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Sulle Tracce della Storia

(Estratto dal  Fitonews  sugli olii essenziali )

 

Di : Lina Suglia

 

 

 

Uomo ed Essenze: un Percorso parallelo, dalla Preistoria alla moderna Aromaterapia

 

 

 

Le essenze hanno accompagnato l’uomo fin dall’inizio della sua evoluzione, quando il  “nuovo animale” era quotidianamente intento a porsi in relazione col mondo circostante, riconoscendo la vita e orientandosi in essa inizialmente tramite l’olfatto.

 

Anche in seguito, nella fase storica dello spodestamento di questo senso a favore della vista, lo sviluppo della complessità sociale e culturale e quello del bagaglio della memoria olfattiva proseguirono parallelamente. Il loro percorso storico si orientò progressivamente verso il trascendente: si impiegarono piante essenzifere in rituali magici e religiosi, per allontanare spiriti maligni e malattie, per ingraziarsi il favore degli dei. In loro onore bruciavano le resine delle Conifere nel Nord Europa, erano offerti l’Incenso, la Mirra, il Lentisco e l’Alloro dal Mar Rosso al Mediterraneo, si donavano cesti di fiori sugli altari dell’Asia e oli profumati su quelli dell’Africa.

 

 

 

In poche Parole

 

Non meno rilievo assunsero le piante ad OE nel panorama dei sistemi medici delle civiltà antiche: da quella egiziana, cinese, mesopotamica e indiana, all’araba, alla greca e alla romana, fino al medioevo.

 

Spesso la connessione tra atto terapeutico e rituale religioso fu tanto intrinseca, da lasciare impronte profonde nel linguaggio: come nel termine indo-iraniano atar, che significa soffio divino, ma anche odore ed essenza, o nel greco pneuma, inteso come soffio creatore, respiro della vita, oppure “arie dell’olfazione”.

 

 

 

L’Essenziale Oggi

In epoca recente, la conoscenza degli aromi vegetali si dispiega attraverso un approccio interdisciplinare, che coinvolge diverse branche scientifiche, come la chimica, la farmacologia, l’ecologia. È interessante osservare che da questo poliedrico insieme di acquisizioni moderne emerge un quadro delle essenze sovrapponibile e coerente a quello rappresentato dal linguaggio analogico e simbolico del mondo antico.

 

Nell’ampia cornice delle possibili applicazioni che ne derivano, si collocano diverse scuole di Aromaterapia, termine che spesso identifica realtà diverse e posizioni differenziate.

 

 

 

Paese che vai….

 

Mentre negli Stati Uniti e in Giappone gruppi minori di ricerca indagano sugli effetti che le essenze, singole o miscelate, esercitano sul comportamento e sulla risposta ad aggressioni ambientali o endogene, in Europa si distinguono due correnti maggiori, una anglosassone e l’altra francese.

 

La prima, sviluppatasi dagli studi di Tisserand e Maury, predilige l’applicazione cutanea di OE tramite massaggio e somministrazione percutanea. Tale tecnica evidenzia le modificazioni che lo stimolo olfattivo induce nell’atteggiamento psichico del paziente, che può così essere orientato a una migliore gestione delle proprie risorse e al riequilibrio dell’organismo.

 

La tendenza francese, invece, opta per le somministrazioni a tutto campo (per inalazione, per via cutanea, orale, rettale, ecc.).

 

 

 

Oui, le Parfume

 

Questa scuola, che vanta nomi come Valnet e Belaiche, ha percorso inizialmente (anni ’70) la via dell’impiego di OE nelle patologie infettive, ponendo come premessa il concetto di “terreno recettivo”: sostenendo, cioè, che quello che rende un soggetto suscettibile di infezione non sia tanto la virulenza del ceppo microbico responsabile, quanto lo scompenso delle sue condizioni individuali, del suo “terreno”.

