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Cannella Ceylon – Nonna Ortica

Il Laboratorio di Nonna Ortica.
Nel 1983 Roberto Nicola conobbe Luigi Giannelli e Angelo Severi, Maestro di entrambi; da questa conoscenza nacque una collaborazione che portò al Laboratorio di “Nonna Ortica”.
Da quando è nato il Laboratorio di “Nonna Ortica” di Roberto Nicola, ha cercato di realizzare un sogno: quello di fare tinture madri e gemmoderivati ad elevata concentrazione e superare i “protocolli” della pur rispettabile Farmacopea Francese.
E’ dal XVI° secolo che le estrazioni idroalcoliche fanno parte della Tradizione Mediterranea; eravamo ancora in epoca pre-industriale e i “protocolli” e le metodiche sono state elaborate più secondo le Dottrine Alchemico-Spagiriche (quelle più semplici, ovvio) che secondo quelle della Chimica Moderna.
E quando non si usavano soluzioni idroalcoliche “pure” (e si usavano!), si usavano estratti vinosi (gli enoliti) ed estratti in acquavite.
Il bello è che i prodotti di “Nonna Ortica” rispondono alle migliori regole sia elaborate nel XVI° secolo, sia al giorno di oggi.
Sia le TM sia i MG hanno una concentrazione più alta di quelle “alla francese”.
Ad esempio, basta guardare il filmato fornito da “Nonna Ortica”, dove si sente la voce di Roberto, il titolare, che fa l’esperimento dove si vede la bella differenza tra una preparazione al 30% di Cannella ed una al 10%, sempre di Cannella.
L’altro aspetto è il livello di qualità: le piante che obbligatoriamente sono presenti allo stato secco (come la Cannella), si usa quella di qualità più elevata, ovvero a corteccia intera e lunga quasi 30 cm. E del tipo detto “Cannella Ceylon” (e non la Cannella Cina, buona ma più povera di aldeide cinnamica).
Invece per le piante che possono essere raccolte allo stato fresco, sono raccolte allo stato fresco, e lavorate entro la giornata, ovvero non oltre le 5-6 ore dalla raccolta.
Rammentiamo ai colleghi le foto delle Rose fresche, profumatissime, biologiche, per le quali Roberto è andato sull’Appennino Ligure. Le Rose sono state raccolte e quasi subito lavorate. Roberto si era portato dietro attrezzature e contenitori, proprio per evitare che le Rose soffrissero per il viaggio e per il tempo di non lavorazione. Roberto le mostrò, un paio di mesi fa in un “forum”.
Stesso discorso vale per i gemmoderivati; i macerati glicerinati invece del 2% raggiungono il 5%, e sono preparati usando alcol, glicerina e solo pochissima acqua, tenendo conto di quella presente nelle gemme, sempre raccolte e lavorate freschissime, ovvero raccolte e lavorate entro 4-5 ore al massimo.
Infine, c’è da dire che forme estrattive così concentrate sono molto più attive ed i loro effetti molto più rapidi; i costi poi sono comparabili con quelli delle altre aziende del settore, pur con la concentrazione più elevata.

IL LENTISCO, LA PIANTA CHE SANA DENTI, GENGIVE, STOMACO E LE EMORRAGIE

ARTICOLO PER VAL D’ORCIA – DI Luigi GIANNELLI – PIANTE TIPICHE

La Val d’Orcia è una delle zone più ricche di flora tipica della Toscana e, forse, dell’Italia.
Innanzitutto, nonostante la non vicinanza con il mare, risente del suo inesorabile influsso e si crea una forma di macchia mediterranea, al tempo stesso tipica e con caratteristiche peculiari.
Il terreno, prevalentemente argilloso, misto ad ampi banchi di travertino (che è calcare “spugnoso-cavernoso” a carattere sedimentario-termale), favorisce le specie che amano l’alcalinità e la secchezza, tuttavia vicina ad un corso d’acqua importante (l’Orcia) e prossima alle fonti termali.
Nel mondo antico località come questa erano considerate vere miniere di materie prime di grandi utilità, vegetali, ma anche minerali ed animali.

