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“L’ Acqua di Melissa una tra le cordiali acque di vita” della D.ssa Carmela Patania

Sin dal primo momento che vidi la boccetta di Acqua di Melissa sullo scaffale, durante il tirocinio, mi son chiesta “ Quale storia intrigante è dissolta in quei pochi ml dato che  riporta in etichetta la dicitura …dei Padri Carmelitani Scalzi”?

Tutto iniziò da questa domanda e capii che ogni preparato erboristico non è solo un prodotto ma è anche un messaggero della propria storia sin dal momento in cui fu formulato sino ai suoi sviluppi ai giorni nostri.

Modificata nei secoli sia la ricetta sia il processo estrattivo per renderla unica di un determinato Convento dei Frati Carmelitani, l’ Acqua di Melissa dei Padri Carmelitani Scalzi è stata un medicamento di pronto intervento considerato alla stregua di panacea contro ogni tipo di malattia… ai giorni nostri diremo “ è di moda “!

Inserita tra le Acque di vita poiché dal punto di vista della tecnica farmaceutica la formulazione dell’ Acqua di Melissa è un alcoolato di melissa composto (prodotto derivante dalla distillazione, dopo macerazione per alcune ore sino a due giorni, nel solvente idroalcolico di piante medicinali fresche) ad oggi è ancora questa la tecnica che si deve usare per cui occorrerebbe accertarsi che la dicitura < acqua > non nasconda un procedimento di semplice soluzione di miscele di olii essenziali in alcool.

“ Durante la preparazione dell’ Acqua di melissa si assiste ad un processo di estrazione nel quale entrano in contatto sin dal primo momento tutte le droghe, quindi interagiscono reciprocamente creando una nuova entità: Estrazione unica. Siamo di fronte ad un processo in cui una nuova esistenza prende vita, in maniera del tutto originale, avente una sua identità ben precisa e finita tale da essere considerata rimedio” Carmelo D’ Amore – ALCH –

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Tutto ha inizio dalla Melissa officinalis L.  pianta mellifera ( Meliphyllon: le sue foglie espandono l’ odore di miele – Dioscoride- ) di antichissima conoscenza e uso da parte dell’ uomo, a riguardo Ildegarda di Bingen scriveva: “  L’ uomo che ne mangia ride volentieri, poiché il suo calore tocca la milza e il suo cuore ne viene rallegrato “ e Avicenna scriveva: “ la melissa dispone la mente e il cuore all’allegria”.

Ma il suo utilizzo non era limitato solo per uso interno, infatti Dioscoride applicava le foglie di Melissa sulle ferite cutanee e Plinio il Vecchio, la raccomandava per arrestare le emorragie.

Quindi questa semplice e umile pianta deteneva già da sola tantissime proprietà grazie al suo fitocomplesso ma i monaci vollero potenziare il suo effetto e ampliarne l’ utilizzo nei vari mali .

La storia intrigata della formulazione dell’ Acqua di Melissa ha solo due punti fermi: l’ origine conventuale della ricetta e i componenti accessori tutti di origine esotica.

Agli inizi ‘600 le farmacie dei monasteri sono molto attive. Le loro preparazioni sono frutti di un’ eredità derivata prima dal mondo arabo e poi dalla cultura medievale ed alchemica rinascimentale. La distillazione non ha segreti e si è in grado di produrre anche in grandi quantità per soddisfare bisogni salutistici di un gran numero di persone che affollano i monasteri.

I primi documenti attestano che l’ Acqua di Melissa sembra venir ideata nella farmacia del convento dei Padri Carmelitani Scalzi in Rue de Vaugirard a Parigi nel 1611 ma sorge un dubbio a riguardo dell’ origine esotica di gran parte dei componenti: scorza di limone, frutti di coriandolo, chiodi di garofano, noce moscata e corteccia di cannella dato che in quel periodo la flotta francese ha più compiti militari che commerciali ed i suoi traffici sono indirizzati specialmente verso le Americhe. Verso l’ Oriente guarda Venezia, e i suoi rapporti di interscambio commerciale della Serenissima.

Oltre ad un documento conservato presso la biblioteca Marciana di Venezia, durante un pranzo un frate carmelitano, si sente male e il Padre Superiore fece subito portare l’ Acqua di Melissa per farlo rinvenire. Se ne deduce che la preparazione era già pronta in convento inoltre ho trovato in un’ operina lieve “ Il caffè di campagna “ composta da Baldassarre Galuppi ( intorno alla metà del ‘700, compositore più completo e di maggiore successo dell’ Italia settentrionale) su libretto di Pietro Chiari, poeta di corte di Francesco III di Modena che recita così “ un po’ d’ acqua di melissa che già sviene il poverino … lo farò resuscitar … oh che gusto da provar “.

Inoltre riporto dall’ Abate Pietro Chiari Bresciano “ tu sei l’ anima mia le mie viscere belle, il mio core il mio fegato , la milza e le budella. Ad un’ occhiata tua che sia tenera e fissa, vo in sugo di viole, vo in acqua di melissa “.

Ma anche il Goldoni la cita nella commedia “Il bugiardo” come «spirito di melissa» poiché viene utilizzata per rianimare, dopo un mancamento, la prota­gonista Rosaura.

Questo vuol dire che il rimedio era di uso comune in particolare per trarre d’impaccio dalla situazione imbarazzante dello svenimento!

Continuando a parlare della formulazione dei Padri Carmelitani Scalzi di Venezia loro utilizzavano sino al 1982 il Dracocephalum moldavicum L. detta << Melissa della moldavia >> o << Melissa turca >> una labiata affine alla melissa ma originaria di una vasta regione detta << altopiano Sarmatico >> poiché il suo profumo era più persistente, infatti si utilizzava in profumeria e liquoreria. Appena la falciata, i monaci subito la distillavano per due volte e poi miscelata agli altri O.E. della formula, questi ultimi in quantità inferiori  rispetto alle altre acque di melissa. Ciò che caratterizza questa acqua di melissa è il colore giallo.

NOTA: E’ da ricordare che i giardinieri italiani nel 1596 la utilizzava per le loro opere floreali grazie al colore dei fiori color azzurro.

Un altro esempio italiano è l’ Acqua di S. Maria della Scala – Che si prepara dai Religiosi Carmelitani Scalzi – dal quale riporto per gentile concessione di Marco Sarandrea le Invenzione e virtù medicinali “ Il pestifero morbo del quale Roma l’ anno 1764 era infestata e che mieteva gran parte dei suoi abitanti, diè impulso ai Farmacisti del Convento a comporre un’ antidoto, che avesse le qualità di preservativo e cura….Essa si compone di varie sostanze corroboranti e carminative scelte nel regno vegetale, molto omogenee perciò all’ economia animale.

Essa rianima le forze vitali ( sincopi, svenimenti, dolori di capo ). Arresta le emorragie di sangue provenienti da debolezza, risana le ferite, calma il dolore dei denti, ottimo dentifricio, sana contusioni, giova per i dolori reumatici e per lo scorbuto. Lo stesso si dica per le morsicature di animali velenosi e per le malattie degli occhi esponendoli all esalazione di questo specifico.

Si usa internamente come disinfettante e preserva da qualsiasi malattia epidemica. E’ di grato profumo per toilette. ( In guardia dalle molteplici imitazioni messe nel commercio da disonesti speculatori ) Chiedere sempre la vera che porta impressa sul flacone: ACQUA DI S. MARIA LA SCALA “.