 

Le essenze, in virtù della loro azione antisettica, ripristinano un corretto rapporto tra l’organismo e i microsimbionti che lo popolano; intervengono così indirettamente sui meccanismi di autoregolazione che coordinano il flusso delle informazioni biologiche proprie di ogni individuo, fino al ristabilimento di un nuovo equilibrio.

 

 

 

Ecosistema Uomo

 

Questa moderna visione ecosistemica trova uno strumento elettivo nelle essenze: con l’Aromatogramma, un esame messo a punto da Girault e paragonabile all’antibiogramma della “classica” microbiologia, è possibile testare numerosi OE e valutarne l’efficacia nei confronti dei microrganismi prelevati direttamente dal paziente, scegliendo di conseguenza quelli più indicati al trattamento di quel soggetto (e NON di quel batterio).

 

Successive ricerche cliniche di Duraffourd e Lapraz hanno inquadrato l’azione delle essenze, evidenziandone l’attività neuroendocrina ed immunitaria.

 

 

 

Un Terno al Lotto

Nei decenni successivi si sono aggiunte le esperienze di Franchomme e Pénoel, che hanno introdotto il concetto di “ternario aromatico”, in cui ancora si evidenzia la complessità dell’OE come rimedio interattivo con l’organismo su diversi livelli: sul piano biochimico, in base alla struttura molecolare dei suoi componenti; su quello biofisico, per le energie indotte dalle cariche elettriche + e – che appaiono quando l’essenza è dispersa finemente nell’ambiente; e infine, su quello informazionale, per i messaggi a cascata che l’OE attiva nella rete dei sistemi di controllo e nelle popolazioni simbionti che abitano l’uomo, un pianeta in rapida e costante trasformazione.

oligoelementi e oligoterapia (prima parte)

OLIGOELEMENTI E OLIGOTERAPIA

Gli oligoelementi sono elementi chimici presenti nell’organismo umano in piccolissime tracce.

Sono metalli e metalloidi, alcuni dei quali essenziali alla nostra vita.

I più noti sono il Rame, lo Zinco, il Manganese, il Cobalto, il Ferro, il Selenio, il Cromo ed il Fluoro.

Questi ed altri sono presenti nei cibi, tanto più presenti quanto più sani e meno trattati sono gli alimenti.

Sono parte integrante di moltissimi enzimi (sostanze che regolano le reazioni che avvengono nel nostro organismo e che lo fanno funzionare a dovere) per cui una carenza di oligoelementi nella nostra dieta può provocare danni alla nostra salute, in tal caso, è indispensabile reintegrarli.

Possiamo, per capire meglio, paragonarli alle vitamine, noi non le produciamo ma sono indispensabili per la nostra vita e perciò dobbiamo introdurle con la dieta, se c’è una carenza di vitamine bisogna reintegrarle in modo opportuno. Non tutte le forme in commercio (capsule, ampolle, compresse…) rendono l’assorbimento di questi elementi completo ed efficace, perciò è bene cercare gli oligoelementi in forma catalitica, cioè in soluzioni bevibili altamente ionizzate che consentano a questi elementi di raggiungere immediatamente e in quantità sufficiente le strutture enzimatiche che ne sono diventate carenti.

1- CENNI STORICI

Gli oligoelementi sono stati impiegati empiricamente in terapia fin dal medioevo.

Queste utilizzazioni non ebbero grande rilevanza perchè non si basavano su teorie serie e razionali e soprattutto non erano supportate da sperimentazioni cliniche significative.

Per fare un esempio, nel XVI secolo Basilio Valentino, uno dei primi e più grandi alchimisti della storia, osservò che alcune persone malate di “gozzo” (malattia della ghiandola tiroidea), trovavano benefici dall’assunzione di pezzetti di spugna marina arrostita alla griglia; alcuni secoli più tardi questi effetti benefici furono messi in relazione con la presenza di Iodio nelle spugne che interveniva nel metabolismo della tiroide.