Elemento caratteristico della macchia mediterranea è il Lentisco (Pistacia Lentiscus L.) della famiglia delle Anacardiacee (di essa fanno parte l’Anacardio, il Pistacchio, il Terebinto; alcune fonti di frutti oleaginosi, quasi tutte emettono –in condizioni particolari – delle gommo-resine).
Appunto, una delle gommo-resine più famose fin dalla più remota antichità è il Mastice (dal greco “Mastikà”).
Il Lentisco, ahimè, in Val d’Orcia, non trova un clima adatto ad emettere questa preziosa gommo-resina. Essa è tipica dell’arcipelago ellenico. L’isola più importante per la produzione del Mastice è l’isola di Chio: celebre nei mercati e nei traffici del mondo antico, ma ancor oggi non è stato dimenticato, era il “Mastice di Chio”.
Era usato popolarmente sia come una sorta di “chewing-gum”, masticato energicamente per rafforzare le gengive e curare disturbi di stomaco. Tant’è vero che una parte dell’olio essenziale che si trova nella gommo-resina, molto gradevolmente aromatica, è attivo sull’Helycobacter pylori, responsabile di molti danni alla mucosa gastrica.
Sappiamo bene che gli antichi, pur non sapendo molte cose che sappiamo oggi, si comportavano come se le conoscessero perfettamente!
La tradizione contadina locale faceva usare le foglie ed i giovani rametti di Lentisco per curare le gengive infiammate, i denti smossi, la piorrea, il mal di gola……. Ed il mal di stomaco!
I nostri contadini masticavano le foglie come i contadini greci masticavano il Mastikà.
Ma vediamo i “sacri testi” (Quelli di Dioscoride – originario di Anazarba, in Cilicia, medico militare sotto Vespasiano e Tito nella Prima Guerra Giudaica, Imperatore il buon Nerone, e di Galeno, medico personale imperiale, da Marco Aurelio fino a Settimio Severo):
Come sempre “aggiusteremo” alcune parole e frasi secondo la mentalità odierna, per facilitare la lettura.
Dioscoride, Materia Medica, Libro I°, Cap. 72° (vers. Mattioli)
<<……………Ogni parte della pianta ha virtù astringente, ovvero i frutti, le foglie, i rametti, la corteccia e le radici. Con la corteccia, le foglie e le radici se ne fa un liquido in questo modo: si cuociono lungamente nell’acqua; poi si toglie dal fuoco, si raffredda, si filtra e si torna a far bollire finché non assume la consistenza del Miele. Si beve il Lentisco, con successo, per curare il vomito di sangue, i flussi del corpo [emorragie intestinali] e la diarrea; è utile anche nelle emorragie mestruali ed al prolasso uterino e anale. Serve a sostituire il l’Acacia e l’Ipocistide [piante fortissimamente astringenti]. Lo stesso effetto lo fa il succo spremuto dalle foglie triturate. La sua decozione applicata esternamente, cura le ulcerazioni e le ferite; consolida le rotture delle ossa, ristagna i flussi mestruali e ferma le ulcere “serpeggianti”. Bevuto è anche diuretico. Lavandosene la bocca, ferma i denti smossi [vedere come gli usi tradizionali si conservano per secoli e secoli!]. Si usano i suoi rametti per pulirsi i denti, al posto delle Canne [antenati degli spazzolini da denti]. Dal frutto si estrae un olio, conveniente quando ci sia da astringere. Produce il Lentisco una resina [oggi sappiamo che è una gommo-resina (1)], chiamata da alcuni “Lentiscina” e da altri “Mastice”. Questa, bevuta, giova al vomito di sangue ed alla tosse cronica; fa bene allo stomaco ma fa fare rutti (!). Si mette nelle polveri che si preparano per i denti e nei cosmetici che si usavano per schiarire la pelle del viso. Fa rinascere i peli delle palpebre e masticandola fa buono l’alito e rassoda le gengive. Nasce copiosa ed ottima nell’isola di Chio. Lodasi quella che risplende come una lucciola e quella che rassomiglia, nel suo candore alla Cera di Toscana, piena, secca, fragile, profumata , e stridente [si riferisce al rumore stridulo che fanno i grani della gommo-resina quando si sfregano tra di loro]. Se è verde è meno attiva. Si sofistica con l’Incenso (2) e con resine dei gusci delle pigne.>>

