“L’ eleganza della Capelvenere”

di dott.ssa Carmela Patania

Il nostro percorso di riscoperta delle piante officinali spontanee inizia con la Capelvenere che possiamo trovare nel nostro territorio (o come mi è capitato,trovandola nascosta nel cavedio dell’ Erboristeria)ma oramai cadute in disuso.Questa piccola felce elegante,dalle fronde piccole a ventaglio dentellate,sorrette da piccoli gamboncelli neri e lucidi,resistenti ed elastici come capelli,si muovono gentilmente al cadere delle gocce su esse.Cresce nei terreni calcarei e nei luoghi ombrosi,come sorgenti e su vecchi muri umidi.
Analizzando il suo nome scientifico Adiantum capillus-veneris L. possiamo ricavarne varie informazioni:dal suo nome greco ( a-diànto = non bagnato)spiega Teofrasto ” la foglia, quando è bagnata, non diventa umida, nè la rugiada si sofferma sulla foglia,perchè l’ umidità non si trattiene su di essa,fatto da cui deriva tale nome”, e secondo Plinio ” la pianta è verde in estate senza far cadere le foglie in inverno”.
Quindi il nome di “capillus Veneris” come la chioma asciutta della Dea appena emersa dalle acque,è stato conferito anche per la bellezza e l’ eleganza del suo portamento.La sua sopravvivenza è legata ad un habitat molto delicato poichè esige ambienti freschi e umidi costanti,inoltre non bisogna lasciare ristagni di acqua e non deve essere esposta a correnti d’ aria.Osservandola,è possibile captare subito la somiglianza delle fronde del Capelvenere con una voluminosa capigliatura,quindi in essa è intrisa la virtù di curare le calvizie e prevenire la caduta dei capelli,secondo Dioscoride “Impiastrata l’ erba fresca … fa rinascere i capelli caduti”. Quindi si prepara il decotto con la pianta fresca per essere frizionato sui capelli per prevenirne la caduta, come antiforfora e contro i capelli grassi.
A partire dal XVII, in Francia ed in Piemonte lo sciroppo di Capelvenere (sirop de capillare, capilèr)utilizzato per combattere i sintomi della tosse (antitussivo ed espettorante),veniva diluito nel latte caldo per preparare il mangia-e-bevi”bavarese ” o il “capilèr” succedaneo del tea o del caffè con uno schizzo di liquore.
Oggi trovare questa graziosa e fragile felce è diventato difficile a causa sia della scomparsa nelle nostre città di fontane sia per uno sconsiderato sfruttamento delle sorgenti,ma specialmente per la mancanza di rispetto verso questi luoghi.
Quindi,se trovate una Capelvenere invece di raccoglierla e strapparla,cercate di mantenere sano il luogo e successivamente,appena sarà più rigogliosa in autunno,dissotterrate il rizoma con un coltello ben affilato,e con esso anche una parte del pane di radici;queste nuove piante vanno subito interrate e ricoperte di terriccio fresco.Mi raccomando mantenete il terriccio umido e senza ristagni di acqua!

Le compresse di Nonna Ortica

Nonna Ortica

Compresse da estratti secchi.

La nostra linea di compresse cerca di ispirarsi alla tradizione erboristica avvalendosi altresì delle più moderne e avanzate tecniche estrattive.E’ per questo che quale ingrediente principale usiamo, in luogo della sola polvere della pianta, il suo estratto secco, da solo o in combinazione con la polvere.

L’estratto secco è una soluzione di fitocomplessi della pianta ottenuto per macerazione della droga in un solvente (spesso acqua) seguita dalla concentrazione della soluzione per mezzo dell’evaporazione del solvente, fino a che il  prodotto si presenta come una polvere che, ovviamente, sarà particolarmente concentrata in principi attivi, che in alcuni casi sono anche determinati e quantificati nella titolazione dell’estratto. Le moderne tecniche di evaporazione dell’estratto usano un atomizzatore (spray dryer). Le antiche tecniche tradizionali prevedevano solo una lenta evaporazione sotto vuoto.