Risalgono, invece, alla fine del 1800 i primi veri tentativi che diedero dignità scientifica alle sperimentazioni con gli oligoelementi.

Gabriel Bertrand (chimico e biologo francese) fece esperimenti di biochimica enzimologica (cioè studiò la costituzione e il funzionamento degli enzimi) e scoprì che alcuni oligoelementi hanno ruolo indispensabile per la vita.

Jacques Ménétrier, medico francese considerato il padre dell’Oligoterapia, impostò le basi di questa terapia a cui venne dato il nome di Medicina Funzionale.

La Medicina Funzionale, o Oligoterapia, si basa su moltissimi studi, circa 100.000 casi, tutti conservati presso il Centro di ricerche biologiche a Parigi, in cui lavorò Ménétrier con i suoi collaboratori.

La sua scuola e quella di altri illustri medici francesi, fra cui eccelse H. Picard (soprattutto per i suoi lavori in reumatologia), ottenne brillanti successi e fu in grado di sviluppare schemi terapeutici molto interessanti, ripresi da tutti i medici che in seguito si dedicarono a questa medicina.

2- COSA SONO GLI OLIGOELEMENTI

Il termine “oligoelementi” (dal greco oligos = poco), sta a indicare elementi chimici, per lo più metalli, presenti in piccolissime tracce negli esseri viventi.

Una definizione che può darci un’indicazione valida della quantità di un oligoelemento è quella data dal Forsenn negli anni’70:

“Oligoelementi sono tutti quegli elementi chimici che sono presenti in concentrazione uguale o inferiore allo 0,01% del peso secco del corpo umano.”

Questa definizione mette in luce 2 cose:

– gli oligoelementi sono parte costituente dell’organismo umano

– gli oligoelementi sono presenti in piccolissime tracce e per questo si differenziano da quegli elementi chimici che sono presenti nell’organismo in quantità maggiore.

Quindi abbiamo 2 grandi gruppi:

– gli Elementi maggiori

– gli Oligoelementi

GLI ELEMENTI MAGGIORI

Questo gruppo è formato da 12 elementi chimici fondamentali:

Idrogeno e Ossigeno (presenti nell’acqua, circa il 60-70% del peso umano)

Carbonio, Azoto e Zolfo (costituenti delle proteine, pesano alcuni Kg)

Calcio e Fosforo (costituenti di ossa e denti, pesano alcuni Kg)

Cloro, Sodio e Potassio (costituenti delle cellule, circa 259 g)

Magnesio (importante per l’attività di cervello, nervi e muscoli, circa 40 g)

Ferro (presente nei globuli rossi del sangue, circa 7 g)

Oggi il Ferro viene spesso messo tra gli Oligoelementi, in quanto presente in quantità molto piccole rispetto al peso totale di un organismo umano, anche se molto superiori rispetto agli altri Oligoelementi.

GLI OLIGOELEMENTI

L’intero gruppo degli oligoelementi costituisce, in totale, pochi grammi del peso di un organismo umano ed è formato dai seguenti elementi chimici:

Manganese, Rame, Zinco, Cobalto, Molibdeno, Nichel, Cromo, Litio, Stagno, Ferro, Vanadio, Fluoro, Iodio, Selenio, Silicio

che sono considerati “essenziali”, oltre a questi ci sono:

Alluminio, Bismuto e Germanio.

Oltre che quantitativamente, gli Elementi maggiori e gli Oligoelementi si differenziano per il loro ruolo biologico.

I primi, infatti, hanno, principalmente, un ruolo strutturale ed energetico (non a caso sono i costituenti dell’acqua, delle proteine, delle ossa, dei denti, dei fluidi corporei… e di gluicidi e lipidi, principali fonti di energia).

