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Erboristi Mediterranei firma il protocollo d’ intesa con UNIPOSMS

La firma che sancisce il Protocollo d’intesa tra Erboristi Mediterranei e UNIPOSMS “Università popolare nuova Scuola Medica Salernitana” iscritta al Reg. Nazionale Ricerche del MIUR cod. 61589KCW è stata depositata a Salerno, in data 17 giugno 2016 presso l’ Istituto “S. CATERINA DA SIENA – AMENDOLA” dalla D.ssa Carmela Patania ( Vicepresidente di Erboristi Mediterranei) in presenza del Presidente UNIPOSMS Prof. Pio Vicinanza, del Preside ad Cathedram Prof. Carlo Montinaro e del Prof. Carlo Morelli.

La sinergia è mirata a diffondere e valorizzare la cultura e la tradizione della illustre Schola Salernitana. Nel 1231 l’ autorità della scuola veniva sancita dall’ Imperatore Federico II di Svevia, ” Stupor Mundi “, protettore delle arti e grande rinnovatore, uomo di ingegno e mente aperta.

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” L’ evento rappresenta anche uno dei rarissimi riconoscimenti di fatto ed in parte di diritto da parte di un organo dello Stato verso un’ Associazione di privati cittadini” Dott. Luigi Giannelli -Erboristi Mediterranei.

E’ solo l’inizio di un lungo cammino e di condivisione del sapere antico.

Erboristi Mediterranei ringrazia:
Prof. Pio Vicinanza
Prof. Carlo Montinaro
Prof. Carlo Morelli

Dott.ssa Eva Avossa: ViceSindaco di Salerno, Assessore alla Pubblica Istruzione ed Edilizia scolastica
Prof.ssa Anna Rita Carrafiello: Dirigente Scolastico Istituto “S. CATERINA DA SIENA – AMENDOLA” Salerno
Dr. Luigi Frezza: Segretario UNIPOSMS
e tutti coloro che hanno reso indimenticabile questo momento storico dell’ Erboristeria Tradizionale e che hanno creduto sin dal primo momento ad Erboristi Mediterranei.

Grazie

D.ssa Carmela Patania

” L’ uso delle erbe officinali dei Monti Iblei “

LOCANDINA - Siracusa - web

#‎ErboristiMediterranei‬ sostiene gli eventi delle associazioni come ‪#‎Herbage‬ che promuovono ” I saperi delle arti erboristiche ” e sostengono la figura professionale dell Erborista tradizionale.
Il tema dell ‘ incontro è basato sulle tradizioni erboristiche iblee, tra cultura e sviluppo economico.

Sicilia:
Siracusa: Centro Pio La Torre- Piazza Santa Lucia
venerdì 10 giugno h 18,00

Il Finocchio… e il suo essere poliedrico

fennel tea

“Farsi infinocchiare”, locuzione che significa “non farsi influenzare”, prende spunto proprio dal finocchio che era offerto dall’oste quando voleva dar da bere ad un cliente un vino scadente, il cui gusto veniva migliorato dal forte aroma. Il Foeniculum (dal latino “foenum”, fieno, per l’uso foraggero che se ne faceva) è stato coltivato dagli antichi romani per il suo frutto aromatico e la succulenta parte edibile (grumulo); i semi di finocchio sono stati trovati persino nelle tombe dei faraoni egiziani. Il finocchio è stato anche adoperato come un’erba magica: nel medioevo fu posto sopra le porte la vigilia di mezza estate per proteggere la famiglia dagli spiriti maligni.

È una pianta erbacea annuale, biennale o perenne alta da 40 cm fino a 2 mt; glabra e glauca, ha foglie con la base ingrossata e guainante ed in alto completamente divise in lacinie filiformi. La porzione appena interrata è di norma nodosa ed annulata (grumolo), da cui si dipartono i fusti; i fiori sono gialli disposti in ombrelle terminali; il frutto (comunemente chiamato seme) è un achenio lungo 4-7 mm.

Le varietà.
Esistono molte varietà di finocchio ed una classificazione è praticamente impossibile a causa della tendente ibridizzazione. Di Foeniculum vulgare subsp. vulgare esistono 3 varietà: la “vulgare” è il finocchio amaro, usato spesso per adulterare la varietà dolce nella produzione dell’olio essenziale, con una quantità inferiore di anetolo; la varietà “azoricum”, annuale, chiamato finocchio, finocchio di Firenze o anice, ha il grumulo dolce ed edibile; la varietà “dulce” chiamato finocchio, finocchio dolce o romano, ha un frutto più grande, molto aromatico, coltivato soprattutto per la pregiata qualità dell’olio essenziale, che viene raccolto a maturazione: è una varietà precocissima adatta per la semina.
La subsp. piperitum è invece il finocchio selvatico o pepato, specie perenne e nota pianta aromatica mediterranea utilizzata in cucina che si può trovare in diverse aree temperate del mondo fino ai 1000m di altitudine; è caratteristica lungo le strade, i sentieri e i luoghi aridi.
Le varietà descritte appartengono a due sub-specie che variano morfologicamente:

-nel numero dei raggi dell’ombrella, 12-25 o più nella subsp. vulgare e 4-10 della subsp. piperitum
-nella forma delle foglie, che sono flessibili e lunghe più di 10 mm nella subsp. vulgare, ridottissime e rigide nella seconda;
inoltre, quest’ultima è sempre perenne e non ha il grumolo, mentre la subsp. vulgare è spesso biennale ed ha un grumolo voluminoso ed edibile.

Tralasciando l’approvazione di tale sistematica, il Foeniculum vulgare Mill. potrebbe essere confuso con l’aneto (Anethum graveolens L.) e con il falso aneto per l’aspetto fogliare e il colore dei fiori, ma distinguibile dall’aroma dell’aneto in quanto più simile al cumino e da quello del falso aneto che è pungente e poco gradevole.

Usi tradizionali
È una pianta adoperata ampiamente nelle medicine tradizionali come la Ayurveda, Unani, Siddha, in quelle indiane e iraniane, con metodi di preparazione ed uso che fanno parte di una ben documentata letteratura etnobotanica. I frutti maturi e l’olio essenziale di finocchio sono usati come agenti aromatizzanti nei prodotti alimentari: i frutti in particolare sono utilizzati per produrre liquori, pane e formaggio, mentre l’olio essenziale è anche un ingrediente di prodotti cosmetici e farmaceutici.
Anticamente in Sicilia si masticava il finocchio selvatico o quello dolce per l’acidità di stomaco (oggi sappiamo che tale effetto va sfruttato in uno stomaco la cui mucosa gastrica è intatta), mangiato nelle minestre come galattogeno e nella galattorrea; veniva inoltre applicato per curare i “polipi agli occhi” ed usato come depurativo e diuretico il decotto dei semi. In Basilicata invece le foglie più tenere venivano masticate e bloccate sull’ulcera per curare le stomatiti mentre il decotto dei frutti veniva utilizzato per i disordini digestivi; in Liguria, come sedativo, si dava da mangiare ai bambini i germogli apicali; mentre a Roma invece si masticavano, o si usavano come condimento, i frutti per avere l’effetto galattogeno. Tradizionalmente in Europa e nelle aree mediterranee il finocchio è usato come antispasmodico, diuretico, antinfiammatorio, analgesico, secretomotorio, secretolitico, galattogeno e come collirio.

Usi medicinali
Viene utilizzato principalmente per la sua attività antispasmodica che ha trovato conferma anche da evidenze cliniche: agendo sulla funzionalità della muscolatura liscia migliora la spasticità nei disturbi gastrointestinali anche nei bambini (flatulenza, coliche gassose, sindrome del colon irritabile, colite cronica, dispepsie), mentre l’olio essenziale regolarizza la motilità e riduce la produzione di gas intestinale.
Alcuni studi farmacologici sembrano confermare l’attività espettorante dei frutti i quali stimolano la motilità ciliare dell’apparato respiratorio facilitando l’eliminazione dei corpuscoli estranei, l’olio essenziale invece stimola la contrazione della muscolatura liscia della trachea facilitando l’espettorazione.
L’effetto galattogeno sembra, da evidenze sperimentali, essere dovuto principalmente all’anetolo, il quale sembra sia di tipo selettivo nella ghiandola mammaria: esso (probabilmente meno potente dei suoi polimeri) compete con la dopamina, inibitore della prolattina, stimolando la produzione di latte.
Riguardo l’attività antimicrobica, la letteratura è ricca di dati: tutti gli studi sono stati effettuati sugli estratti grezzi ed è difficile individuare il metabolita antimicrobico attivo. Al di là di questo, l’olio essenziale non sembra avere un’attività antibatterica molto pronunciata, ma è risultato efficace ad ampio spettro su 25 ceppi batterici patogeni.
La Commissione E ha approvato l’uso interno dell’olio essenziale di finocchio per disturbi spastici del tratto gastrointestinale, sensazione di pienezza, flatulenza e anche per disturbi delle vie respiratorie superiori come il catarro; infatti il miele al finocchio è stato nello specifico raccomandato per contrastare il catarro nei bambini.