-La formulazione della compressa è caratterizzata dalle seguenti peculiarità importanti :

–   Sono stati esclusi fra gli eccipienti tutti quelli di derivazione animale quali il  magnesio stearato  e il lattosio  in quanto fra i consumatori di prodotti erboristici ci sono parecchi vegetariani stretti  e numerose  sono le persone che presentano intolleranze al lattosio.-

La compressa è realizzata adalta concentrazione di estratto seccoper poter, tra l’altro, ridurre l’assunzione di compresse a 2/3 al giorno con vantaggi di praticità e minor assunzione di eccipienti .-

Un flacone contiene 60 compresse da 400 mg. (di cui 300 mg. di estratto secco),per cui è sufficiente per  20/30 giorni di assunzione; a volte produciamo compresse da 500 mg. con 400 mg. di estratto secco.-

Parecchie compresse contengono oli essenziali di qualità che ne migliorano l’efficacia ( Melissa, Finocchio, Cumino composto, Isoflavoni, Prostatak, Cipresso composto, Eukryos, Cannella- Zenzero etc. )

–  Usiamo solo estratti nativi ( cioè non usiamo quelli che derivano da diluizioni di estratti superconcentrati. Per chiarimenti contattarci! ).

Il rapporto qualità-concentrazione e prezzo è particolarmente vantaggioso.

Il motivo fondamentale per il quale la nostra azienda può  garantire tali condizioni è che preferisce investire in materie prime di alta qualità ed in controlli rigorosi invece che in pubblicità ed in immagine “sfavillante”; ovviamente questa scelta, in parte ci penalizza, dato che i nostri prodotti hanno un aspetto che gli esperti di comunicazione definiscono come di “basso profilo”; in realtà l’ “alto profilo” sta nella superiore qualità del prodotto, rispetto alla concorrenza che, spesso, preferisce investire enormi risorse nell’ “immagine”.-Nell’etichettatura viene minuziosamente e molto chiaramente riportata la qualità, la natura e la percentuale di pianta presente; in questo modo si sa sempre molto bene che tipo di prodotto si sta utilizzando. Quando usiamo estratti di questo tipo li chiameremo estratti secchi tradizionali.

Sulle Tracce della Storia

(Estratto dal  Fitonews  sugli olii essenziali )

 

Di : Lina Suglia

 

 

 

Uomo ed Essenze: un Percorso parallelo, dalla Preistoria alla moderna Aromaterapia

 

 

 

Le essenze hanno accompagnato l’uomo fin dall’inizio della sua evoluzione, quando il  “nuovo animale” era quotidianamente intento a porsi in relazione col mondo circostante, riconoscendo la vita e orientandosi in essa inizialmente tramite l’olfatto.

 

Anche in seguito, nella fase storica dello spodestamento di questo senso a favore della vista, lo sviluppo della complessità sociale e culturale e quello del bagaglio della memoria olfattiva proseguirono parallelamente. Il loro percorso storico si orientò progressivamente verso il trascendente: si impiegarono piante essenzifere in rituali magici e religiosi, per allontanare spiriti maligni e malattie, per ingraziarsi il favore degli dei. In loro onore bruciavano le resine delle Conifere nel Nord Europa, erano offerti l’Incenso, la Mirra, il Lentisco e l’Alloro dal Mar Rosso al Mediterraneo, si donavano cesti di fiori sugli altari dell’Asia e oli profumati su quelli dell’Africa.

 

 

 

In poche Parole

 

Non meno rilievo assunsero le piante ad OE nel panorama dei sistemi medici delle civiltà antiche: da quella egiziana, cinese, mesopotamica e indiana, all’araba, alla greca e alla romana, fino al medioevo.

 

Spesso la connessione tra atto terapeutico e rituale religioso fu tanto intrinseca, da lasciare impronte profonde nel linguaggio: come nel termine indo-iraniano atar, che significa soffio divino, ma anche odore ed essenza, o nel greco pneuma, inteso come soffio creatore, respiro della vita, oppure “arie dell’olfazione”.

 

 

 

L’Essenziale Oggi

In epoca recente, la conoscenza degli aromi vegetali si dispiega attraverso un approccio interdisciplinare, che coinvolge diverse branche scientifiche, come la chimica, la farmacologia, l’ecologia. È interessante osservare che da questo poliedrico insieme di acquisizioni moderne emerge un quadro delle essenze sovrapponibile e coerente a quello rappresentato dal linguaggio analogico e simbolico del mondo antico.