Gli Oligoelementi, invece, hanno ruoli di tipo strutturale o funzionale a seconda della molecola a cui si legano, per esempio lo Iodio che entra nella composizione della Tiroxina avrà un ruolo strutturale, come il Ferro per l’emoglobina, se invece l’Oligoelemento fa parte di un enzima il suo ruolo sarà funzionale perchè interverrà in una determinata reazione biochimica, ovvero nei

meccanismi del metabolismo umano.

E’ evidente che essendo gli enzimi fondamentali per la vita dell’uomo gli Oligoelementi, che vanno a far parte di questi enzimi, lo saranno altrettanto.

Gli utilizzi cosmetologici dell’incenso

Dott. Alessandro Pagnoni

L’incenso (Boswellia carterii Birdw.) è un alberetto alto al massimo 5m., tipico dell’africa nord- orientale e dell’arabia la cui droga, costituita dalla gommoresina, è raccolta a seguito di incisioni fattte sul tronco, essa si presenta in lacrime tondeggiati e irregolari di colore giallo rossastro, con odore caratteristico e sapore amaro (Maugini, 1994).

Gli utilizzi cosmetologici dell’incenso si perdono nella notte dei tempi, ed anche l’utilizzo nella medicina è profondamente radicato nella storia di tutti i popoli mediorientali; Barkai ne riferisce un utilizzo già nel medioevo per aiutare le donne nel parto, sia per stimolare le contrazioni uterine, sia per favorire la dilatazione naturale; da questo scritto si può intendere come l’incenso sia da diversi secoli considerato un ottimo antidolorifico (Barkai, 1988); questi risultati sono stati confermati da un pool di studiosi statiunitensi i quali attraverso dei test in vitro hanno dimostrato che la gommoresina di Boswellia carterii Birdw. ha un’azione inibente sui neuromediatori del dolore e che quest’azione è dose dipendente (Chevrier et al., 2005). Non vi è stato, tuttavia, solamente un utilizzo medico di questa pianta, ma anche cosmetico fin dai tempi antichi, infatti Luigi Giannelli in un articolo del 2002, citando antichi testi di epoca romana, ci porta a conoscenza di un utilizzo dell’incenso in una serie di formulazioni per la detersione cutanea e negli stati infiammatori della pelle, in queste preparazioni l’incenso era sovente accoppiato con mirra (Commiphora molmol Engl.) e con Gomma Arabica (Acacia senegal Willd.).

Dioscoride e Plinio amavano particolarmente questa pianta attribuendole elevate virtù astringenti, antinfiammatorie e cicatrizzanti, cosa che numerosi studi moderni hanno confermato attribuendo a questa droga una spiccata attività antileucotrienica, attività particolarmente potente contro le elastasi leucocitarie, l’incenso si rivela particolarmente utile in cosmesi dove è indicato per la cura della cellulite, come antinevralgico e come antidolorifico locale; inoltre si è constatato che alcune dermatosi, come la psoriasi, paiono rispondere particolarmente bene all’applicazione di questa droga (Giannelli, 2005) a causa di un’azione simil cortisonica sulle elastasi leucocitarie nel trattamento delle flogosi (Safayhi et al., 1997).

Lawless raccomanda l’utilizzo dell’olio essenziale di incenso, sia come fissativo nei profumi ove si armonizza bene con moltissime altre essenze attenuando, ad esempio, le profumazioni eccessivamente agrumate, sia in dermatologia su macchie cutanee, pelle secca, carnagione matura, cicatrici, ferite e rughe (Lawless, 1992), mentre il Lodi ne cita le virtù antisettiche e cicatrizzanti oltre a prospettarne un utilizzo cosmetico (Lodi, 2001).

Bibliografia

BARKAI R. (1988)

A Medieval Herb Tratise on Obstetrics

Medical History n°33; pagg. 96-119.

CHEVRIER M.R., RYAN A.E., LEE D.Y.W., ZHONGZE M., WU-YAN Z., VIA C.S. (2005)

Boswellia carterii Extract Inhibits TH1 Cytokines and Promotes TH2 Cytokines In Vitro

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GIANNELLI L. (2002)

La Cosmesi nel Mondo Antico

L’Erborista n°7; pagg. 100-104.