La formulazione del centro italia è ancora in produzione grazie a Marco Sarandrea che scrive:  “ l’ acqua di melissa veniva prodotta da mio nonno Marco già negli anni ’20 con il nome di “ Acqua spiritosa di Melissa “ ovviamente ispirata nella produzione dal fratello di mio nonno che era un frate cappuccino Padre Paolo da Collepardo, studioso e conoscitore dell’ arte erboristica. Successivamente mio padre Mario riprese a produrla negli anni ’60 ’70  anche perché richiesta da molti monasteri che per carenza di vocazioni non riuscivano più a produrla. Controllando i ricettari di mio padre ho scoperto he non utilizzava una sola ricetta ma molteplici mantenendo invariati circa il 90% degli ingredienti della ricetta classica dei Carmelitani e cambiando a piacimento il resto degli ingredienti quasi a volerla renderla inimitabile. In sostanza penso comunque che la ricetta di riferimento sia quella della farmacia dei Carmelitani della Scala di Roma detta “ acqua di melissa antisterica “, denominazione singolare come se fosse ad uso esclusivo delle donne. Alla domanda “ perché produrla ancora “ poiché è un prodotto erboristico dell’ erboristeria tradizionale europea che va mantenuta e protetta ma soprattutto divulgata perché è efficace “.

Esempi di impiego del prodotto:

  1. antisettico, il contenuto alcolico si aggira intorno il 60-70%  per la disinfezione della pelle, ferite, scottature, acne, micosi, dermatiti in generale.
  2. Svenimenti, capogiri, raffreddore, shock emotivi: qualche goccia sul fazzoletto e far fiutare, bagnare le narici, frizionare la fronte.

3.  Disturbi di stomaco: un cucchiaino con un po’ d’acqua o caffé, o alcune gocce su una zolletta di zucchero da succhiare lentamente il prodotto o semplicemente frizionando sullo stomaco ( nausee e indigestioni )

4.  Mal di denti: poche gocce in bocca o inzuppare un po’ di cotone o un fazzoletto e accostarlo alla zona dolente.

5. Mal di testa, stress, vertigini, emozioni e insonnia: versarne sulla mano, inumidire fronte e tempia.

6. Infiammazioni della bocca e della gola: 10/15 gocce in un bicchiere con poca acqua e fare gargarismi, sciacqui 3 o 4 volte al giorno.

7. Infiammazioni respiratorie: alcune gocce in bocca su una zolletta di zucchero in poca acqua 2 o 3 volte al giorno.

8. Infiammazioni di pelle e scottature: strofinare varie volte con un batuffolo di cotone inumidito di alcune gocce.

9. Forfora e caduta dei capelli: frizionare i capelli con un po’ di gocce dopo lo shampoo e prima di sciacquarli.

10. Punture d’insetti: massaggi.

11. Per la preparazione di tisane e soluzioni: dopo un pasto abbondante e frettoloso aggiungere un cucchiaio del prodotto in poca acqua calda.

12. Nei disturbi digestivi specialmente legati all’ emotività, stress e indigestione legati ai pasti frettolosi e non rilassati: versare 2 cucchiaini da caffè di acqua di melissa in un bicchiere di acqua molto calda e bere a piccoli sorsi.

Alcune Ricette:

ALCOOLITO COMPOSTO, DI GRATO PROFUMO E SPECIALI VIRTU’ TERAPEUTICHE

Concilia il sonno ed è indicatissimo negli esaurimenti nervosi e in tutti gli stati di ipereccitabilità ( nervosismo )

Ricetta:

foglie di melissa appena raccolte 1 libbra

lauro bacche 1 oncia

cumino semi 1 oncia

mirra 1 oncia

castorei 2 dracme

vino bianco 2 decime di libbra

dopo una sufficiente digestione distillare sino a dimezzarne il volume

Acqua di Melissa dei Carmelitani della Rue de Vaugirard:

melissa, limone scorze, coriandolo frutti, cannella corteccia, calamo aromatico rizoma, acqua 1L, alcool a 80° 2L. ad oggi l acqua di melissa prodotta ha in etichetta: melissa, chiodi di garofano, crescione, coriandolo, noce moscata, limone e cannella.

Acqua di Melissa dei Padri Carmelitani Scalzi di Venezia:

non si conosce la formula ma viene indicato come componente fondamentale Dracocephalum moldavicum L. il cui olio essenziale distillato due volte comparirebbe nella proporzione del 0,750% mentre il restante è dato da una miscela di olii essenziali di cedro, garofano e cannella.

Acqua di Melissa o Spirito dei Carmelitani del Ricettario Fiorentino 

edito a Venezia nel 1802:

Melissa colta di recente una libbra e mezzo, cedro scorze 4 once, coriandoli semi 8 once, noci moscate, garofani, cannella ana 2 once, radici di angelica once 1, spirito di vino rettificato libre 8- Acqua di melissa semplice libre 2. Si tagliano le erbe, s’ acciacchino le droghe secche, e si tenghino infuse nei fluidi sopradescritti per ore 24 e di poi a bagnomaria si stilli libbre 7 di fluido.

Alcool con melissa composto Della Farmacopea del dottor Campana 1832 che lui chiama Acqua di melissa spiritosa:

pianta fresca di melissa 2 libbre, scorze di limone fresche, once quattro, noci moscate once due, coriandoli, once otto, cannella – garofani di ciascuna mezz’ oncia, angelica un’ oncia, alcool libbre 10. Mescola e tieni in digestione per tre giorni e poi stilla a bagno maria , per ottenere libbre dieci di fluido, il quale rettificherai con nuova distillazione.

Farmacopea Ufficiale del Regno di Italia 6° ed. 1940

SPIRITUS MELISSAE COMPOSITUS

ALCOOLATO DI MELISSA COMPOSTO

Acqua spiritosa di melissa – Spirito di melissa

foglie di melissa 50parti

buccia di limone 40parti

noce moscata  20parti

cannella 10 parti

garofano 10 parti

alcool di 60° 1200 parti

si facciano macerare per 24 ore, nell’ alcool, le droghe opportunamente preparate: si coli il ricavato si distilli su bagno maria per ottenere 800 parti di prodotto.

Liquido limpido, senza colore, fortemente aromatico.

Preparazione semplice di Pierre Lieutaghi: 

Melissa foglie 120g, Limone scorza fresca, Noce moscata, Coriandolo di ciascuno once una, garofano chiodi, Cannella di ciascuna 15g, alcool a 50° 2L. Far macerare in recipiente coperto e a fuoco dolce ( mite temperatura) per otto giorni. Dopo filtrare e conservare ben chiuso in flaconi da 100ml.

 

Ecco la nostra piccola, amata e profumata Acqua di Melissa, un rimedio erboristico tradizionale nel quale è impressa tutta la nostra storia sia politica sia spirituale e la flora mediterranea. Una piccola boccetta dalle mille virtù da poter indicare nei disturbi che la vita moderna, attraverso i suoi ritmi frenetici, crea nel nostro organismo, in primis le gastralgie poiché non si mangia seduti e in silenzio con gli altri commensali e neanche si ha il tempo per masticare.

 

TRADIZIONE E ADATTAMENTO AI TEMPI del Dott. Luigi Giannelli

INTERVENTO PER IL CONVEGNO DEL 22-23 OTTOBRE 2016  FANO ( PU )

Cari amici e amiche, colleghi e Sorelle e Fratelli e Maestre e Maestri dell’Arte,

sono felice e onorato di poter partecipare, almeno in questa forma al Convegno. Mi onora che mi sia stato chiesto un intervento “a distanza”, nonostante la presenza di persone del più alto livello del nostro ambito Erboristico e Tradizionale.

Da un intervento del Maestro Simone Iozzi, che considero il Primo tra di noi, ed il primo, insieme ad Angelo Severi (due primi possono coesistere: si chiamano “comprimari”!), che mi ha, mi hanno instradato verso lo studio, l’applicazione pratica e la divulgazione di quella che noi definiamo “Erboristeria Tradizionale” con l’aggiunta dell’aggettivo “Mediterranea”.

Riteniamo che chi si è discostato ed ha disconosciuto le conoscenze e soprattutto i modi di affrontare e conoscere il Mondo secondo la Tradizione Ancestrale, abbia commesso un errore gravissimo, e consegnato di fatto l’Erboristeria in mano ad altre categorie professionali ed alla fine l’ha gettata nelle fameliche fauci della grande distribuzione.

In se’ questi eventi non sarebbero pericolosi, ma per fare questo conoscenze e modi sono stati distorti e pervertiti, resi inconoscibili e impossibili ad essere più compresi ed usati al giorno d’oggi.