 

Nell’ampia cornice delle possibili applicazioni che ne derivano, si collocano diverse scuole di Aromaterapia, termine che spesso identifica realtà diverse e posizioni differenziate.

 

 

 

Paese che vai….

 

Mentre negli Stati Uniti e in Giappone gruppi minori di ricerca indagano sugli effetti che le essenze, singole o miscelate, esercitano sul comportamento e sulla risposta ad aggressioni ambientali o endogene, in Europa si distinguono due correnti maggiori, una anglosassone e l’altra francese.

 

La prima, sviluppatasi dagli studi di Tisserand e Maury, predilige l’applicazione cutanea di OE tramite massaggio e somministrazione percutanea. Tale tecnica evidenzia le modificazioni che lo stimolo olfattivo induce nell’atteggiamento psichico del paziente, che può così essere orientato a una migliore gestione delle proprie risorse e al riequilibrio dell’organismo.

 

La tendenza francese, invece, opta per le somministrazioni a tutto campo (per inalazione, per via cutanea, orale, rettale, ecc.).

 

 

 

Oui, le Parfume

 

Questa scuola, che vanta nomi come Valnet e Belaiche, ha percorso inizialmente (anni ’70) la via dell’impiego di OE nelle patologie infettive, ponendo come premessa il concetto di “terreno recettivo”: sostenendo, cioè, che quello che rende un soggetto suscettibile di infezione non sia tanto la virulenza del ceppo microbico responsabile, quanto lo scompenso delle sue condizioni individuali, del suo “terreno”.

 

Le essenze, in virtù della loro azione antisettica, ripristinano un corretto rapporto tra l’organismo e i microsimbionti che lo popolano; intervengono così indirettamente sui meccanismi di autoregolazione che coordinano il flusso delle informazioni biologiche proprie di ogni individuo, fino al ristabilimento di un nuovo equilibrio.

 

 

 

Ecosistema Uomo

 

Questa moderna visione ecosistemica trova uno strumento elettivo nelle essenze: con l’Aromatogramma, un esame messo a punto da Girault e paragonabile all’antibiogramma della “classica” microbiologia, è possibile testare numerosi OE e valutarne l’efficacia nei confronti dei microrganismi prelevati direttamente dal paziente, scegliendo di conseguenza quelli più indicati al trattamento di quel soggetto (e NON di quel batterio).

 

Successive ricerche cliniche di Duraffourd e Lapraz hanno inquadrato l’azione delle essenze, evidenziandone l’attività neuroendocrina ed immunitaria.

 

 

 

Un Terno al Lotto

Nei decenni successivi si sono aggiunte le esperienze di Franchomme e Pénoel, che hanno introdotto il concetto di “ternario aromatico”, in cui ancora si evidenzia la complessità dell’OE come rimedio interattivo con l’organismo su diversi livelli: sul piano biochimico, in base alla struttura molecolare dei suoi componenti; su quello biofisico, per le energie indotte dalle cariche elettriche + e – che appaiono quando l’essenza è dispersa finemente nell’ambiente; e infine, su quello informazionale, per i messaggi a cascata che l’OE attiva nella rete dei sistemi di controllo e nelle popolazioni simbionti che abitano l’uomo, un pianeta in rapida e costante trasformazione.

oligoelementi e oligoterapia (prima parte)

OLIGOELEMENTI E OLIGOTERAPIA

Gli oligoelementi sono elementi chimici presenti nell’organismo umano in piccolissime tracce.

Sono metalli e metalloidi, alcuni dei quali essenziali alla nostra vita.

I più noti sono il Rame, lo Zinco, il Manganese, il Cobalto, il Ferro, il Selenio, il Cromo ed il Fluoro.

Questi ed altri sono presenti nei cibi, tanto più presenti quanto più sani e meno trattati sono gli alimenti.

Sono parte integrante di moltissimi enzimi (sostanze che regolano le reazioni che avvengono nel nostro organismo e che lo fanno funzionare a dovere) per cui una carenza di oligoelementi nella nostra dieta può provocare danni alla nostra salute, in tal caso, è indispensabile reintegrarli.