GIANNELLI L. (2005)

L’Incenso

L’Erborista n°6; pagg. 56-59.

LAWLESS J. (1992)

Enciclopedia degli Oli Essenziali

ed. Tecniche Nuove; pagg. 316.

LODI G. (2001)

Piante Officinali Italiane “Il Nuovo Lodi”

ed. Edagricole; pagg. 859.

MAUGINI E. (1994)

Manuale di Botanica Farmaceutica

7° Edizione Aggiornata

ed. Piccin; pagg. 540.

SAFAYHI H., RALL B., SAILER E.R., AMMON H.P.T. (1997)

Inhibition by Boswellic Acids of Human Leukocyte Elastase

Journal of Pharmacology and Experimental Therapeutics vol. 281 n°1; pagg. 460-463.

L’incenso

L’incenso così comunemente chiamato è una oleo-gommo-resina estratta per incisione della corteccia delle piante del genere Boswellia. Questo essudato ha avuto un ruolo di primaria importanza in tutte le culture del passato, utilizzato sia per funzioni religiose che per pratiche sanitarie. Oggi, con i mezzi a nostra disposizione, possiamo studiare le caratteristiche biochimiche e gli effetti farmacologici dell’incenso, confermando le qualità che un tempo gli venivano  attribuite attraverso un’analisi che, secondo le regole della scienza moderna, potremmo definire intuitiva.

Con il termine incenso si abbraccia l’intero gruppo di resine che venivano bruciate dall’uomo sin dalla notte dei tempi sulle braci, da sole o insieme ad altre erbe aromatiche, fresche oppure secche, per generare profumi mistici. Queste resine erano usate in gran parte del mondo antico, dalle regioni mesopotamiche alle asiatiche, per diversi scopi terapeutici e per rituali mistico-religiosi.

Pur essendo questa resina molto costosa e dunque appannaggio esclusivamente delle classi più abbienti e dei sacerdoti, l’ampio uso che ne veniva fatto diede vita ad un importante commercio della stessa, sviluppando anche delle aree commerciali e città come Petra in Giordania, e strade quali “la via dell’incenso”, rotta che collegava via terra l’Oceano Indiano con il Mar Mediterraneo.

L’impiego dell’incenso in ambito religioso e liturgico è davvero molto antico, spazia dalle religioni politeiste alle monoteiste, poiché si pensava che l’incenso ed il suo profumo avessero un’influenza sul comportamento e sull’umore delle masse, e che fossero anche un dono gradito agli dei e persino ai defunti. Divenne infatti anche parte integrante dei funerali e di ogni altro genere di culto. Per il fatto che i fumi di questa resina già erano conosciuti per le proprietà antisettiche e ricordando quelle che erano le condizioni igieniche dell’epoca, veniva usata molto spesso anche per deodorare e disinfettare gli ambienti dai cattivi odori. Una perfetta fusione quindi tra usi sacri e profani.

La preparazione e l’impiego dell’incenso era per tutte le civiltà una pratica molto spirituale. Fra gli antichi Egizi addirittura gli alberi dai quali si ricavava la preziosa sostanza erano considerati sacri e solo gli uomini puri potevano raccoglierlo dalla corteccia.

Proprio gli Egizi ci hanno tramandato la ricetta per preparare il leggendario Kyphi, composto da incenso e mirra, usato esclusivamente durante le pratiche religiose.

Per la religione cristiana assume una grande importanza andando a simboleggiare proprio il Cristo (che dal greco significa “unto”, ossia il Messia); e non a caso sono proprio i Re Magi ad offrirlo in dono a Gesù Bambino.

L’incenso è stato usato molto anche come rimedio curativo per svariati problemi, sia per uso interno che esterno, entrando a far parte dei rimedi nella medicina Egizia e Mediterranea, nella medicina Cinese ed in quella Ayurvedica.