Senso e concetto di Tradizione.

Per Tradizione si intende “trasmissione”, sottinteso di conoscenze; conoscenze tecniche, scientifiche, ma anche di ordine Spirituale.

Nell’antichità, e in modo simile sia in Oriente sia in Occidente, insieme ad una conoscenza tecnico-pratica e dei fenomeni naturali (oggi definibile come scienza) è sempre connessa con forti connotazioni Spirituali; non si può fare o conoscere nulla, se non si percepisce dietro l’Atto (compiuto o rilevato) una Divina Potenza, che tutto governa.

Per lunghi periodi della Storia, anzi fin nella profondità della Preistoria, prima di accedere ad una Arte pratica o ad un sistema conoscitivo o ad una Istituzione Religiosa o Spirituale , occorreva comunque un lungo Apprendistato ed una speciale procedura di Accesso Selezionato, detta “Iniziazione”.

Occorreva superare delle prove, anche fisiche, anche dolorose, per mostrarsi degni o degne per praticare qualsiasi attività.

Il massimo Maestro e guida di questo ambito è Renè Guenon (testi caratteristici: “IL Re del Mondo”, “Simboli della Scienza Sacra”), ma anche accademici come Mircea Eliade (“Arti del metallo e Alchimia”, Lo Sciamanesimo e Tecniche dell’Estasi”) o il suo allievo J.P. Couliano (“I viaggi dell’Anima”), Elemire Zolla, Robert Graves, che hanno scritto numerosi e fondamentali testi sulla Tradizione e sui suoi molteplici e complessi significati.

Ma mentre Renè Guenon rivendica il primato sempre e comunque del concetto di Tradizione Ancestrale (come del resto un altro autore come Julius Evola), gli altri, essendo degli Accademici moderni si adattano e adattano la loro esposizione al mondo di oggi, alla comprensione di coloro che OGGETTIVAMENTE non sono e non possono essere iniziati.

Certo è che per tutti i “tradizionalisti” la Rivoluzione Industriale e le sue premesse (come l’Illuminismo) sono malviste. E in buona parte con ragione. Oggi assistiamo alla maggiore degenerazione di questo evento, in sé ed all’inizio positivo.

Ma passiamo ora alla parte che interessa questa occasione, quella della “pratica” e della “teoria”, tecniche e saperi complessi e coerenti relativi all’ Arte del Sanare.

Tradizione Colta (La “Medicina Tradizionale Mediterranea”).

Per millenni Greci, Etruschi, Fenici, furono i migliori mercenari, corsari, briganti per conto di Egizi e altre Civiltà Mesopotamiche (Babilonesi, Assiri, Neo-Babilonesi), e nel VII° secolo esplose la Grande Scienza Greca. Fu la fusione tra molte Civiltà Millenarie che si concretizzò con la Medicina, l’Astronomia, la Matematica, la Filosofia Greche. Vedi anche gli studi di Egle Trovato e David Heath di Ragusa.

Poi con l’Ellenismo, cioè dal III° secolo a.C. si concretizzò l’indirizzo potentemente scientifico della “Grecità”. Unita al mondo Macedone, dal quale nasce (con Alessandro Magno) anche la conquista e quindi i contatti stretti con vari Paesi d’Oriente (dalla Persia, all’India, alla Cina!).

Sulla base di questi stretti contatti tra culture molto diverse, Occidentali e Orientali, nasce e si sviluppa la grande – e di fatto ancora comprensibile – cultura Occidentale e Europea. Le basi: Le Quattro Qualità (Caldo, Freddo, Secco, Umido), i Quattro Elementi (Fuoco, Aria, Acqua, Terra) e i Quattro Umori (Bile gialla, Sangue, Flemma e Malinconia). Su queste basi si fonda sia l’Arte Medica, e Veterinaria, sia la farmaceutica e la chimica/alchimia/spagiria, sia l’Arte Fisiognomica (fondamento di ogni sistema diagnostico) ma anche altri aspetti della Scienza Antica e i sistemi tecnologici, l’Astronomia e l’Astrologia, la Meteorologia, la metallurgia, la tintura tessile, l’edilizia, l’arte vetraria, l’agricoltura insomma tutte le conoscenze le arti e pratiche di epoca pre-industriale.

Emergono le alte figure dei medici come Ippocrate e le figure divinizzate e spostate in un epoca “al di là del Tempo” come Asclepio.

Infine emergono le figure soprattutto di Corte, in epoca Romana, come Galeno o nel Medio Evo Arabo-Islamico come Mesuè, Razes Avicenna. In Europa figure di Santi, come Santa Ildegarda di Bingen, ma in parallelo con la medicina colta e laica, nelle Università di Salerno e di Montpellier. Ciò proseguirà fino alla Rivoluzione Industriale e perfino oltre.

Tradizione Popolare (l’Erboristeria Tradizionale dei Popoli Mediterranei, in tutte le possibili varianti). Accanto alle classi dominanti delle varie culture, si affollano i Popoli, che hanno le stesse necessità. Anzi, fino ad una certa epoca, ambito colto e saperi e abilità popolari sono strettamente compenetrati. Il fabbro, il contadino, il vetraio, il tessitore ed il tintore DEVONO condividere saperi e abilità spesso comuni al medico, al notaio, all’architetto, al Principe (quale che sia).

Coll’allontanarsi tra di loro delle categorie sociali, mentre la Tradizione Colta si sviluppa per suo conto, anche quella popolare lo fa. Molte società tendono a chiudersi (vedi nell’economia dei villaggi sia durante l’Impero Romano sia – in modo diverso nel Medio Evo) e tendono a formarsi, in questi casi figure analoghe all’Antico Sciamano. Alcuni sono maggiori (i Grandi Guaritori), altri sono “minori”, come i guaritori familiari. In ogni famiglia, ma questo fino alla prima metà del XX° secolo, c’era una anziana o un anziano esperto di erbe, di cibi e di guarigioni.

Rammento gli esempi spesso riportati e desunti dalla Tradizione Popolare autentica:

  • Parietaria per colite (centro Italia) e emorroidi (sud Italia);

  • Agrimonia o Rose selvatiche bacche per le calcolosi renali;

  • Olmo, Sambuco, Salvia Pratensis e Iperico per le affezioni cutanee, dalle ustioni all’Herpes

  • Empiastri a base di farina di Fave e albume d’Uovo (e piante in sostituzione o Verbena o Crucifere) per la maturazione di ascessi e cisti purulente;

  • Piantaggine per ulcerazioni esterne o delle mucose interne.

Per alcuni, forse, banalità. Ma millenarie e……. funzionano.

Necessità e modalità di adattamento al Mondo di oggi, ai Tempi correnti.

Certo, oggi, soprattutto nell’Area degli Erboristi, può e deve consolidarsi (pena il totale spegnimento o assorbimento in figure che definire “minori” è dir poco) la ricerca, lo sviluppo, l’adattamento della Tradizione ai Tempi moderni. Tuttavia nel contempo è indispensabile che si manifesti una grande fermezza e fedeltà agli Antichi Principi.

Adattamento significa trovare il modo di comunicare in maniera semplice e chiara, sia all’interno dei gruppi e Associazioni professionali di Erboristi ed altri operatori della Salute (Medici e Farmacisti compresi) sia all’esterno, cioè al pubblico ed ai cittadini.

Adattamento per essere compresi (comunicazione), adattamento per la fabbricazione di prodotti rispettando sia i canoni-base del prodotto da riprodurre sia alle nuove tecnologie estrattive e preparative.

Ripeto: adattamento della COMUNICAZIONE, non dei concetti, che vanno salvaguardati e fedelmente riportati.

Sta qui, in fondo la vera difficoltà: entrare in un “altro mondo” quello della “mente antica” con la “mente moderna”. Si può. Basta rispettare i Principi, ma osservando accuratamente le reazioni di chi riceve la comunicazione. E qui grande aiuto lo dà la Fisiognomica!

Il corretto rapporto con la Scienza Moderna derivante dalla Rivoluzione Industriale.