Possiamo, per capire meglio, paragonarli alle vitamine, noi non le produciamo ma sono indispensabili per la nostra vita e perciò dobbiamo introdurle con la dieta, se c’è una carenza di vitamine bisogna reintegrarle in modo opportuno. Non tutte le forme in commercio (capsule, ampolle, compresse…) rendono l’assorbimento di questi elementi completo ed efficace, perciò è bene cercare gli oligoelementi in forma catalitica, cioè in soluzioni bevibili altamente ionizzate che consentano a questi elementi di raggiungere immediatamente e in quantità sufficiente le strutture enzimatiche che ne sono diventate carenti.

1- CENNI STORICI

Gli oligoelementi sono stati impiegati empiricamente in terapia fin dal medioevo.

Queste utilizzazioni non ebbero grande rilevanza perchè non si basavano su teorie serie e razionali e soprattutto non erano supportate da sperimentazioni cliniche significative.

Per fare un esempio, nel XVI secolo Basilio Valentino, uno dei primi e più grandi alchimisti della storia, osservò che alcune persone malate di “gozzo” (malattia della ghiandola tiroidea), trovavano benefici dall’assunzione di pezzetti di spugna marina arrostita alla griglia; alcuni secoli più tardi questi effetti benefici furono messi in relazione con la presenza di Iodio nelle spugne che interveniva nel metabolismo della tiroide.

Risalgono, invece, alla fine del 1800 i primi veri tentativi che diedero dignità scientifica alle sperimentazioni con gli oligoelementi.

Gabriel Bertrand (chimico e biologo francese) fece esperimenti di biochimica enzimologica (cioè studiò la costituzione e il funzionamento degli enzimi) e scoprì che alcuni oligoelementi hanno ruolo indispensabile per la vita.

Jacques Ménétrier, medico francese considerato il padre dell’Oligoterapia, impostò le basi di questa terapia a cui venne dato il nome di Medicina Funzionale.

La Medicina Funzionale, o Oligoterapia, si basa su moltissimi studi, circa 100.000 casi, tutti conservati presso il Centro di ricerche biologiche a Parigi, in cui lavorò Ménétrier con i suoi collaboratori.

La sua scuola e quella di altri illustri medici francesi, fra cui eccelse H. Picard (soprattutto per i suoi lavori in reumatologia), ottenne brillanti successi e fu in grado di sviluppare schemi terapeutici molto interessanti, ripresi da tutti i medici che in seguito si dedicarono a questa medicina.

2- COSA SONO GLI OLIGOELEMENTI

Il termine “oligoelementi” (dal greco oligos = poco), sta a indicare elementi chimici, per lo più metalli, presenti in piccolissime tracce negli esseri viventi.

Una definizione che può darci un’indicazione valida della quantità di un oligoelemento è quella data dal Forsenn negli anni’70:

“Oligoelementi sono tutti quegli elementi chimici che sono presenti in concentrazione uguale o inferiore allo 0,01% del peso secco del corpo umano.”

Questa definizione mette in luce 2 cose:

– gli oligoelementi sono parte costituente dell’organismo umano

– gli oligoelementi sono presenti in piccolissime tracce e per questo si differenziano da quegli elementi chimici che sono presenti nell’organismo in quantità maggiore.

Quindi abbiamo 2 grandi gruppi:

– gli Elementi maggiori

– gli Oligoelementi

GLI ELEMENTI MAGGIORI

Questo gruppo è formato da 12 elementi chimici fondamentali:

Idrogeno e Ossigeno (presenti nell’acqua, circa il 60-70% del peso umano)

Carbonio, Azoto e Zolfo (costituenti delle proteine, pesano alcuni Kg)

Calcio e Fosforo (costituenti di ossa e denti, pesano alcuni Kg)

Cloro, Sodio e Potassio (costituenti delle cellule, circa 259 g)

Magnesio (importante per l’attività di cervello, nervi e muscoli, circa 40 g)

Ferro (presente nei globuli rossi del sangue, circa 7 g)

Oggi il Ferro viene spesso messo tra gli Oligoelementi, in quanto presente in quantità molto piccole rispetto al peso totale di un organismo umano, anche se molto superiori rispetto agli altri Oligoelementi.