Venne citato da Ippocrate,  da Galeno, dalla badessa Ildegarda di Bingen, da Paracelso, da Sebastian Kneipp, fino ad arrivare ai giorni nostri inserito in diverse formulazioni, come nel balsamo di Fioravanti.

Veniva usato per i più disparati disturbi, per l’alito cattivo, per le malattie infiammatorie e nervose, per problematiche bronchiali, dall’asma all’influenza, per le emicranie, i problemi intestinali, come disinfettante ed antimicrobico anche durante le pestilenze.

La medicina Ayurvedica in particolare usava, ed usa ancora, inserire l’incenso nelle preparazioni contro le forme artritiche ed artrosiche. Oggi numerose aziende produttrici di prodotti fitoterapici usano l’incenso in estratto secco sia da solo che in formulazioni rivolte a combattere ogni forma d’infiammazioni, dalle croniche alle acute, da quelle di natura traumatica a quelle di natura autoimmunitaria.

L’incenso è il nome con cui genericamente si intende parlare delle gommo-oleo-resine secrete da diverse piante arbustive del genere Boswellia, appartenenti alla famiglia delle Burseraceae. Questi alberi possono svilupparsi solo in determinate condizioni ambientali e sono anche molto sensibili alle loro eventuali variazioni ed è per questo che nascono solo in pochissime aree geografiche: nell’entroterra della costa dell’Africa orientale, nell’Arabia meridionale e al centro e al nord dell’India orientale. Crescono in presenza di clima caldo e con scarse precipitazioni; l’acqua che gli è necessaria la ricavano dalla rugiada mattutina e dalla poca umidità del suolo asciutto.

Fra le piante più importanti e conosciute citiamo la Boswellia sacra o carterii Birdw., detta anche Frankincense, la Boswellia frereana e la Boswellia thurifera o serrata, detta Salai Guggul ed anche olibano, dall’aroma tipicamente agrumato.

Con il genere Boswellia ci riferiamo all’albero che ha un’altezza media di tre o quattro metri, ha un aspetto tozzo con il fusto corto ed i rami nodosi, delle radici incredibilmente profonde e ramificate in grado di estendersi intorno all’albero per un raggio di oltre cinquanta metri e in profondità può arrivare fino ai trenta metri.

Le foglie sono piuttosto piccole limitando così la superficie di esposizione al sole, riducendo quindi al minimo l’evaporazione dell’acqua. Sono alterne, con stilo mollemente tomentoso, senza stipole, riunite in un denso ciuffo apicale o spaziate sul ramo giovane, composte, imparipennate, lunghe dai 15 ai 25 centimetri, perlopiù arrotondate alla base e con apice ottuso, alquanto ondulate o crenato dentate. La Boswellia serrata, pianta che cresce esclusivamente in India, ha come differenza con le sue parenti africane la struttura delle foglie che sono più dentellate delle altre.

I fiori sono peduncolati, abbastanza piccoli e raccolti in racemi semplici e lassi; anche il frutto è piccolo e obovato, con pericarpo liscio e carnoso.

La resina si ottiene praticando un’incisione sottile sulla corteccia dell’albero in modo che dai dotti resiniferi esca il lattice che al sole indurisce rapidamente. In Africa viene raccolto in genere da ottobre ad aprile, in India invece da giugno a settembre. La quantità di resina che un albero può produrre varia a seconda della grandezza della pianta e della sua posizione geografica: quello africano ne produce dai tre agli otto kg, mentre quello indiano dai due ai tre kg.

L’incenso entra in commercio sottoforma di masse dure, il cui colore può variare dal bianco-giallastro al bianco-rossastro, al cui interno spesso si trovano lacrime piriformi più trasparenti.

E’ difficile stabilire da quali e quanti principi attivi sia composta l’oleo-gommo-resina, per la diversità  di specie delle piante da cui viene estratta e dei climi in cui esse crescono.