La composizione
Il finocchio è ricco di fibre e vitamine ed è una delle più alte fonti vegetali di potassio, sodio, fosforo e calcio. I carboidrati sono i macronutrienti più abbondanti in tutte le parti e vanno dai 18,44 ai 22,82 g / 100 g, mentre le proteine, gli zuccheri riducenti, e i grassi sono i macronutrienti meno abbondanti; le proteine ​​nello specifico variano tra 1,08 g / 100 g nei gambi e 1,37 g / 100 g nelle infiorescenze. Inoltre, le infiorescenze e i gambi hanno il più alto contenuto di grassi (1,28 g / 100 g) e minore è il contenuto dello zucchero (1,49 g / 100 g), rispettivamente, tra tutte le parti di finocchio. Le infiorescenze hanno i valori più alti di energia, mentre le foglie e steli ne hanno un contenuto più basso.
Sono state condotte molte ricerche fitochimiche, con risultati diversi, per analizzare la composizione dell’olio essenziale; ad influenzare la composizione dell’olio essenziale del finocchio sono le varietà, il tempo e il luogo di raccolta o di coltivazione, nonché la conservazione. I principali componenti sono derivati ​​dei fenilpropanoidi: trans-anetolo, estragolo (metil cavicolo), e poi alfa-fellandrene, limonene, fenchone, e alfa-pinene. È quindi molto difficile stabilire la quantità di estragolo effettiva presente nell’olio essenziale.

La presunta tossicità
Un lavoro pubblicato qualche anno fa su “Food and Chemical Toxicology“ ha suscitato una larga eco sul web e sulla stampa; in seguito a tale studio il finocchio è stato accusato di tossicità soprattutto se usato come decotto per i bambini: la sostanza imputata è l’estragolo, un fenilpropanoide presente in quantità variabili nel basilico, nel finocchio e nell’anice. Gli autori hanno misurato, in vari campioni di tisane al finocchio in commercio in Italia, il contenuto di estragolo: alcune di queste tisane conterrebbero quantitativi di estragolo che, a parere degli autori, potrebbero rappresentare un pericolo se assunti dai bambini nei primi mesi/anni di vita. Essi segnalano anche che alcune tisane solubili in vendita in Italia, appositamente formulate e commercializzate per lattanti e bambini, contengono quantità di estragolo che meritano attenzione.
Ciò che ha destato sospetto è la genotossicità in vitro e la cancerogenicità dell’estragolo in studi su roditori, l’interpretazione dei quali ha suscitato critiche e perplessità tra gli esperti. I motivi cruciali della disapprovazione riguardano precisamente 4 punti:
I dati ottenuti in modelli animali non sono sovrapponibili a quelli ottenuti negli esseri umani.
Le alte dosi di estragolo puro applicate negli studi non rappresentano le dosi reali a cui gli esseri umani sono esposti come consumatori di cibi e fitofarmaci contenenti tale sostanza. L’esposizione negli esseri umani avviene sempre a dosaggi molto più bassi e per tempi minori di quella a cui sono stati sottoposti gli animali da laboratorio, molte volte viene somministrato estragolo per quasi tutta la vita dell’animale da laboratorio.
Gli studi sul metabolismo dell’estragolo rivelano differenze quantitative tra il metabolismo dell’estragolo nei topi e negli uomini.
È stato dimostrato che una sostanza somministrata in forma isolata può avere effetti significativamente diversi dalla stessa assunta nel suo fitocomplesso.
I suddetti elementi non sono stati considerati nella valutazione del rischio nella misura in cui questa dovrebbe comunque essere basata su dati adeguati raccolti in studi relativi agli esseri umani. C’è anche da tenere presente che non esistono studi epidemiologici e clinici che possano confermare la cancerogenicità osservata nell’animale da esperimento, ma considerando il lungo uso tradizionale dell’infuso di finocchio, la probabilità di un grave rischio è trascurabile.
Una miscela multicomponente come l’infuso di finocchio contiene sostanze che potrebbero ridurre notevolmente gli effetti tossici di alcune molecole presenti le quali, valutate singolarmente, sono dannose: l’estragolo puro ed i suoi metaboliti sono infatti inattivati da molte sostanze contenute nel decotto e nell’infuso; i conseguenti effetti avversi sono ridotti quando l’estragolo è ingerito nel proprio contesto fitochimico.
L’estragolo è metabolizzato lungo una serie di pathway metabolici tra cui O-demetilazione (che dà il cavicolo), epossidazione del doppio legame, 1′-idrossilazione e degradazione ossidativa della catena laterale di acidi carbossilici. Le dosi alte conducono alla saturazione di alcuni sistemi enzimatici che causano l’attivazione di reazioni metaboliche alternative come la 1′-idrossilazione che, nel topo, è la principale via metabolica che determina la produzione di derivati ​​con maggiore potenziale cancerogeno (1-idrossiestragolo). Jeurissen et al. (2008) hanno dimostrato che un estratto metanolico di basilico è in grado di inibire il legame del metabolita 1′-idrossiestragolo al DNA, sia su DNA in vitro sia su cellule di epatomacarcinoma HepG2 intatte, bloccando quindi il meccanismo responsabile dell’avvio del danno cellulare. L’attivazione dell’estragolo, dei suoi metaboliti ed i conseguenti effetti avversi sono quindi ridotti quando l’estragolo è ingerito col suo fitocomplesso rispetto a quando viene somministrato come sostanza isolata. A questo proposito si conferma dunque l’ipotesi che altre molecole presenti nell’estratto sono in grado di bloccare il meccanismo responsabile dell’avvio del danno cellulare.
Altra critica si può fare alla modalità di somministrazione dell’estragolo nei topi: essa viene eseguita in pochi minuti mediante siringa o sondino gastrico (gavage) ed è di fatto insolita nell’uomo; il rischio di tossicità potrebbe aumentare perché l’assorbimento è più veloce e si espone il fegato ad alti livelli della sostanza. Tale somministrazione può alterare il metabolismo e produrre effetti tossici che non si verificano quando la stessa dose giornaliera viene somministrata con la dieta. L’uomo in genere ingerisce minori quantità della sostanza che si trova nel proprio contesto fitochimico, non tutti i giorni né per lunghi periodi. Le piante la cui composizione comprende estragolo non fanno tra l’altro parte dell’alimentazione abituale del topo bensì dell’uomo, il quale è esposto da millenni a quantità normali di estragolo, e quindi potrebbe essersi adattato sviluppando, rispetto al topo, una diversa tolleranza.