GLI OLIGOELEMENTI

L’intero gruppo degli oligoelementi costituisce, in totale, pochi grammi del peso di un organismo umano ed è formato dai seguenti elementi chimici:

Manganese, Rame, Zinco, Cobalto, Molibdeno, Nichel, Cromo, Litio, Stagno, Ferro, Vanadio, Fluoro, Iodio, Selenio, Silicio

che sono considerati “essenziali”, oltre a questi ci sono:

Alluminio, Bismuto e Germanio.

Oltre che quantitativamente, gli Elementi maggiori e gli Oligoelementi si differenziano per il loro ruolo biologico.

I primi, infatti, hanno, principalmente, un ruolo strutturale ed energetico (non a caso sono i costituenti dell’acqua, delle proteine, delle ossa, dei denti, dei fluidi corporei… e di gluicidi e lipidi, principali fonti di energia).

Gli Oligoelementi, invece, hanno ruoli di tipo strutturale o funzionale a seconda della molecola a cui si legano, per esempio lo Iodio che entra nella composizione della Tiroxina avrà un ruolo strutturale, come il Ferro per l’emoglobina, se invece l’Oligoelemento fa parte di un enzima il suo ruolo sarà funzionale perchè interverrà in una determinata reazione biochimica, ovvero nei

meccanismi del metabolismo umano.

E’ evidente che essendo gli enzimi fondamentali per la vita dell’uomo gli Oligoelementi, che vanno a far parte di questi enzimi, lo saranno altrettanto.

Il mandorlo – Seconda parte

D.SSA CARMELA PATANIA
La mandorla è un seme oleaginoso ricco di nutrienti dal quale si estrae l’ olio per spremitura a

freddo. Esso è costituito da oleina, emulsina, proteine, glucosidi, minerali ( tr. Calcio, Fosforo,

Potassio, Zolfo e Magnesio), vitamine A, B1, B2, B6 ed E. Inoltre, è ricco in acidi grassi

monoinsaturi e in poliinsaturi (-) specialmente presenti nella mandorla secca.

Grazie al suo fitocomplesso, il seme esplica nell’ organismo varie attività tra le quali spiccano

l’ azione energizzante, riequilibrante per il sistema nervoso, rimineralizzante e ricostituente. Quindi

introdurre da 6-15 mandorle al giorno ( dipende dai soggetti ) è utile specialmente per gli sportivi e

per chi è astenico.

Ma ciò che conosciamo oggi, era già saputo in passato, ad esempio fu inserito nel Capitulare de

Villis di Carlo Magno per le sue proprietà riequilibranti e molto nutrienti.

Le mandorle verdi era uso mangiarle all’ inizio della primavera essendo appetitose ma erano anche

consigliate alle gestanti per eliminare la nausea; quelle secche sono difficili da digerire e portano

mal di testa.

Ildegarda di Bingen dal ” Libro delle creature”:

Chi ha cervello vuoto, un brutto colorito in viso e per questo ha male alla testa: la mandorla

riempie il cervello e conferisce un bel colorito. Chi si ammala al polmone e ha il fegato indebolito

mangi spesso, crudi o cotti: danno forza al polmne e non lo soffocano,

non lo rendono secco ma forte

Un esperimento condotto da Julius J. Kleeberg, capo del dipartimento di ricerca dell’ ospedale

municipale Rothschild di Haifa, ha rivelato l’ efficacia della mandorla dolce nella cura delle ulcere

gastriche ( Marzo 27, 1969 ). Egli notò che i grandi fumatori arabi del Medio Oriente, masticavano

mandorle in continuazione per alleviare i dolori gastrici. Infatti l’ olio delle mandorle, liberato dal

succo gastrico, depone una pellicola protettiva sulla parete dello stomaco, mentre le loro proteine

formano con l’ acido cloridrico dello stomaco un tampone naturale. Altri due prodotti contenuti

nelle mandorle permettono l’ uno di ridurre l’ esagerata produzione di pepsina dello stomaco malato,

l’ altro di accrescere l’ attività del tubo digerente. Poichè il tenore di glucidi nella mandorla dolce

non eccede il 20%, la cura può essere prescitta ai diabetici e agli obesi. Con il trattamento si ottiene

un sollievo rapido sia del bruciore che dei dolori epigastrici.