Possiamo dire che sono sempre presenti:

–         Acidi triterpenici pentaciclici (acidi boswellici costituiti principalmente da acido b-boswellico e suoi derivati, acodo a-boswellico e g-boswellico;

–         Acidi triterpenici tetraciclici: acidi tirucallenici;

–         Polisaccaridi: D-galattosio, D-arabinosio, D-mannosio e D-xilosio;

–         Altri: olio essenziale (a-pinene, a-fellandrene, alcoli sesquiterpenici, aldeide anisica e fenoli) e fitosteroli (b-sitosterolo);

–         L’incensole acetate, recentemente scoperto.

Abbiamo parlato precedentemente di come in passato venisse usato l’incenso per le più disparate problematiche. Ora, grazie alle ricerche effettuate, possiamo confermare la fondatezza di numerosi usi tradizionali.

La piante maggiormente studiate sono state la Boswellia serrata, probabilmente perché è la resina di questo albero che viene usata nella medicina Ayurvedica, inserita in formulazioni note per il loro notevole effetto antinfiammatorio, e la Boswellia carterii, nota invece per gli altri usi liturgici dell’incenso. Ho trovato una lista impressionante di pubblicazioni, edite dalle riviste scientifiche internazionali, riguardanti esperimenti effettuati con  metodiche di ogni genere, utilizzando gli estratti di incenso sia in vivo che in vitro, per uso interno e per uso esterno. Sono stati fatti studi anche sul fumo dell’incenso, che mettono in luce quanto sia dannoso a livelli di cancerogenicità respirarlo; questo purtroppo è un dato di fatto, qualsiasi cosa portata a combustione sviluppa delle micro particelle (IPA) potenzialmente cancerogene.

Altre ricerche sull’incenso hanno anche evidenziato come l’effetto psicoattivo non sia solo suggestione ma reale, dato da una molecola che è l’incensole acetate isolata dalla resina.

La potente attività antinfiammatoria clinicamente dimostrata è essenzialmente attribuita all’acido boswellico, ma anche quest’incensole acetate sembra che giochi un ruolo importante inibendo l’attivazione di una proteina (la NF-kB) nella risposta infiammatoria.

Andiamo ora a spiegare in poche parole cosa succede in un processo infiammatorio: l’infiammazione o flogosi è una cascata di processi che avvengono in un tessuto vivente in risposta ad un evento lesivo. I principali mediatori del processo infiammatorio sono i leucotrieni e le prostaglandine, che prendono origine da un comune precursore che è l’acido arachidonico, un acido grasso polinsaturo che costituisce la membrana cellulare e che viene liberato, a seguito di opportuni stimoli, dall’enzima fosfolipasi. Nella forma libera l’acido arachidonico può entrare in due differenti vie metaboliche: una è la via della ciclo ossigenasi che porta alla sintesi di prostaglandine e trombossani; l’altra è una reazione catalizzata dall’enzima 5-lipossigenasi e porta alla sintesi dei leucotrieni. Gli stessi leucotrieni sono poi coinvolti anche nei meccanismi di immuno-stimolazione caratteristici dell’artrosi, provocando la migrazione dei leucociti dal sangue ai tessuti infiammati. Inoltre fanno aumentare il livello delle transaminasi nel sangue e bloccano le reazioni cataboliche che provocano la degradazione cellulare del tessuto connettivo che porta poi alla deformazione degli arti.

L’acido boswellico esplica la sua azione antinfiammatoria fondamentalmente attraverso due meccanismi di azione:

1- inibisce selettivamente la 5-lipossigenasi bloccando così la sintesi dei leucotrieni che sono i principali responsabili della formazione dell’infiammazione acuta e cronica.

2- inibisce la migrazione leucocitaria dal sangue ai tessuti infiammati e di conseguenza l’elastasi, enzima proteolitico presente nei leucociti e responsabile della distruzione del collagene e dell’elastina, quindi dei tessuti coinvolti nel processi infiammatorio, prevenendo così la degenerazione articolare.