EFSA ed EMEA hanno preso posizioni allarmistiche al riguardo, effettuando misure cautelari estremamente rigide. Tale difesa nei confronti della salute non ha però fondamenti scientifici diretti; potrebbe anche avere un seguito se si facesse riferimento all’uso dell’estragolo come singola sostanza chimica (ad esempio come additivo alimentare), ma non è così; il timore della tossicità è attribuito impropriamente al pool di sostanze che sono il risultato del processo fitochimico della pianta. Relativamente all’estragolo assunto unitamente ai costituenti chimici naturali dell’estratto o dell’alimento, consumati da sempre dall’umanità, si viene a distinguere la natura del discorso riguardante l’estragolo puro. FAO e WHO si sono posizionati invece su livelli molto più rassicuranti, mentre FAO e OMS pongono importanza sul fatto che l’uomo non assume estragolo in forma isolata e a dosaggi elevati, ma solo a piccolissime dosi ed all’interno di un pool di sostanze presenti in alimenti e piante officinali; ipotizzano che il metabolismo di questa sostanza sia significativamente diverso nell’uomo da quello che è stato osservato in vitro ed in vivo come sostanza isolata.
È necessario evidenziare che, secondo moderne indagini antropologiche ed evoluzionistiche, il mantenimento di determinate abitudini alimentari è associato ad una migliore capacità di sopravvivenza; non è quindi né utile né costruttivo puntare il dito sulla sostanza contenuta in una pianta senza considerare altri fattori che sono determinanti. Tutto sommato, di fatto, il finocchio rientra in abitudini alimentari e mediche antiche ed ha sempre conservato una reputazione positiva.

Dott. Fabio Milardo
Fonte: L’ Erborista n° 1/2016

#chiedi_scusa_agli_erboristi

Giovedì 28 aprile, nella trasmissione di Rete 4, Forum, la conduttrice, la giornalista Barbara Palombelli introduce la puntata che verte su un problema di tossicodipendenze.
Rilascia, però, una frase infelice…
Noi Erboristi, siamo sicuri che il suo non sia un suo attacco contro di Noi Erboristi, ma che sia frutto di vecchi PREGIUDIZI.
Purtroppo, l’attacco nei nostri confronti non è isolato.
Guardate Voi stessi cosa abbiamo da dire in proposito Noi Erboristi.
Buon divertimento!
Se vi piace, condividete con l’hashtag:
#chiedi_scusa_agli_erboristi

 

Bartolomeo Antonio Scalzi

 

https://www.youtube.com/watch?v=Ep-k0qg5i9Y&feature=youtu.be

L’ Elicriso a cura del dott. Fabio Milardo

Introduzione

“Giova la sua chioma bevuta con vino al morso dei serpi, alle sciatiche, alle distillazioni dell’orina, e ai rotti, provoca i mestrui. Bevuta con vino mielato risolve il sangue rappreso alla vescica, e parimente nel ventre: bevuta medesimamente a digiuno in vino bianco inacquato al peso di tre oboli, proibisce il catarro, che scende dal capo.” Così scriveva Mattioli sull’Elicriso, confermando alcuni usi medicinali tra i più comuni oggi: antisettico (soprattutto per le infezioni al tratto respiratorio), digestivo, cicatrizzante e per migliorare i problemi articolari. È apprezzato per il suo profumo già nel 1 ° secolo d.C. da Plinio il Vecchio che lo cita nella sua opera “Naturalis Historia” e ne vanta proprietà antidolorifiche per il mal di schiena, come documenta anche gran parte della letteratura scientifica rinascimentale.