Gli Antichi non avevano la nozione in termini moderni di quelli che oggi chiamiamo “principi attivi” e “fitocomplesso” (ovvero l’insieme di sostanze che compongono il contenuto delle piante, sia quelle considerate attive sia quelle considerate inerti; per la mente antica non esistevano “materie inerti”: tutto è vivo e attivo!). Tutte le culture, Occidentali e Orientali hanno osservato “sostanze” e “forze”, materia e energia, anzi, la parte più nobile e sottile di una certa “forza” sconfina nella realtà “sovrasensibile”, ovvero Spirituale.

Occorre usare quella che a volte mi è piaciuto definire “mente oscillante”, ovvero la mente moderna, del chimico e del tecnico farmaceutico e quella antica, del Sacerdote/Sciamano a volte del Mago (come è successo nel XVI° e XVII° secolo).

Conclusioni

Insomma, SI PUO’ salvaguardare la Tradizione Ancestrale con le sue basi, nella sua totale integrità. SI DEVE tuttavia fare un grande sforzo per poterla comunicare ai colleghi ed ai cittadini che in noi confidano.

Osservando dal punto di vista moderno le piante (principi attivi), se questa operazione la si svolge in modo appropriato vediamo come gli Antichi avessero già visto le stesse cose, ma a loro modo. Non dobbiamo fare confusione. Dobbiamo avere una accanto all’altra la “scheda della pianta” secondo Tradizione (servendoci soprattutto di Dioscoride, Galeno e Avicenna, che abbiamo in Archivio in copie conformi), ma anche la scheda chimica, farmacologica e tossicologica secondo la Scienza Moderna e fare continuamente un lavoro di comparazione.

Grazie alla Fisiognomica, possiamo leggere in modo completo la diagnosi semeiotica e strumentale del medico moderno, anche in questo caso comparando e notando attentamente analogie e similitudine.

Grazie alla Dottrina della Segnatura, osserviamo i segni della Natura in ogni dove, con la Fisiognomica nei corpi, con portamento, struttura e colori sulle piante, ma anche sui minerali ed anche sugli animali, che ci servono per comprendere al massimo grado le analogie.

Ringrazio Simone Iozzi, uno dei più grandi e primi (con Angelo Severi) veri Maestri, per essere presente.

Può darsi che dica cose un po’ diverse da come le ho messe io, ma se si fosse sempre e comunque d’accordo non saremmo Maestro e Apprendista. Avremmo fatto una setta!

Ringrazio poi il Consiglio Direttivo dell’Associazione “Erboristi Mediterranei”, in primo luogo il Presidente Aldo Galante e la Vice-Presidente Carmela Patania, che si sono impegnati alla realizzazione ed alla riuscita di questo storico evento.

Non so quanta gente ci sarà. Ma il luogo sarà PIENO delle Anime di chi non è potuto venire e di quelle Sacre dei nostri Antenati.

Saremo i Custodi della Tradizione.

 

 

Erboristi e Pellegrini

L Italia è conosciuta come il paese delle meraviglie sia culturali sia enogastronomiche ma aggiungerei anche erboristiche e paesaggistiche.

Grazie alla professionalità di Karin Mecozzi, Ass. Thaleia Natura e Accademia Petrarca ho vissuto Un’ esperienza da Pellegrino Che ha percorso 1000Km per ritrovare Le radici e l approccio Tradizionale all erboristeria.

L immersione in paesaggi ove il silenzio e il canto dell Aquila scandiscono il tempo, Anche in Un giorno riescono a risvegliare l Erborista Che è in ognuno di noi.

Erboristi Mediterranei in collaborazione con Università Popolare Uniposms “Scuola Medica Salernitana ” è presente nelle iniziative erboristiche del territorio Italiano affinchè sia possibile il recupero delle nostre radici basate Sulla cultura Dei Semplici.

D.ssa Carmela Patania

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Erboristi Mediterranei firma il protocollo d’ intesa con UNIPOSMS

La firma che sancisce il Protocollo d’intesa tra Erboristi Mediterranei e UNIPOSMS “Università popolare nuova Scuola Medica Salernitana” iscritta al Reg. Nazionale Ricerche del MIUR cod. 61589KCW è stata depositata a Salerno, in data 17 giugno 2016 presso l’ Istituto “S. CATERINA DA SIENA – AMENDOLA” dalla D.ssa Carmela Patania ( Vicepresidente di Erboristi Mediterranei) in presenza del Presidente UNIPOSMS Prof. Pio Vicinanza, del Preside ad Cathedram Prof. Carlo Montinaro e del Prof. Carlo Morelli.

La sinergia è mirata a diffondere e valorizzare la cultura e la tradizione della illustre Schola Salernitana. Nel 1231 l’ autorità della scuola veniva sancita dall’ Imperatore Federico II di Svevia, ” Stupor Mundi “, protettore delle arti e grande rinnovatore, uomo di ingegno e mente aperta.

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” L’ evento rappresenta anche uno dei rarissimi riconoscimenti di fatto ed in parte di diritto da parte di un organo dello Stato verso un’ Associazione di privati cittadini” Dott. Luigi Giannelli -Erboristi Mediterranei.

E’ solo l’inizio di un lungo cammino e di condivisione del sapere antico.

Erboristi Mediterranei ringrazia:
Prof. Pio Vicinanza
Prof. Carlo Montinaro
Prof. Carlo Morelli

Dott.ssa Eva Avossa: ViceSindaco di Salerno, Assessore alla Pubblica Istruzione ed Edilizia scolastica
Prof.ssa Anna Rita Carrafiello: Dirigente Scolastico Istituto “S. CATERINA DA SIENA – AMENDOLA” Salerno
Dr. Luigi Frezza: Segretario UNIPOSMS
e tutti coloro che hanno reso indimenticabile questo momento storico dell’ Erboristeria Tradizionale e che hanno creduto sin dal primo momento ad Erboristi Mediterranei.

Grazie

D.ssa Carmela Patania

Il Finocchio… e il suo essere poliedrico

fennel tea

“Farsi infinocchiare”, locuzione che significa “non farsi influenzare”, prende spunto proprio dal finocchio che era offerto dall’oste quando voleva dar da bere ad un cliente un vino scadente, il cui gusto veniva migliorato dal forte aroma. Il Foeniculum (dal latino “foenum”, fieno, per l’uso foraggero che se ne faceva) è stato coltivato dagli antichi romani per il suo frutto aromatico e la succulenta parte edibile (grumulo); i semi di finocchio sono stati trovati persino nelle tombe dei faraoni egiziani. Il finocchio è stato anche adoperato come un’erba magica: nel medioevo fu posto sopra le porte la vigilia di mezza estate per proteggere la famiglia dagli spiriti maligni.

È una pianta erbacea annuale, biennale o perenne alta da 40 cm fino a 2 mt; glabra e glauca, ha foglie con la base ingrossata e guainante ed in alto completamente divise in lacinie filiformi. La porzione appena interrata è di norma nodosa ed annulata (grumolo), da cui si dipartono i fusti; i fiori sono gialli disposti in ombrelle terminali; il frutto (comunemente chiamato seme) è un achenio lungo 4-7 mm.

Le varietà.
Esistono molte varietà di finocchio ed una classificazione è praticamente impossibile a causa della tendente ibridizzazione. Di Foeniculum vulgare subsp. vulgare esistono 3 varietà: la “vulgare” è il finocchio amaro, usato spesso per adulterare la varietà dolce nella produzione dell’olio essenziale, con una quantità inferiore di anetolo; la varietà “azoricum”, annuale, chiamato finocchio, finocchio di Firenze o anice, ha il grumulo dolce ed edibile; la varietà “dulce” chiamato finocchio, finocchio dolce o romano, ha un frutto più grande, molto aromatico, coltivato soprattutto per la pregiata qualità dell’olio essenziale, che viene raccolto a maturazione: è una varietà precocissima adatta per la semina.
La subsp. piperitum è invece il finocchio selvatico o pepato, specie perenne e nota pianta aromatica mediterranea utilizzata in cucina che si può trovare in diverse aree temperate del mondo fino ai 1000m di altitudine; è caratteristica lungo le strade, i sentieri e i luoghi aridi.
Le varietà descritte appartengono a due sub-specie che variano morfologicamente:

-nel numero dei raggi dell’ombrella, 12-25 o più nella subsp. vulgare e 4-10 della subsp. piperitum
-nella forma delle foglie, che sono flessibili e lunghe più di 10 mm nella subsp. vulgare, ridottissime e rigide nella seconda;
inoltre, quest’ultima è sempre perenne e non ha il grumolo, mentre la subsp. vulgare è spesso biennale ed ha un grumolo voluminoso ed edibile.

