più semplice e pratica, il testo di Galeno è molto più complesso ed occorre conoscere bene la Dottrina Umorale, secondo quella che abbiamo definito “Medicina Tradizionale Mediterranea”, in uso da noi fino alla fine del XVIII° secolo.
I fenomeni naturali sono descritti secondo le Quattro Qualità (Caldo, Freddo, Secco e Umido) ed una loro accurata graduazione: il Lentisco è secco (perciò dissecca) tra il II° ed il III° grado, ed è equilibrato tra Calore e Freddezza. Invece il Mastice è Caldo e Secco nel II° grado.
Tenendo conto che la graduazione va dal I° grado al IV° (il massimo) si capisce l’intensità degli effetti. Inoltre il Caldo ed il Secco generano l’Elemento Fuoco, il Caldo e l’Umido l’Elemento Aria, il Freddo e l’Umido l’Elemento Acqua, il Freddo e il Secco l’ Elemento Terra.
Quindi, mentre il Lentisco è solo essiccante, il Mastice è governato, pur in basso grado (il II°) dall’Elemento Fuoco.

Concludendo, possiamo usare il nostro Lentisco, raccogliendolo in Val d’Orcia, tenendo conto che la pianta è attiva raccolta in tutte le stagioni, ma tra l’inverno e la primavera, oppure nell’estate.
E’ più ricco o della componente astringente (stagioni fredde) o della componente aromatico-resinosa (stagioni calde). Meglio raccoglierlo a luna calante, come la maggior parte delle piante.

E’ utile sia per uso interno (diarree, emorragie, ulcerazioni alle mucose digestive), sia nell’uso esterno (come colluttorio gengivale, nelle forme lievi di piorrea, nelle infiammazione del cavo orale e soprattutto nelle emorragie post-estrazione o altri piccoli interventi odontoiatrici); eccellente per fare gargarismi per il mal di gola. Ottimo emostatico nelle piccole ferite accidentali.
Si può usare come decotto di alcuni minuti (non facciamo come gli antichi) e lasciar riposare almeno due ore o tutta la notte.
Ottimo l’estratto idroalcolico, da fare con alcool (quello “Buon Gusto”, da liquori) a gradazione intorno ai 60°. La soluzione si prepara mescolando 600 ml di alcool e 400 ml di acqua distillata o meglio ancora con acqua minerale povera di Sali.
Si lascia in macerazione almeno un mese, poi si scola, si spreme, e poi si filtra con carta-filtro o con cotone idrofilo, messo “a spessore” in un imbuto.
La soluzione idroalcolica così fatta, blocca le emorragie da piccoli interventi odontoiatrici in pochi minuti, quando occorrono a volte un paio di ore.

Per ottenere colluttori e preparati più attivi si mescolano le foglie fresche ben triturate con piante ad azione analoga o potenziante, come la Mirra (anche essa è una gommo-resina), i Chiodi di Garofano, la Genziana, tutte piante emostatiche, astringenti o antidolorifiche (soprattutto la Mirra e i Chiodi di Garofano).
Ottimo decotto per le forme gastriche ulcerose o semplicemente infiammatorie così fatto: un pugno di foglie di Lentisco, Melissa, Cannella triturata, Liquirizia e Malva, più o meno in parti uguali. Se ne fa un brevissimo decotto (1 minuto!), poi si lascia riposare per 15 minuti e si beve a fine pasto.
Gli ipertesi e quelli che non vogliono la Liquirizia, si mette dell’Anice semi (in realtà sono i frutti).
Ed ora…….. buona raccolta! Ci raccomandiamo sempre di raccogliere solo le quantità che servono all’uso personale.
Le foglie possono anche essere essiccate, conservando i loro poteri, ma dato che la pianta è sempre ben fogliuta, anche sotto la neve, perché non raccoglierla semplicemente quando ce n’è bisogno?

Note:
1) Resina e Gommo-resina: la resina è un polimero di materie terpeniche, solubile solo nelle materie oleose; la gomma è un polisaccaride, che si disperde, formando gel, solo in acqua e soluzioni acquose; le gommo-resine sono complessi dei due polimeri, parte idrofili, parte lipofili.
La parte resinosa contiene anche un olio essenziale, al quale abbiamo sopra accennato.
2) Si sofistica con l’Incenso: si pensi al valore del Mastice, considerando che l’Incenso, all’epoca era molto costoso! Ancor oggi il Mastice costa più dell’Incenso.