Geobotanica ed endemismo.

Nelle lande desolate appartenenti alla zona tirrenica settentrionale, alle isole al largo della costa azzurra francese fino all’area mediterranea nasce e cresce l’Elicriso, pianta erbacea ricca di proprietà curative e aromatiche, di storia e di cultura. Affascinante è persino l’etimologia della denominazione botanica del genere che è Helichrysum, dal greco helios=sole e krysos=oro, in riferimento al colore giallo brillante delle infiorescenze che è particolarmente suggestivo in pieno sole. La sua essenza è molto utilizzata nella produzione di profumi e di cosmetici anche perché l’aroma intenso è incomparabile in natura: la sua nota esotica a sfumature speziate caratterizza la peculiarità del profumo incoronando l’Elicriso icona del lusso. Non è da meno, del resto, la sua efficacia in patologie digestive e cutanee; infatti, anche qui si rivela determinante nella gestione di gravi malattie, come la psoriasi, ancora oggi incurabile.

L’Helichrysum italicum è una pianta molto diffusa perché possiede un’elevata adattabilità: fiorisce infatti fino a 2000 mt di altitudine a prescindere dal tipo di terreno, motivo per cui vi è la presenza di numerose varietà che ne determinano la difficile classificazione botanica. La presenza di elevate concentrazioni di arzanolo, acetato di nerile, nerolo e neril proponiato sembra caratteristica della subspecie microphyllum, la quale è infatti diventata la varietà più studiata.

Il genere Helichrysum appartiene alla famiglia delle Asteraceae e comprende da 500 a 600 specie diverse;   è stato dimostrato che si tratta di un genere polifiletico composto da diverse entità più piccole monofiletiche. H. italicum è anche la specie più studiata in termini di etnobotanica e fitochimica, ma storicamente si ritiene abbia un effetto sovrapponibile a H. Stoechas. È un arbusto xerofitico alto da 30 a 70 centimetri, ramificato alla base con piccole e lineari foglie la cui pelosità conferisce alla pianta una tinta grigia fino alla comparsa delle infiorescenze gialle a giugno o luglio. Il nome della pianta varia in base alle popolazioni europee che la utilizzavano: perpetuino e semprevivo in italiano, perpetuino in francese, everlasting in inglese, siempreviva in spagnolo.

L’Elicriso della zona tirrenica è generalmente l’H. italicum Don. subsp. microphyllum (Willd.) Nyman, una pianta che cresce anche nelle isole Baleari; H. siculum (Sprengel) Boiss ed H. pendulum sono specie endemiche nella Sicilia; mentre H. montelinasanum Schmid e H. saxatile Moris sono specie endemiche della Sardegna, regione da cui deriva la maggior parte del pregiato olio essenziale.

Il contributo dei ricercatori italiani: Castore Durante e Leonardo Santini.

Castore Durante (1529-1590), medico e botanico rinascimentale, scoprì che tra gli usi antichi dell’Elicriso ebbe notevole efficacia un enolito a base di capolini essiccati di Elicriso per il trattamento dei disturbi del fegato, in seguito utilizzò anche un decotto per contrastare il catarro.

Quattrocento anni dopo un altro ricercatore italiano continuò gli studi sull’Elicriso fino a dedicargli la vita: si tratta di Leonardo Santini, oggi considerato il padre dei moderni studi sull’Elicriso. Egli utilizzò il decotto descritto da Castore Durante per i suoi pazienti ammalati di problemi respiratori, molto comuni a quel tempo: il decotto era utilizzato per le affezioni bronchiali del bestiame, ma egli, sicuro della sua atossicità, lo provò sui suoi pazienti con ottimi risultati. Successivamente lo adoperò anche nella psoriasi e nelle dermatiti eczematose ancora una volta con notevole successo. Iniziò ad utilizzare l’infuso dei fiori e di sommità fiorite, successivamente il decotto (al 5%) che trovò più efficace. Attratto da tali osservazioni, Santini iniziò a sperimentare clinicamente un decotto e uno sciroppo a base di Elicriso, accorgendosi che l’attività di quest’ultimo era simile a quella del cortisone. In un piccolo studio non pubblicato, gli effetti benefici nel trattamento della psoriasi sono stati recentemente confermati attraverso l’utilizzo di un decotto al 5%; in tale studio venivano assunti 3-4 cucchiaini al giorno per 2-3 mesi. A livello topico è stato usato un oleolito di Elicriso al 10% e balneoterapia con decotto concentrato della pianta al 20%. I miglioramenti si avvertivano già dopo tre settimane di trattamento, caratterizzati da risanamento delle chiazze eritemato-squamose con riduzione della componente paracheratosica e del prurito. La ricaduta avveniva a distanza di due mesi con una sintomatologia nettamente migliore e immediatamente reversibile. Da tenere in considerazione è la sicurezza della droga: essa appare priva di effetti avversi locali e sistemici. Il decotto fu da lui utilizzato anche per la rinite allergica complicata da risentimento congiuntivale, irritazione cutanea e cefalea, in aerosol e collirio. Secondo Santini l’azione antiallergica si deve all’effetto disintossicante della pianta, in grado di esaltare l’azione protettiva cortico-surrenalica e di bloccare la diffusione di metaboliti responsabili dell’accentuazione del rilascio di istamina, ciò essendo dovuto alla riduzione della permeabilità di membrana e al potere antiossidante. Successivamente ottenne importanti risultati anche nel trattamento di ustioni e geloni utilizzando l’Elicriso in pomata, adoperato poi anche in edemi flebitici e in varici con un riscontro positivo.