Tralasciando l’approvazione di tale sistematica, il Foeniculum vulgare Mill. potrebbe essere confuso con l’aneto (Anethum graveolens L.) e con il falso aneto per l’aspetto fogliare e il colore dei fiori, ma distinguibile dall’aroma dell’aneto in quanto più simile al cumino e da quello del falso aneto che è pungente e poco gradevole.

Usi tradizionali
È una pianta adoperata ampiamente nelle medicine tradizionali come la Ayurveda, Unani, Siddha, in quelle indiane e iraniane, con metodi di preparazione ed uso che fanno parte di una ben documentata letteratura etnobotanica. I frutti maturi e l’olio essenziale di finocchio sono usati come agenti aromatizzanti nei prodotti alimentari: i frutti in particolare sono utilizzati per produrre liquori, pane e formaggio, mentre l’olio essenziale è anche un ingrediente di prodotti cosmetici e farmaceutici.
Anticamente in Sicilia si masticava il finocchio selvatico o quello dolce per l’acidità di stomaco (oggi sappiamo che tale effetto va sfruttato in uno stomaco la cui mucosa gastrica è intatta), mangiato nelle minestre come galattogeno e nella galattorrea; veniva inoltre applicato per curare i “polipi agli occhi” ed usato come depurativo e diuretico il decotto dei semi. In Basilicata invece le foglie più tenere venivano masticate e bloccate sull’ulcera per curare le stomatiti mentre il decotto dei frutti veniva utilizzato per i disordini digestivi; in Liguria, come sedativo, si dava da mangiare ai bambini i germogli apicali; mentre a Roma invece si masticavano, o si usavano come condimento, i frutti per avere l’effetto galattogeno. Tradizionalmente in Europa e nelle aree mediterranee il finocchio è usato come antispasmodico, diuretico, antinfiammatorio, analgesico, secretomotorio, secretolitico, galattogeno e come collirio.

Usi medicinali
Viene utilizzato principalmente per la sua attività antispasmodica che ha trovato conferma anche da evidenze cliniche: agendo sulla funzionalità della muscolatura liscia migliora la spasticità nei disturbi gastrointestinali anche nei bambini (flatulenza, coliche gassose, sindrome del colon irritabile, colite cronica, dispepsie), mentre l’olio essenziale regolarizza la motilità e riduce la produzione di gas intestinale.
Alcuni studi farmacologici sembrano confermare l’attività espettorante dei frutti i quali stimolano la motilità ciliare dell’apparato respiratorio facilitando l’eliminazione dei corpuscoli estranei, l’olio essenziale invece stimola la contrazione della muscolatura liscia della trachea facilitando l’espettorazione.
L’effetto galattogeno sembra, da evidenze sperimentali, essere dovuto principalmente all’anetolo, il quale sembra sia di tipo selettivo nella ghiandola mammaria: esso (probabilmente meno potente dei suoi polimeri) compete con la dopamina, inibitore della prolattina, stimolando la produzione di latte.
Riguardo l’attività antimicrobica, la letteratura è ricca di dati: tutti gli studi sono stati effettuati sugli estratti grezzi ed è difficile individuare il metabolita antimicrobico attivo. Al di là di questo, l’olio essenziale non sembra avere un’attività antibatterica molto pronunciata, ma è risultato efficace ad ampio spettro su 25 ceppi batterici patogeni.
La Commissione E ha approvato l’uso interno dell’olio essenziale di finocchio per disturbi spastici del tratto gastrointestinale, sensazione di pienezza, flatulenza e anche per disturbi delle vie respiratorie superiori come il catarro; infatti il miele al finocchio è stato nello specifico raccomandato per contrastare il catarro nei bambini.

La composizione
Il finocchio è ricco di fibre e vitamine ed è una delle più alte fonti vegetali di potassio, sodio, fosforo e calcio. I carboidrati sono i macronutrienti più abbondanti in tutte le parti e vanno dai 18,44 ai 22,82 g / 100 g, mentre le proteine, gli zuccheri riducenti, e i grassi sono i macronutrienti meno abbondanti; le proteine ​​nello specifico variano tra 1,08 g / 100 g nei gambi e 1,37 g / 100 g nelle infiorescenze. Inoltre, le infiorescenze e i gambi hanno il più alto contenuto di grassi (1,28 g / 100 g) e minore è il contenuto dello zucchero (1,49 g / 100 g), rispettivamente, tra tutte le parti di finocchio. Le infiorescenze hanno i valori più alti di energia, mentre le foglie e steli ne hanno un contenuto più basso.
Sono state condotte molte ricerche fitochimiche, con risultati diversi, per analizzare la composizione dell’olio essenziale; ad influenzare la composizione dell’olio essenziale del finocchio sono le varietà, il tempo e il luogo di raccolta o di coltivazione, nonché la conservazione. I principali componenti sono derivati ​​dei fenilpropanoidi: trans-anetolo, estragolo (metil cavicolo), e poi alfa-fellandrene, limonene, fenchone, e alfa-pinene. È quindi molto difficile stabilire la quantità di estragolo effettiva presente nell’olio essenziale.