Gli Arabi furono i primi a scoprire il segreto della lavorazione delle mandorle tritate con albume

d’uovo e miele. Le specialità dolciarie a base di mandorle che attestano l’ influenza di questa

cultura in Sicilia sono la pasta reale , il torrone e il latte di mandorle ( orzata ).

L’ orzata è una bevanda rinfrescante analcolica di origine vegetale molto antica, si pensi che la

bevevano gli antichi Egizi. Oggi è molto diffusa soprattutto in Spagna e nei Paesi Latino-

Americani.Il nome deriva da una voce Latina hordeata, “fatta con orzo” ma con il passare dei

secoli, l’orzo è stato sostituito da altri ingredienti vegetali, in questo caso dalla mandorla.

Il latte di mandorle è indicato contro gli spasmi e l’infiammazione dello stomaco, dell’intestino,

delle vie urinarie, contro le palpitazioni e le tossi spasmodiche; inoltre è raccomandato ai

convalescenti e bambini. E’ anche un’ottima bevanda rinfrescante e tonificante nelle calde giornate

d’estate.

Ricetta per preparare sciroppo di orzata:

650g di mandorle dolci

3,25Kg zucchero di canna integrale

Si riducono in pasta fine le mandorle, pestandole in un mortaio aggiungendo loro 125g acqua fredda

e 750g di zucchero. Stemperare la pasta così ottenuta con un litro e mezzo d’ acqua fredda e filtrare

spremendo. Aggiungere a questa emulsione 2,500 Kg di zucchero e far fondere a bagnomaria.

Quando il tutto è fuso profumare con 250g di acqua di fiori di arancio.

Dai semi del mandorlo si ottiene anche una farina utile come detergente cutaneo e ammorbidente

della pelle delle mani.

Olio di mandorle dolci:

USO ESTERNO:

utile per tutti i tipi di pelle, molto lubrificante ma poco penetrante per questo è un ottimo olio da

massaggio. Contribuisce a diminuire il prurito, la secchezza, il dolore e l’ infiammazione.

Particolarmente utile per pelli secche, irritate e in presenza di eczema.

USO INTERNO:

lassativo per il neonato ( attenzione alla qualità dell’ olio !!!); con aggiunta di tanto zucchero, per

chi ha ingoiato una spina per calmare il dolore ed evitare eventuali ulcerazioni.