Mattioli, nel commentario che segue il testo Dioscorideo (ci serviamo dell’edizione veneziana del 1557 dei “Discorsi sui sei libri della Materia Medicinale di Pedacio Dioscoride Anarzabeo”), ci fa sapere che il Mastice si produce anche in Italia. Noi riteniamo soprattutto nelle regioni più calde, assolate e più vicine al mare.

Galeno descrive il Lentisco nell’ VIII° Libro del “Le Virtù dei semplici medicamenti” (ovvero dei singoli prodotti usati per fare medicamenti); in questa parte del testo, Galeno descrive sia il Lentisco come tale, sia il Mastice.

<< Lentisco (“” – “Schinos”) Il Lentisco è un arbusto che contiene una essenza Acquea leggermente Calda e di una minore parte Terrestre e Fredda, grazie alla quale è moderatamente astringente. Dissecca tra la fine del II° grado e l’inizio del III°, ma è quasi equilibrato tra Calore e Freddezza. E’ astringente in tutte le sue parti, nelle radici, nei rami, nei germogli, nelle foglie, nei frutti e nella corteccia del fusto e dei rami. Il succo estratto dalle foglie è anche esso simile e moderatamente astringente. Lo si assume per via interna da solo o mescolato ad altri ingredienti nella diarrea ed in altre affezioni intestinali; giova nell’emottisi, nelle metrorragie e nel prolasso anale o dell’utero; questa ultima attività lo rende simile, affine e mescolabile con l’ Ipocistide [vedi anche il testo di Dioscoride] >>

<< Mastice (“” – “Mastike”) Quando è candido, è consuetudine chiamarlo “Chio” (20). E’ costituito da virtù contrarie, astringente ma anche emolliente; per questo motivo cura le infiammazioni dello stomaco, dell’intestino e del fegato. Considerato il bilancio finale delle sue qualità, risulta Caldo e Secco nel II° grado. Quello nero è detto “Egizio” ed è più disseccante e meno astringente e quindi più adatto a disperdere i flussi Umorali per traspirazione; sempre per questo motivo è un eccellente rimedio per i foruncoli. Macerandolo con Olio si ottiene l’ Unguento Masticino, ma lo si prepara solo con il “Chio” e non con l’ “Egizio”. Questo Unguento ha le stesse proprietà della droga tal quale >>.

Attenzione: mentre la descrizione di Dioscoride è comprensibile a tutti ancor oggi, perché più semplice e pratica, il testo di Galeno è molto più complesso ed occorre conoscere bene la Dottrina Umorale, secondo quella che abbiamo definito “Medicina Tradizionale Mediterranea”, in uso da noi fino alla fine del XVIII° secolo.
I fenomeni naturali sono descritti secondo le Quattro Qualità (Caldo, Freddo, Secco e Umido) ed una loro accurata graduazione: il Lentisco è secco (perciò dissecca) tra il II° ed il III° grado, ed è equilibrato tra Calore e Freddezza. Invece il Mastice è Caldo e Secco nel II° grado.
Tenendo conto che la graduazione va dal I° grado al IV° (il massimo) si capisce l’intensità degli effetti. Inoltre il Caldo ed il Secco generano l’Elemento Fuoco, il Caldo e l’Umido l’Elemento Aria, il Freddo e l’Umido l’Elemento Acqua, il Freddo e il Secco l’ Elemento Terra.
Quindi, mentre il Lentisco è solo essiccante, il Mastice è governato, pur in basso grado (il II°) dall’Elemento Fuoco.