La presunta tossicità
Un lavoro pubblicato qualche anno fa su “Food and Chemical Toxicology“ ha suscitato una larga eco sul web e sulla stampa; in seguito a tale studio il finocchio è stato accusato di tossicità soprattutto se usato come decotto per i bambini: la sostanza imputata è l’estragolo, un fenilpropanoide presente in quantità variabili nel basilico, nel finocchio e nell’anice. Gli autori hanno misurato, in vari campioni di tisane al finocchio in commercio in Italia, il contenuto di estragolo: alcune di queste tisane conterrebbero quantitativi di estragolo che, a parere degli autori, potrebbero rappresentare un pericolo se assunti dai bambini nei primi mesi/anni di vita. Essi segnalano anche che alcune tisane solubili in vendita in Italia, appositamente formulate e commercializzate per lattanti e bambini, contengono quantità di estragolo che meritano attenzione.
Ciò che ha destato sospetto è la genotossicità in vitro e la cancerogenicità dell’estragolo in studi su roditori, l’interpretazione dei quali ha suscitato critiche e perplessità tra gli esperti. I motivi cruciali della disapprovazione riguardano precisamente 4 punti:
I dati ottenuti in modelli animali non sono sovrapponibili a quelli ottenuti negli esseri umani.
Le alte dosi di estragolo puro applicate negli studi non rappresentano le dosi reali a cui gli esseri umani sono esposti come consumatori di cibi e fitofarmaci contenenti tale sostanza. L’esposizione negli esseri umani avviene sempre a dosaggi molto più bassi e per tempi minori di quella a cui sono stati sottoposti gli animali da laboratorio, molte volte viene somministrato estragolo per quasi tutta la vita dell’animale da laboratorio.
Gli studi sul metabolismo dell’estragolo rivelano differenze quantitative tra il metabolismo dell’estragolo nei topi e negli uomini.
È stato dimostrato che una sostanza somministrata in forma isolata può avere effetti significativamente diversi dalla stessa assunta nel suo fitocomplesso.
I suddetti elementi non sono stati considerati nella valutazione del rischio nella misura in cui questa dovrebbe comunque essere basata su dati adeguati raccolti in studi relativi agli esseri umani. C’è anche da tenere presente che non esistono studi epidemiologici e clinici che possano confermare la cancerogenicità osservata nell’animale da esperimento, ma considerando il lungo uso tradizionale dell’infuso di finocchio, la probabilità di un grave rischio è trascurabile.
Una miscela multicomponente come l’infuso di finocchio contiene sostanze che potrebbero ridurre notevolmente gli effetti tossici di alcune molecole presenti le quali, valutate singolarmente, sono dannose: l’estragolo puro ed i suoi metaboliti sono infatti inattivati da molte sostanze contenute nel decotto e nell’infuso; i conseguenti effetti avversi sono ridotti quando l’estragolo è ingerito nel proprio contesto fitochimico.
L’estragolo è metabolizzato lungo una serie di pathway metabolici tra cui O-demetilazione (che dà il cavicolo), epossidazione del doppio legame, 1′-idrossilazione e degradazione ossidativa della catena laterale di acidi carbossilici. Le dosi alte conducono alla saturazione di alcuni sistemi enzimatici che causano l’attivazione di reazioni metaboliche alternative come la 1′-idrossilazione che, nel topo, è la principale via metabolica che determina la produzione di derivati ​​con maggiore potenziale cancerogeno (1-idrossiestragolo). Jeurissen et al. (2008) hanno dimostrato che un estratto metanolico di basilico è in grado di inibire il legame del metabolita 1′-idrossiestragolo al DNA, sia su DNA in vitro sia su cellule di epatomacarcinoma HepG2 intatte, bloccando quindi il meccanismo responsabile dell’avvio del danno cellulare. L’attivazione dell’estragolo, dei suoi metaboliti ed i conseguenti effetti avversi sono quindi ridotti quando l’estragolo è ingerito col suo fitocomplesso rispetto a quando viene somministrato come sostanza isolata. A questo proposito si conferma dunque l’ipotesi che altre molecole presenti nell’estratto sono in grado di bloccare il meccanismo responsabile dell’avvio del danno cellulare.
Altra critica si può fare alla modalità di somministrazione dell’estragolo nei topi: essa viene eseguita in pochi minuti mediante siringa o sondino gastrico (gavage) ed è di fatto insolita nell’uomo; il rischio di tossicità potrebbe aumentare perché l’assorbimento è più veloce e si espone il fegato ad alti livelli della sostanza. Tale somministrazione può alterare il metabolismo e produrre effetti tossici che non si verificano quando la stessa dose giornaliera viene somministrata con la dieta. L’uomo in genere ingerisce minori quantità della sostanza che si trova nel proprio contesto fitochimico, non tutti i giorni né per lunghi periodi. Le piante la cui composizione comprende estragolo non fanno tra l’altro parte dell’alimentazione abituale del topo bensì dell’uomo, il quale è esposto da millenni a quantità normali di estragolo, e quindi potrebbe essersi adattato sviluppando, rispetto al topo, una diversa tolleranza.

EFSA ed EMEA hanno preso posizioni allarmistiche al riguardo, effettuando misure cautelari estremamente rigide. Tale difesa nei confronti della salute non ha però fondamenti scientifici diretti; potrebbe anche avere un seguito se si facesse riferimento all’uso dell’estragolo come singola sostanza chimica (ad esempio come additivo alimentare), ma non è così; il timore della tossicità è attribuito impropriamente al pool di sostanze che sono il risultato del processo fitochimico della pianta. Relativamente all’estragolo assunto unitamente ai costituenti chimici naturali dell’estratto o dell’alimento, consumati da sempre dall’umanità, si viene a distinguere la natura del discorso riguardante l’estragolo puro. FAO e WHO si sono posizionati invece su livelli molto più rassicuranti, mentre FAO e OMS pongono importanza sul fatto che l’uomo non assume estragolo in forma isolata e a dosaggi elevati, ma solo a piccolissime dosi ed all’interno di un pool di sostanze presenti in alimenti e piante officinali; ipotizzano che il metabolismo di questa sostanza sia significativamente diverso nell’uomo da quello che è stato osservato in vitro ed in vivo come sostanza isolata.
È necessario evidenziare che, secondo moderne indagini antropologiche ed evoluzionistiche, il mantenimento di determinate abitudini alimentari è associato ad una migliore capacità di sopravvivenza; non è quindi né utile né costruttivo puntare il dito sulla sostanza contenuta in una pianta senza considerare altri fattori che sono determinanti. Tutto sommato, di fatto, il finocchio rientra in abitudini alimentari e mediche antiche ed ha sempre conservato una reputazione positiva.

Dott. Fabio Milardo
Fonte: L’ Erborista n° 1/2016

L’ Elicriso a cura del dott. Fabio Milardo

Introduzione

“Giova la sua chioma bevuta con vino al morso dei serpi, alle sciatiche, alle distillazioni dell’orina, e ai rotti, provoca i mestrui. Bevuta con vino mielato risolve il sangue rappreso alla vescica, e parimente nel ventre: bevuta medesimamente a digiuno in vino bianco inacquato al peso di tre oboli, proibisce il catarro, che scende dal capo.” Così scriveva Mattioli sull’Elicriso, confermando alcuni usi medicinali tra i più comuni oggi: antisettico (soprattutto per le infezioni al tratto respiratorio), digestivo, cicatrizzante e per migliorare i problemi articolari. È apprezzato per il suo profumo già nel 1 ° secolo d.C. da Plinio il Vecchio che lo cita nella sua opera “Naturalis Historia” e ne vanta proprietà antidolorifiche per il mal di schiena, come documenta anche gran parte della letteratura scientifica rinascimentale.

Geobotanica ed endemismo.

Nelle lande desolate appartenenti alla zona tirrenica settentrionale, alle isole al largo della costa azzurra francese fino all’area mediterranea nasce e cresce l’Elicriso, pianta erbacea ricca di proprietà curative e aromatiche, di storia e di cultura. Affascinante è persino l’etimologia della denominazione botanica del genere che è Helichrysum, dal greco helios=sole e krysos=oro, in riferimento al colore giallo brillante delle infiorescenze che è particolarmente suggestivo in pieno sole. La sua essenza è molto utilizzata nella produzione di profumi e di cosmetici anche perché l’aroma intenso è incomparabile in natura: la sua nota esotica a sfumature speziate caratterizza la peculiarità del profumo incoronando l’Elicriso icona del lusso. Non è da meno, del resto, la sua efficacia in patologie digestive e cutanee; infatti, anche qui si rivela determinante nella gestione di gravi malattie, come la psoriasi, ancora oggi incurabile.

L’Helichrysum italicum è una pianta molto diffusa perché possiede un’elevata adattabilità: fiorisce infatti fino a 2000 mt di altitudine a prescindere dal tipo di terreno, motivo per cui vi è la presenza di numerose varietà che ne determinano la difficile classificazione botanica. La presenza di elevate concentrazioni di arzanolo, acetato di nerile, nerolo e neril proponiato sembra caratteristica della subspecie microphyllum, la quale è infatti diventata la varietà più studiata.

Il genere Helichrysum appartiene alla famiglia delle Asteraceae e comprende da 500 a 600 specie diverse;   è stato dimostrato che si tratta di un genere polifiletico composto da diverse entità più piccole monofiletiche. H. italicum è anche la specie più studiata in termini di etnobotanica e fitochimica, ma storicamente si ritiene abbia un effetto sovrapponibile a H. Stoechas. È un arbusto xerofitico alto da 30 a 70 centimetri, ramificato alla base con piccole e lineari foglie la cui pelosità conferisce alla pianta una tinta grigia fino alla comparsa delle infiorescenze gialle a giugno o luglio. Il nome della pianta varia in base alle popolazioni europee che la utilizzavano: perpetuino e semprevivo in italiano, perpetuino in francese, everlasting in inglese, siempreviva in spagnolo.

L’Elicriso della zona tirrenica è generalmente l’H. italicum Don. subsp. microphyllum (Willd.) Nyman, una pianta che cresce anche nelle isole Baleari; H. siculum (Sprengel) Boiss ed H. pendulum sono specie endemiche nella Sicilia; mentre H. montelinasanum Schmid e H. saxatile Moris sono specie endemiche della Sardegna, regione da cui deriva la maggior parte del pregiato olio essenziale.