Il mandorlo prima parte

D.ssa Carmela Patania
Prefazione
Osservando la mia terra sicula dalla macchina, noto che incominciano a intravedersi
le chiome bianche del mandorlo, che somigliano e nuvole, e il mio pensiero si
collega subito all’ arrivo della primavera che con il suo tepore risveglia la natura
assopita: “Ecco, il mandorlo sarà il primo tema che tratterò nella mia rubrica”.
Il mandorlo, pur essendo un piccolo alberello ( max 12m ), è una delle piante più
apprezzate nel mondo antico sia per la sua simbologia sia per il suo utilizzo in
ambito culinario, erboristico e anche casalingo. Quindi ho voluto dividerlo in due
parti: nella prima parte verrà trattata la sua simbologia mentre nella seconda il uso
utilizzo e le sue proprietà nutritive.
Il mandorlo – parte prima
Il Mandorlo (Amygdalus communis L. = Prunus amygdalus Batsch; Prunus dulcis Miller
Fam. Rosaceae ) e’ un alberello originario della Persia. E’ molto diffuso sull’ altopiano
iraniano ove gli uomini incominciarono a coltivarlo cinque o seimila anni fa. Fu introdotto
in Sicilia dalla popolazione greca; i romani lo chiamavano “noce greca” ( frutto chiuso in
un guscio come la noce, gratissimo al gusto), dopodiché si diffuse in Francia, Spagna e
giunse in America nel XVI secolo.
Un esempio archeologico di mandorlo sono i semi trovati nella tomba di Tutankamon in
Egitto (circa 1325 a.C.), probabilmente importati dal Levante.
Il mandorlo è una pianta robusta che si sviluppa su terreni poveri, poco profondi e aridi e
da esso si utilizza quasi tutto: i semi oleaginosi, le foglie come mangime per gli ovini, i
malli e i gusci per la produzione tradizionale di carbonella e le ceneri dei gusci, ricche di
potassio, quale ottimo fertilizzante naturale.
Il seme del mandorlo selvatico contiene il glucoside amigdalina, che si trasforma nel
mortale acido cianidrico, quindi, i semi del mandorlo selvatico venivano arrostiti per
eliminarne la tossicità. Grazie al lavoro di ibridazione e selezioni fatte da antichi
agricoltori si sono ottenute così, varietà di interesse frutticolo: sativa (con seme dolce ed
endocarpo duro; comprende la maggior parte delle specie coltivate), amara (ha seme
amaro per la presenza di amigdalina) e fragilis (con seme dolce ed endocarpo fragile).
Il frutto è simile al cuore al cui interno è possibile trovare due semi – uno dei quali abortito
– contenuti in un endocarpo solcato. L’ amigdala si chiama proprio così per la sua forma
simile alla mandorla.
La capacità di rallegrare il cuore, a vista della sua fioritura precoce durante febbraio,
grazie alla sua chioma bianco-rosacea, è stata interpretata sin dall’ antichità come
simbolo di luce che manifesta la presenza divina, mentre per analogia, la rottura del
guscio per ricavarne il seme, simboleggia la rivelazione dell’ invisibile.
Il mandorlo nel mitologia greca è stato narrato da Pausania. Racconta che Zeus lasciò
cadere sulla terra il suo seme. Trascorso il tempo dovuto, il seme generò un demone
Agdistis dai duplici genitali, maschili e femminili. Gli dèi, che sprezzavano esseri del
genere, incatenarono Agdistis e gli tagliarono i genitali maschili e dal suo sangue nacque
un albero di mandorlo. La pianta attirò l’ attenzione di Nana, una delle figlie del dio-fiume
Sangario, e colse una mandorla e la nascose in seno. Il frutto sparì subito e la ragazza
rimase incinta.
Il nome ebraico del mandorlo – saqed – , derivato da verbo saqad << vigilare, vegliare >>
per la sua precoce fioritura. E’ uno dei primi alberi a fiorire in Israele, di solito all’inizio di
febbraio, in coincidenza con il Tu BiShvat, una festività ebraica chiamata Capodanno
degli alberi.
La mandorla in ebraico si traduce Luz che esprime il nocciolo indistruttibile e il divino dell’
essere, ma anche la luce che manifesta la sua presenza.
Luz è la misteriosa città zaffiro, protetta dal velo del cielo, inaccessibile ai profani e
incontaminata dai cataclismi, si trova al centro del Paradiso terrestre e secondo la
tradizione ebraica, ai piedi del mandorlo si troverebbe la via per accedere in essa, dimora
dell’ immortalità.
Nel cristianesimo la mandorla è Cristo, ciò che lo testimonia è un bassorielievo
medievale nell’ Altare del duca Rachis che raffigura l’ ascenzione di Cristo in Maestà all’
interno di una mandorla sostenuta da quattro angeli. Quindi la mandorla rappresenta il
velo della gloria che avvolge anche la Madonna che è quasi sempre azzurro o stellato,
infatti è noto questo elemento nell’ iconografia medievale come ” mandorla mistica “.
Bibliografia:
Wikipedia: Prunus dulcis
www.agraria.org
“ Storia e leggende degli alberi “ di Jacques Bross
” Le piante nel vangelo: Il mandorlo ” da ” La vita in Cristo e nella Chiesa” – Anno LVII, n°2 – a
cura di Sandro Imperato
” Il velo tra Oriente e Occidente ” di Vittora Alliata Ed. Orientamento – Al Qibla
Wikipedia: Altare del duca Rachis

– Bibliografia a disposizione
– http://www.liberajonianews.it/category/medicina-salute/lerboristeria/
– http://www.taccuinistorici.it/ita/news/contemporanea/dieta—dietetica/La-mandorla-sue-proprieta.html