Concludendo, possiamo usare il nostro Lentisco, raccogliendolo in Val d’Orcia, tenendo conto che la pianta è attiva raccolta in tutte le stagioni, ma tra l’inverno e la primavera, oppure nell’estate.
E’ più ricco o della componente astringente (stagioni fredde) o della componente aromatico-resinosa (stagioni calde). Meglio raccoglierlo a luna calante, come la maggior parte delle piante.

E’ utile sia per uso interno (diarree, emorragie, ulcerazioni alle mucose digestive), sia nell’uso esterno (come colluttorio gengivale, nelle forme lievi di piorrea, nelle infiammazione del cavo orale e soprattutto nelle emorragie post-estrazione o altri piccoli interventi odontoiatrici); eccellente per fare gargarismi per il mal di gola. Ottimo emostatico nelle piccole ferite accidentali.
Si può usare come decotto di alcuni minuti (non facciamo come gli antichi) e lasciar riposare almeno due ore o tutta la notte.
Ottimo l’estratto idroalcolico, da fare con alcool (quello “Buon Gusto”, da liquori) a gradazione intorno ai 60°. La soluzione si prepara mescolando 600 ml di alcool e 400 ml di acqua distillata o meglio ancora con acqua minerale povera di Sali.
Si lascia in macerazione almeno un mese, poi si scola, si spreme, e poi si filtra con carta-filtro o con cotone idrofilo, messo “a spessore” in un imbuto.
La soluzione idroalcolica così fatta, blocca le emorragie da piccoli interventi odontoiatrici in pochi minuti, quando occorrono a volte un paio di ore.

Per ottenere colluttori e preparati più attivi si mescolano le foglie fresche ben triturate con piante ad azione analoga o potenziante, come la Mirra (anche essa è una gommo-resina), i Chiodi di Garofano, la Genziana, tutte piante emostatiche, astringenti o antidolorifiche (soprattutto la Mirra e i Chiodi di Garofano).
Ottimo decotto per le forme gastriche ulcerose o semplicemente infiammatorie così fatto: un pugno di foglie di Lentisco, Melissa, Cannella triturata, Liquirizia e Malva, più o meno in parti uguali. Se ne fa un brevissimo decotto (1 minuto!), poi si lascia riposare per 15 minuti e si beve a fine pasto.
Gli ipertesi e quelli che non vogliono la Liquirizia, si mette dell’Anice semi (in realtà sono i frutti).
Ed ora…….. buona raccolta! Ci raccomandiamo sempre di raccogliere solo le quantità che servono all’uso personale.
Le foglie possono anche essere essiccate, conservando i loro poteri, ma dato che la pianta è sempre ben fogliuta, anche sotto la neve, perché non raccoglierla semplicemente quando ce n’è bisogno?

Note:
1) Resina e Gommo-resina: la resina è un polimero di materie terpeniche, solubile solo nelle materie oleose; la gomma è un polisaccaride, che si disperde, formando gel, solo in acqua e soluzioni acquose; le gommo-resine sono complessi dei due polimeri, parte idrofili, parte lipofili.
La parte resinosa contiene anche un olio essenziale, al quale abbiamo sopra accennato.
2) Si sofistica con l’Incenso: si pensi al valore del Mastice, considerando che l’Incenso, all’epoca era molto costoso! Ancor oggi il Mastice costa più dell’Incenso.