Il contributo dei ricercatori italiani: Castore Durante e Leonardo Santini.

Castore Durante (1529-1590), medico e botanico rinascimentale, scoprì che tra gli usi antichi dell’Elicriso ebbe notevole efficacia un enolito a base di capolini essiccati di Elicriso per il trattamento dei disturbi del fegato, in seguito utilizzò anche un decotto per contrastare il catarro.

Quattrocento anni dopo un altro ricercatore italiano continuò gli studi sull’Elicriso fino a dedicargli la vita: si tratta di Leonardo Santini, oggi considerato il padre dei moderni studi sull’Elicriso. Egli utilizzò il decotto descritto da Castore Durante per i suoi pazienti ammalati di problemi respiratori, molto comuni a quel tempo: il decotto era utilizzato per le affezioni bronchiali del bestiame, ma egli, sicuro della sua atossicità, lo provò sui suoi pazienti con ottimi risultati. Successivamente lo adoperò anche nella psoriasi e nelle dermatiti eczematose ancora una volta con notevole successo. Iniziò ad utilizzare l’infuso dei fiori e di sommità fiorite, successivamente il decotto (al 5%) che trovò più efficace. Attratto da tali osservazioni, Santini iniziò a sperimentare clinicamente un decotto e uno sciroppo a base di Elicriso, accorgendosi che l’attività di quest’ultimo era simile a quella del cortisone. In un piccolo studio non pubblicato, gli effetti benefici nel trattamento della psoriasi sono stati recentemente confermati attraverso l’utilizzo di un decotto al 5%; in tale studio venivano assunti 3-4 cucchiaini al giorno per 2-3 mesi. A livello topico è stato usato un oleolito di Elicriso al 10% e balneoterapia con decotto concentrato della pianta al 20%. I miglioramenti si avvertivano già dopo tre settimane di trattamento, caratterizzati da risanamento delle chiazze eritemato-squamose con riduzione della componente paracheratosica e del prurito. La ricaduta avveniva a distanza di due mesi con una sintomatologia nettamente migliore e immediatamente reversibile. Da tenere in considerazione è la sicurezza della droga: essa appare priva di effetti avversi locali e sistemici. Il decotto fu da lui utilizzato anche per la rinite allergica complicata da risentimento congiuntivale, irritazione cutanea e cefalea, in aerosol e collirio. Secondo Santini l’azione antiallergica si deve all’effetto disintossicante della pianta, in grado di esaltare l’azione protettiva cortico-surrenalica e di bloccare la diffusione di metaboliti responsabili dell’accentuazione del rilascio di istamina, ciò essendo dovuto alla riduzione della permeabilità di membrana e al potere antiossidante. Successivamente ottenne importanti risultati anche nel trattamento di ustioni e geloni utilizzando l’Elicriso in pomata, adoperato poi anche in edemi flebitici e in varici con un riscontro positivo.

Sulle orme degli studi di Santini fu commercializzato in Italia uno sciroppo molto efficace a base di Elicriso utile per contrastare la tosse, il quale ebbe un’eco in tutta la nazione per la sua validità. Tuttavia, è proprio negli anni sessanta che lo sviluppo (economico) della medicina moderna “occidentale” svuotò di significato il progresso, quel progresso “pasoliniano” inteso come miglioramento evolutivo; infatti, la mancanza di standardizzazione e di informazione sul principio attivo condusse alla scomparsa del prodotto proprio a causa delle nuove norme, più rigorose, in materia di prodotti farmaceutici: si manifestò così l’inizio della fine della storia delle piante medicinali e del loro uso tradizionale.

Composizione

La maggior parte delle analisi fitochimiche si sono concentrate sulla varietà H. italicum subspecie microphyllum, utilizzato da Santini nei suoi studi clinici. L’Arzanolo, un fluoroglucinolo eterodimero prenilato, è il più importante metabolita caratterizzato in termini di bioattività; vanta oltretutto la curiosa provenienza del nome che deriva dalla cittadina di Arzana in Sardegna. Inoltre contiene acido caffeico, elicrisina (un composto costituito da diversi flavonoidi), acido ursolico, rutina, isoquercetina, beta-sitosterolo, calcio, magnesio, potassio e silicio. I risultati di una recente ricerca effettuata in tutta la Sardegna suggeriscono un’ associazione tra chemiotipo, diversità genetica e luogo di raccolta, il che conferma che la pianta gode di un’estrema variabilità. La composizione dell’olio essenziale varia da popolazione a popolazione e contiene principalmente curcumene, pinene, acetato di nerile, nerolo, linalolo; le concentrazioni di nerolo e dei suoi esteri (acetato e propionato), di limonene e di linalolo raggiungono i loro valori più elevati durante la fase di fioritura sia nei fiori che negli steli. Tre principali chemotipi sono stati riportati in letteratura, ma gran parte della variabilità osservata è stata attribuita soltanto all’origine geografica e al tempo di fioritura. Ciò che deve essere considerato in future raccolte per la produzione di olio essenziale è l’associazione tra chemiotipo e punto di raccolta, in ragione della marcata variabilità. La subsp. italicum contiene, a differenza della subsp. microphyllum, un composto chiamato italidione, con proprietà antinfiammatorie, e maggior quantità di acetato di nerile: quest’ultimo, insieme ad altri esteri, è considerato il costituente più significativo ed è infatti spesso aggiunto a scopo fraudolento.

In onore di Santini, una classe di lipidi presente nella pianta è chiamata Santinoli: si tratta di acidi grassi a catena media mai scoperti, i quali rappresentano un nuovo tipo di lipidi vegetali ancora poco studiati. Curiosamente, uno degli acidi presenti è un marcatore per la diagnosi dell’acidemia propionica.

Studi farmacologici

L’Arzanolo gode di una notevole stabilità chimica; esso ha una relazione struttura-attività che evidenzia l’ importanza degli ossidrili e della struttura eterodimerica, fattori necessari per l’inibizione della mPGES-1 e della 5-LO, elementi chiave nella sintesi di prostaglandine e leucotrieni, rispettivamente. Essendo un monomero, il fluoroglucinolo è infatti risultato molto meno potente. L’Arzanolo inibisce inoltre la produzione di citochine proinfiammatorie (TNF-alfa, IL-1 β, IL-1 , IL-6, IL-8) e di enzimi proinfiammatori (COX-2 e mPG2-S). Uno studio condotto nel 2011 in un modello in vivo di infiammazione (pleurite indotta da carragenina nei ratti) ha rivelato che, diversamente dai comuni FANS, la produzione di alcuni prostanoidi non è stata influenzata dall’Arzanolo. Quest’ultimo potrebbe inoltre proteggere l’acido linoleico contro l’attacco dei radicali liberi. In una linea di fibroblasti derivati ​​da rene di scimmia l’Arzanolo, a concentrazioni non citotossiche, ha mostrato una forte inibizione dello stress ossidativo; insieme ad altre sostanze esercita proprietà antiossidanti in diversi sistemi in vitro di perossidazione lipidica.

L’Arzanolo peraltro potrebbero essere potenziato da altre sostanze di cui sono ricche le infiorescenze e le parti aeree come l’acido ursolico (fino a 0,5% in peso a secco), il tremetone e il floroglucinolo: quest’ultimo rende l’Arzanolo un potente antiossidante in modo simile all’acido caffeico e addirittura più potente di altri polifenoli di origine vegetale come l’acido nordiidroguaiaretico, il magnoliolo e anche il myrtucommulone del mirto (Myrtus communis) in saggi di attività in vitro.

Notevole è anche l’attività antibatterica, superando, secondo alcune ricerche in vitro, la norfloxacina contro molti ceppi di Staphylococcus aureus meticillino-resistenti (MRSA); tale attività sembra anche coinvolgere il meccanismo anti-biofilm contro Pseudomonas aeruginosa; vi è anche un’attività anti HIV. L’attività antibatterica valutata non è soltanto dell’Arzanolo ma anche di altri composti fenolici che includono cumarati, benzofurani, pironi e floroglucinoli eterodimerici, rivelando che solo gli eterodimeri hanno mostrato un’azione antibatterica potente. Queste osservazioni convalidano l’uso topico dell’Elicriso per prevenire le infezioni della ferita, una pratica appartenente alla medicina tradizionale della zona mediterranea.