Sulle orme degli studi di Santini fu commercializzato in Italia uno sciroppo molto efficace a base di Elicriso utile per contrastare la tosse, il quale ebbe un’eco in tutta la nazione per la sua validità. Tuttavia, è proprio negli anni sessanta che lo sviluppo (economico) della medicina moderna “occidentale” svuotò di significato il progresso, quel progresso “pasoliniano” inteso come miglioramento evolutivo; infatti, la mancanza di standardizzazione e di informazione sul principio attivo condusse alla scomparsa del prodotto proprio a causa delle nuove norme, più rigorose, in materia di prodotti farmaceutici: si manifestò così l’inizio della fine della storia delle piante medicinali e del loro uso tradizionale.

Composizione

La maggior parte delle analisi fitochimiche si sono concentrate sulla varietà H. italicum subspecie microphyllum, utilizzato da Santini nei suoi studi clinici. L’Arzanolo, un fluoroglucinolo eterodimero prenilato, è il più importante metabolita caratterizzato in termini di bioattività; vanta oltretutto la curiosa provenienza del nome che deriva dalla cittadina di Arzana in Sardegna. Inoltre contiene acido caffeico, elicrisina (un composto costituito da diversi flavonoidi), acido ursolico, rutina, isoquercetina, beta-sitosterolo, calcio, magnesio, potassio e silicio. I risultati di una recente ricerca effettuata in tutta la Sardegna suggeriscono un’ associazione tra chemiotipo, diversità genetica e luogo di raccolta, il che conferma che la pianta gode di un’estrema variabilità. La composizione dell’olio essenziale varia da popolazione a popolazione e contiene principalmente curcumene, pinene, acetato di nerile, nerolo, linalolo; le concentrazioni di nerolo e dei suoi esteri (acetato e propionato), di limonene e di linalolo raggiungono i loro valori più elevati durante la fase di fioritura sia nei fiori che negli steli. Tre principali chemotipi sono stati riportati in letteratura, ma gran parte della variabilità osservata è stata attribuita soltanto all’origine geografica e al tempo di fioritura. Ciò che deve essere considerato in future raccolte per la produzione di olio essenziale è l’associazione tra chemiotipo e punto di raccolta, in ragione della marcata variabilità. La subsp. italicum contiene, a differenza della subsp. microphyllum, un composto chiamato italidione, con proprietà antinfiammatorie, e maggior quantità di acetato di nerile: quest’ultimo, insieme ad altri esteri, è considerato il costituente più significativo ed è infatti spesso aggiunto a scopo fraudolento.

In onore di Santini, una classe di lipidi presente nella pianta è chiamata Santinoli: si tratta di acidi grassi a catena media mai scoperti, i quali rappresentano un nuovo tipo di lipidi vegetali ancora poco studiati. Curiosamente, uno degli acidi presenti è un marcatore per la diagnosi dell’acidemia propionica.

Studi farmacologici

L’Arzanolo gode di una notevole stabilità chimica; esso ha una relazione struttura-attività che evidenzia l’ importanza degli ossidrili e della struttura eterodimerica, fattori necessari per l’inibizione della mPGES-1 e della 5-LO, elementi chiave nella sintesi di prostaglandine e leucotrieni, rispettivamente. Essendo un monomero, il fluoroglucinolo è infatti risultato molto meno potente. L’Arzanolo inibisce inoltre la produzione di citochine proinfiammatorie (TNF-alfa, IL-1 β, IL-1 , IL-6, IL-8) e di enzimi proinfiammatori (COX-2 e mPG2-S). Uno studio condotto nel 2011 in un modello in vivo di infiammazione (pleurite indotta da carragenina nei ratti) ha rivelato che, diversamente dai comuni FANS, la produzione di alcuni prostanoidi non è stata influenzata dall’Arzanolo. Quest’ultimo potrebbe inoltre proteggere l’acido linoleico contro l’attacco dei radicali liberi. In una linea di fibroblasti derivati ​​da rene di scimmia l’Arzanolo, a concentrazioni non citotossiche, ha mostrato una forte inibizione dello stress ossidativo; insieme ad altre sostanze esercita proprietà antiossidanti in diversi sistemi in vitro di perossidazione lipidica.