Per quanto riguarda invece l’attività psicoattiva dell’incenso bisogna dare il merito all’incensole acetate che si è mostrato un agonista di un canale ionico (TRPV3) presente nella pelle ed implicato nella percezione del calore, e presente nei neuroni, dove non è ancora ben chiaro il suo ruolo, tuttavia entra nelle reazioni a cascata che generano ansia e depressione. Infatti utilizzando l’elettroencefalogramma si è potuto constatare come l’odore dell’incenso amplifichi l’attività corticale ed il processo inibitore della risposta motoria. Ciò significa che aumenta le nostre capacità intellettive ed al contempo rilassa il sistema nervoso, confermando con basi biologiche l’efficacia dell’uso che ne veniva fatto secondo tradizioni culturali e religiose.

L’utilizzo dell’incenso non ha nessun effetto collaterale, sono riportati esclusivamente rari casi di reazioni cutanee di natura allergica.

Gli acidi boswellici non hanno effetti tossici, infatti sono stati somministrati per bocca dosi massicce di estratto secco della resina ai ratti a digiuno, dimostrando di non danneggiare in nessun modo lo stomaco e non provocando neanche tossicità epatica. Non ci sono dati sul suo uso in gravidanza e allattamento, comunque può essere usato in età pediatrica a partire dal quarto anno di età senza nessun rischio.

Raccogliendo tutti questi dati, osserviamo che le sue qualità sono molteplici, tanto da essere impiegato per aiutare il corpo a superare numerose malattie comprese quelle seriamente invalidanti.

Possiamo dire quindi con dei risultati alla mano che la Boswellia ha proprietà antinfiammatorie ed antiartritiche sia per uso esterno che interno. Può essere pertanto impiegata nel trattamento di numerosi disturbi sia di natura autoimmune quali l’artrite reumatoide, la colite ulcerosa, il morbo di Crohn, la malattia di Bechterew, il lupus eritematoso, la psoriasi, sia per le altre affezioni di natura infiammatoria a carattere cronico quali l’osteoartrite, la spondilite cervicale, le affezioni del tratto urogenitale, la gotta, l’asma bronchiale e l’enfisema polmonare; quindi è utile inserire l’estratto della boswellia sia nei trattamenti per le infiammazioni di natura transitoria, ma soprattutto è importante usarla per le malattie seriamente invalidanti essendo un notevole aiuto per recuperare il proprio benessere senza però alcun tipo di controindicazioni ed effetti collaterali, tipici dei farmaci che ora vengono consigliati per affrontare questo tipo di malattie come quelli di natura steroidea, tipo il cortisone, ed i classici FANS.

Inserita in pomate o in unguenti possiede comunque un’azione antinfiammatoria e addirittura può essere un valido aiuto all’epidermide per prevenire i danni dei raggi UV.

Per quanto riguarda l’effetto sulla psiche del profumo dell’incenso, i dati confermano quanto sia rilevante il suo contributo nelle meditazioni, nelle preghiere e in tutti quei rituali che mettono in comunicazione il corpo con la propria spiritualità, avendo un’azione rilassante e al contempo aumentando le attività percettive.

E’ entusiasmante osservare come le culture da cui discendiamo conoscevano tutte queste qualità della preziosa resina senza però possedere i nostri avanzati strumenti di indagine e come il nostro lavoro quindi è stato quello di confermare ciò che già sapevano.

Accendiamo le braci e bruciamo più incenso…chissà che non ci rimetta in contatto con la nostra vera essenza!

 Ira Archilei

BIBLIOGRAFIA:

▪  “L’incenso” di Peter Grunert, Pisani Editrice;

▪  The FASEB Jurnal article fj.07-101865. Published on line May 20, 2008;

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▪  Wikipedia.