Il colore, l’odore e il sapore

I romani e i Greci decoravano le statue degli dei con corone di infiorescenze Elicriso, una pratica citata dagli scrittori classici dal  7° sec. a.C.

I sardi, popolo molto legato alle proprie tradizioni, ancora oggi ne fanno un uso simile: i bachi da seta, che solitamente si nutrono con le foglie di gelso, in Sardegna vengono nutriti con i fiori di Elicriso producendo una seta naturalmente gialla, la quale viene adoperata per la produzione di vestiti tradizionali.

Non solo il colore ma anche l’odore ha un glorioso passato che si ripercuote nel presente. L’elicriso della zona tirrenica è la varietà più apprezzata a livello mondiale per la produzione di un olio essenziale che viene utilizzato in profumeria e nei prodotti cosmetici ed è utilizzato in profumi commerciali come Eau Noire di Dior. È peculiare inoltre la caratteristica del cosiddetto “miele di spiaggia”: le api non assumono l’aroma dell’Elicriso succhiandone il nettare ma mescolandolo con il materiale resinoso di cui si ricoprono prima di andare a raccogliere il polline in altre piante, fino a produrre un miele dall’aroma unico il quale conserva il sapore e il profumo intenso che rammenta le coste selvagge dei litorali mediterranei.

In Sardegna è ben documentata anche la preparazione di liquori tradizionali a base di Elicriso  come: ”Amaro Chrysos” (Helichrysum saxatile Moris), “De Abbastu”, “Anima Sarda”, “Caru Elicriso” (l’H. italicum Don. subsp. microphyllum (Willd.) Nyman).

Il futuro dell’Elicriso

Corposa ed ampia è la documentazione etnofarmacologica sull’H. italicum della zona tirrenica settentrionale che ne prova l’uso in condizioni infiammatorie e infettive delle vie aeree come tosse, bronchite, laringite e tracheite; rilevante è anche l’uso topico sulle ferite e sugli eritemi e l’impiego in tisana come colagogo e coleretico. Non si può che pensare dunque ad un uso intenso di cui è stata caratterizzata questa incredibile pianta; i moderni farmacologi, d’altra parte, tendono a trascurarla soprattutto per quanto riguarda la psoriasi, prediligendo invece vitamine ad alto dosaggio per lunghi periodi: c’è da notare che, al di là dell’inefficacia, queste comportano pure dei notevoli rischi.

Senza necessitare di altri studi specifici e come ampiamente documentato, principalmente L’Elicriso si potrebbe applicare in ferite per ridurre le cicatrici, disinfettare e accelerare la guarigione. È stato adoperato in combinazione con Lavanda (Lavandula angustifolia, Lamiaceae) e Tea tree  (Melaleuca alternifolia, Myrtaceae) addirittura per lenire le reazioni cutanee associate alla chemioterapia e può essere utilizzato per gestire l’acne indotta dalla chemioterapia.

L’ampio utilizzo dell’Elicriso e del suo olio essenziale dovrebbe stimolare studi clinici randomizzati, controllati e in doppio ceco, per valutarne l’efficacia e la sicurezza in modo da definire l’uso terapeutico.

 

Fonte: L’ Erborista n° 3/2016

ABC dell’ Erboristeria Tradizionale a cura della D.ssa Carmela Patania ” C “

Questa volta ho temporeggiato poiché  le ” C  pretendenti ” erano tantissime. Sarà perché è l iniziale del mio nome quindi mi sentivo ” più responsabile ” o forse perché  il periodo storico che stiamo vivendo, intriso di veloci cambiamenti, ha influenzato i miei pensieri, ma alla fine ho scelto una parola del Trecento ovvero la ” C di Contezza “.

Sino a qualche mese fa non utilizzavo spesso questo termine poiché mi sembrava troppo arcaico, ma facendo attenzione, lo sentivo spesso pronunciare da oratori che trattavano tematiche sensibili alla Natura e al Creato. Da brava curiosa ho cercato  il suo significato più profondo e ho ritenuto di inserirlo nella rubrica dell’ Erboristeria Tradizionale.

L’ Erborista Mediterraneo è colui che conosce ogni singolo prodotto della sua bottega, possiede familiarità delle meravigliose piante officinali che conserva con cura in Erboristeria, rende noto al cliente con semplicità di linguaggio ed entusiasmo delle piccole scoperte e curiosità  che trova sui testi o in campo aperto o dalle interviste fatte agli anziani del paese, tutto ciò per conoscere le poliedriche funzionalità di ogni singola pianta.

L’ Erborista Mediterraneo ha contezza del suo mestiere e delle piante officinali.

A presto

Carmela

 

UNA QUESTIONE DI BUON SENSO

 

In risposta alla questione sollevata da alcuni colleghi Erboristi sull’acritica valutazione dei testi tradizionali ,delle medicine e tradizioni popolari e la contestualizzazione del pensiero di Paracelso sui Nuovi e vecchi dogmi :

“Indubbiamente l’argomento è interessante e meriterebbe ben altro spazio che non un forum su fb, comunque ci piacerebbe dire la nostra visto che ci picchiamo di essere “tradizionalisti”. Prima di tutto bisogna dire che qualsiasi riprosizione acritica, dal nostro punto di vista, è sbagliata, e questo include la scienza moderna altrimenti dovremmo accettare la cancerogenicità del finocchio e persino della lavanda (quest’ultimo studio è stato pubblicato in Inghilterra e per fortuna è passato quasi inosservato). Quindi il senso critico è una virtù da coltivare sempre e comunque e chi non ce l’ha farebbe bene a procurarselo. Per quel che riguarda Paracelso, data la mole immensa del suo lavoro, andrebbe interpretato per l’appunto in modo critico e non estrapolando un solo passo da un singolo testo. Così facendo, emerge chiaramente che più che con Galeno o con la dottrina degli umori, che altrove peraltro colloca tra le vie per la salute, sebbene non la più importante, ce l’ha con il galenismo della sua epoca, e cioè con gli accademici suoi contemporanei. Del resto la ricerca alchimica è una ricerca aristotelica a tutti gli effetti, e non poteva essere altrimenti, avendo come oggetto d’indagine il quinto elemento, quello invisibile riconducibile al “divino”. Che poi qualcuno, anche se vorremmo sapere chi visto che tra le nostre conoscenze tra colleghi non ce n’è che si comportino così, riproponga acriticamente le ricette di Ildegarda o di Galeno solo perché di Ildegarda o di Galeno certamente sbaglierebbe. Riproporle però a fini esemplificativi e didattici, per mostrare come si praticava la medicina una volta e per mostrare un punto di vista che ha permesso, e questo va detto, a tutta la tradizione erboristica di arrivare fino ai nostri giorni, è a nostro giudizio opera meritoria, se si recidono le radici l’albero muore. Quindi, facendo la sintesi, nessuna accettazione acritica di nessuna dottrina, antica o contemporanea, i paradigmi cambiano ma le erbe e gli erboristi (speriamo) restano, finora almeno è stato così.”

Nasce la collaborazione tra Erboristi Mediterranei e la UNIPOSMS ” Università popolare nuova Scuola Medica Salernitana”

La passione per la divulgazione della conoscenza della tradizione erboristica mediterranea di Erboristi Mediterranei da oggi si tradurrà anche con la collaborazione della ” UNIPOSMS ” Università Popolare Nuova Scuola Medica Salernitana la sinergia sarà mirata a diffondere e valorizzare la cultura e la tradizione della Schola Salernitana.
Nel 1231 l’ autorità della scuola veniva sancita dall’ Imperatore Federico II di Svevia, ” Stupor Mundi “, protettore delle arti e grande rinnovatore, uomo di ingegno e mente aperta”.

link: www.uniposms.it