L’Arzanolo peraltro potrebbero essere potenziato da altre sostanze di cui sono ricche le infiorescenze e le parti aeree come l’acido ursolico (fino a 0,5% in peso a secco), il tremetone e il floroglucinolo: quest’ultimo rende l’Arzanolo un potente antiossidante in modo simile all’acido caffeico e addirittura più potente di altri polifenoli di origine vegetale come l’acido nordiidroguaiaretico, il magnoliolo e anche il myrtucommulone del mirto (Myrtus communis) in saggi di attività in vitro.

Notevole è anche l’attività antibatterica, superando, secondo alcune ricerche in vitro, la norfloxacina contro molti ceppi di Staphylococcus aureus meticillino-resistenti (MRSA); tale attività sembra anche coinvolgere il meccanismo anti-biofilm contro Pseudomonas aeruginosa; vi è anche un’attività anti HIV. L’attività antibatterica valutata non è soltanto dell’Arzanolo ma anche di altri composti fenolici che includono cumarati, benzofurani, pironi e floroglucinoli eterodimerici, rivelando che solo gli eterodimeri hanno mostrato un’azione antibatterica potente. Queste osservazioni convalidano l’uso topico dell’Elicriso per prevenire le infezioni della ferita, una pratica appartenente alla medicina tradizionale della zona mediterranea.

Il colore, l’odore e il sapore

I romani e i Greci decoravano le statue degli dei con corone di infiorescenze Elicriso, una pratica citata dagli scrittori classici dal  7° sec. a.C.

I sardi, popolo molto legato alle proprie tradizioni, ancora oggi ne fanno un uso simile: i bachi da seta, che solitamente si nutrono con le foglie di gelso, in Sardegna vengono nutriti con i fiori di Elicriso producendo una seta naturalmente gialla, la quale viene adoperata per la produzione di vestiti tradizionali.

Non solo il colore ma anche l’odore ha un glorioso passato che si ripercuote nel presente. L’elicriso della zona tirrenica è la varietà più apprezzata a livello mondiale per la produzione di un olio essenziale che viene utilizzato in profumeria e nei prodotti cosmetici ed è utilizzato in profumi commerciali come Eau Noire di Dior. È peculiare inoltre la caratteristica del cosiddetto “miele di spiaggia”: le api non assumono l’aroma dell’Elicriso succhiandone il nettare ma mescolandolo con il materiale resinoso di cui si ricoprono prima di andare a raccogliere il polline in altre piante, fino a produrre un miele dall’aroma unico il quale conserva il sapore e il profumo intenso che rammenta le coste selvagge dei litorali mediterranei.

In Sardegna è ben documentata anche la preparazione di liquori tradizionali a base di Elicriso  come: ”Amaro Chrysos” (Helichrysum saxatile Moris), “De Abbastu”, “Anima Sarda”, “Caru Elicriso” (l’H. italicum Don. subsp. microphyllum (Willd.) Nyman).

Il futuro dell’Elicriso

Corposa ed ampia è la documentazione etnofarmacologica sull’H. italicum della zona tirrenica settentrionale che ne prova l’uso in condizioni infiammatorie e infettive delle vie aeree come tosse, bronchite, laringite e tracheite; rilevante è anche l’uso topico sulle ferite e sugli eritemi e l’impiego in tisana come colagogo e coleretico. Non si può che pensare dunque ad un uso intenso di cui è stata caratterizzata questa incredibile pianta; i moderni farmacologi, d’altra parte, tendono a trascurarla soprattutto per quanto riguarda la psoriasi, prediligendo invece vitamine ad alto dosaggio per lunghi periodi: c’è da notare che, al di là dell’inefficacia, queste comportano pure dei notevoli rischi.

Senza necessitare di altri studi specifici e come ampiamente documentato, principalmente L’Elicriso si potrebbe applicare in ferite per ridurre le cicatrici, disinfettare e accelerare la guarigione. È stato adoperato in combinazione con Lavanda (Lavandula angustifolia, Lamiaceae) e Tea tree  (Melaleuca alternifolia, Myrtaceae) addirittura per lenire le reazioni cutanee associate alla chemioterapia e può essere utilizzato per gestire l’acne indotta dalla chemioterapia.

L’ampio utilizzo dell’Elicriso e del suo olio essenziale dovrebbe stimolare studi clinici randomizzati, controllati e in doppio ceco, per valutarne l’efficacia e la sicurezza in modo da definire l’uso terapeutico.