Sul Cipresso

di LUIGI GIANNELLI

Il Cipresso, questo albero maestoso, capace di raggiungere età e dimensioni ragguardevoli (altezza fino a 50 metri!), caratterizza il profilo dell’orizzonte toscano; spesso è stato usato come “colonnato” per delimitare strade di campagna, più o meno asfaltate.
E’ un albero che ormai ha “colonizzato” tutto il bacino mediterraneo, ma in realtà la localizzazione di provenienza è il Medio-Oriente; pare che siano stati i Fenici a diffonderlo in tutti i loro approdi, compreso il nostro “stivale”. E per due motivi: primo perché è bello, ed è stato via via selezionato il tipo piramidale-longilineo, adatto anche come barriera frangivento; secondo perché adatto a costruire molti manufatti, dai mobili alle navi; la presenza anche nel tronco di un olio essenziale e resine, impedisce l’attacco dei tarli ed altri parassiti, in più garantisce un ottimo potere galleggiante.
A questo punto passiamo alle “fonti” mediche antiche, che più ci affascinano, e grazie alle quali i nostri antenati lo hanno usato regolarmente nella pratica terapeutica.
1 – FONTE – “MATERIA MEDICA” DI DIOSCORIDE – LIBRO I° – CAP. 83° (vers. Mattioli).
<< Il Cipresso ha Virtù Fredda e astringente, le sue fronde si bevono per bloccare i flussi che discendono alla vescica, con Vino Passito e un po’ di Mirra. E anche al trattenimento dell’orina. I suoi galbuli (falsi frutti) si bevono sempre con Vino, per l’emottisi, per le varie forme di diarrea, per le varie forme di asma e per la tosse. Alle stesse affezioni giova il semplice decotto. Pestati con Fichi secchi ammorbidiscono le durezze (fibrosi?) e guariscono i polipi nasali. Con Aceto e triturati con Lupini, fanno cadere le unghie distorte. Applicati come cataplasma, risolvono le ernie inguinali. Stesse virtù hanno le foglie. Si crede che il fumo ottenuto con foglie e galbuli, serva a scacciare le Zanzare. Le foglie triturate e messe sulle ferite, ne favoriscono la cicatrizzazione e bloccano le emorragie. Pestate e cotte in Aceto, fanno i capelli neri. Applicate tal quali o con polenta (ottenuta con Grano o Farro, visto che all’epoca di Dioscoride, non c’era il Mais) cura il Fuoco Sacro (piaghe da Herpes zoster), sulle ulcerazioni serpeggianti, sui “carboni” (manifestazioni cutanee di Clostridium antracis) e nelle infiammazioni oculari. Incorporate con Cera d’Api e applicate sullo stomaco, ne rafforzano le funzioni >>.
2 – FONTE – “LE VIRTU’ DEI SEMPLICI MEDICAMENTI” DI GALENO – LIBRO VII°.
<< Le foglie, i germogli, i galbuli del Cipresso, quando sono freschi e applicati sulle ferite, ne facilitano la cicatrizzazione, anche se sono di notevoli dimensioni. Ciò è dovuto alla capacità di disseccare, senza acredine né Calore, e di questo ne è testimone il gusto. Certo, nel Cipresso appare una certa “mordacità”, ma con molta amarezza ed ancora di più virtù/gusto acerbo. Ha in sé una piccola quantità di acredine e Calore, che permette alla sua acerbità di penetrare a fondo, ma quanto basta e così non riscalda né irrita. E quindi esso dissolve e consuma quell’Umidità che sta nascosta nelle piaghe corrotte e putride. Gli altri rimedi che Scaldano e Disseccano, è vero che asciugano e consumano l’ Umidità, ma la parte acre/Calda ed irritante in eccesso che posseggono la richiamano di nuova dai tessuti circostanti. Perciò giova il Cipresso nelle ulcerazioni intestinali, perché dissecca e rafforza
Ma oggi? Oggi, addirittura, si sono scoperte proprietà medicamentose meno note nell’antichità. Il Cipresso è una delle piante più attive in campo circolatorio, al punto da fare da “concorrente” alla più nota (com’è strano, il mondo!) Gink-go biloba.
Le sostanze più importanti che contengono i galbuli (falsi frutti), che sono la parte più attiva della pianta, sono un olio essenziale (diverso da quello delle foglie e da quello del legno), che a sua volta contiene alfa-pinene, delta-carene, canfene, mircene, limonene, terpinolene, terpinen-4-olo, terpinil acetato, cedrene, cadinene, cubenene, cedrolo, karamahenolo, biformene, sandaracopima, radiene, manololo. Oltre all’olio essenziale contiene anche diflavoni, tannini, acido glicolico, sostanze antiaggreganti-piastriniche e sostanze ormono-simili femminili.
Le sue attività sono innumerevoli; è attivo nelle affezioni digestive (è un ottimo digestivo, ma anche antiinfiammatorio e antiulcera); è ottimo nelle affezioni respiratorie (fluidificante del muco e antitussivo); è attivo nelle sindromi vascolari, dalle vene varicose alle emorroidi, sia per uso esterno che per uso interno.
Inoltre contiene sostanze, analoghe a quelle contenute nel Ginkgo biloba, che favoriscono la circolazione periferica e soprattutto cerebrale. A questi effetti non sono estranee sostanze simili a quelle presenti nel Gink-go ed aventi anche una azione anti-aggregante piastrinica.
Inoltre contiene sostanze ormono-simili femminili, che lo rendono utile nelle composizioni per le turbe menopausali o anche per le turbe mestruali giovanili.