 

Fonte: L’ Erborista n° 3/2016

ABC dell’ Erboristeria Tradizionale a cura della D.ssa Carmela Patania ” C “

Questa volta ho temporeggiato poiché  le ” C  pretendenti ” erano tantissime. Sarà perché è l iniziale del mio nome quindi mi sentivo ” più responsabile ” o forse perché  il periodo storico che stiamo vivendo, intriso di veloci cambiamenti, ha influenzato i miei pensieri, ma alla fine ho scelto una parola del Trecento ovvero la ” C di Contezza “.

Sino a qualche mese fa non utilizzavo spesso questo termine poiché mi sembrava troppo arcaico, ma facendo attenzione, lo sentivo spesso pronunciare da oratori che trattavano tematiche sensibili alla Natura e al Creato. Da brava curiosa ho cercato  il suo significato più profondo e ho ritenuto di inserirlo nella rubrica dell’ Erboristeria Tradizionale.

L’ Erborista Mediterraneo è colui che conosce ogni singolo prodotto della sua bottega, possiede familiarità delle meravigliose piante officinali che conserva con cura in Erboristeria, rende noto al cliente con semplicità di linguaggio ed entusiasmo delle piccole scoperte e curiosità  che trova sui testi o in campo aperto o dalle interviste fatte agli anziani del paese, tutto ciò per conoscere le poliedriche funzionalità di ogni singola pianta.

L’ Erborista Mediterraneo ha contezza del suo mestiere e delle piante officinali.

A presto

Carmela

 

UNA QUESTIONE DI BUON SENSO

 

In risposta alla questione sollevata da alcuni colleghi Erboristi sull’acritica valutazione dei testi tradizionali ,delle medicine e tradizioni popolari e la contestualizzazione del pensiero di Paracelso sui Nuovi e vecchi dogmi :

“Indubbiamente l’argomento è interessante e meriterebbe ben altro spazio che non un forum su fb, comunque ci piacerebbe dire la nostra visto che ci picchiamo di essere “tradizionalisti”. Prima di tutto bisogna dire che qualsiasi riprosizione acritica, dal nostro punto di vista, è sbagliata, e questo include la scienza moderna altrimenti dovremmo accettare la cancerogenicità del finocchio e persino della lavanda (quest’ultimo studio è stato pubblicato in Inghilterra e per fortuna è passato quasi inosservato). Quindi il senso critico è una virtù da coltivare sempre e comunque e chi non ce l’ha farebbe bene a procurarselo. Per quel che riguarda Paracelso, data la mole immensa del suo lavoro, andrebbe interpretato per l’appunto in modo critico e non estrapolando un solo passo da un singolo testo. Così facendo, emerge chiaramente che più che con Galeno o con la dottrina degli umori, che altrove peraltro colloca tra le vie per la salute, sebbene non la più importante, ce l’ha con il galenismo della sua epoca, e cioè con gli accademici suoi contemporanei. Del resto la ricerca alchimica è una ricerca aristotelica a tutti gli effetti, e non poteva essere altrimenti, avendo come oggetto d’indagine il quinto elemento, quello invisibile riconducibile al “divino”. Che poi qualcuno, anche se vorremmo sapere chi visto che tra le nostre conoscenze tra colleghi non ce n’è che si comportino così, riproponga acriticamente le ricette di Ildegarda o di Galeno solo perché di Ildegarda o di Galeno certamente sbaglierebbe. Riproporle però a fini esemplificativi e didattici, per mostrare come si praticava la medicina una volta e per mostrare un punto di vista che ha permesso, e questo va detto, a tutta la tradizione erboristica di arrivare fino ai nostri giorni, è a nostro giudizio opera meritoria, se si recidono le radici l’albero muore. Quindi, facendo la sintesi, nessuna accettazione acritica di nessuna dottrina, antica o contemporanea, i paradigmi cambiano ma le erbe e gli erboristi (speriamo) restano, finora almeno è stato così.”

Nasce la collaborazione tra Erboristi Mediterranei e la UNIPOSMS ” Università popolare nuova Scuola Medica Salernitana”

La passione per la divulgazione della conoscenza della tradizione erboristica mediterranea di Erboristi Mediterranei da oggi si tradurrà anche con la collaborazione della ” UNIPOSMS ” Università Popolare Nuova Scuola Medica Salernitana la sinergia sarà mirata a diffondere e valorizzare la cultura e la tradizione della Schola Salernitana.
Nel 1231 l’ autorità della scuola veniva sancita dall’ Imperatore Federico II di Svevia, ” Stupor Mundi “, protettore delle arti e grande rinnovatore, uomo di ingegno e mente aperta”.

link: www.uniposms.it