Intervista a Luigi Giannelli. Lo scopritore della Medicina Tradizionale Mediterranea

intervista di Sara Sottoriva ,Ira Archilei e Dina Liuzzi a Luigi Giannelli, laureato in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche.
Specializzato in Scienze e Tecnologie Cosmetiche e diplomato in Erboristeria, dal 1977 si occupa specificamente della ricerca,traduzione e comparazione di opere mediche di epoca pre-industriale,romane e medievali. Nel 1994 fonda e coordine l’attivita’ dell’Archivio di medicina Tradizionale Mediterranea.

Psicosomatica e MTM

di Paolo Ospici   La psicosomatica è una disciplina che si è aperta uno spazio vieppiù crescente nell’ambito dell’ufficialità al punto che molto spesso sindromi o patologie di non chiara origine vengono bollate come psicosomatiche e tanti saluti. In realtà si tratta di una disciplina da prendere sul serio, sopratutto per quel che riguarda le connessioni tra psiche e soma, che secondo questa visione, come in quella antica, sono entità non separate ed indivisibili, appunto in-dividuali. Prende le mosse dall’osservazione che le emozioni, specie quelle non elaborate, hanno evidenti effetti a livello somatico dapprima da un punto di vista energetico e poi, se lasciate a se stesse, anche a livello organico fino a sfociare nella patologia vera e propria. Inoltre, ed è acquisizione più recente, non solo gli aspetti emozionali influenzano il soma, ma gli aspetti somatici influenzano le emozioni. E’ noto che i nervi che regolano i visceri sono bidirezionali, cioè l’informazione viaggia sia in senso efferente che afferente. Per questo, non solo un “cattivo pensiero” o emozioni negative possono somatizzarsi, ma disturbi di vario tipo che affliggono un organo possono influenzare lo psichismo e la sfera emozionale. E’ anche noto che diverse emozioni hanno una loggia preferita, un organo nel quale si depositano, come ad esempio la rabbia nel fegato o la paura nei reni. Se l’emozione viene vissuta, elaborata, allora l’energia ad essa collegata viene “digerita”, viceversa tende a depositarsi, a cristallizzare, e quindi a cronicizzarsi. Il percorso è questo: disturbo dapprima a livello energetico, poi, se lasciato a se stesso infiammazione con o senza flogosi, da ultimo cronicizzazione con “cristallizzazione”dell’emozione a livello tissutale. Siamo nel regno dei fiori di Bach, grandi rimedi della sfera emozionale, oltre che dei rimedi tradizionali drenanti. Quanto sopra è perfettamente coerente con quanto tramandato dallatradizione ippocratica. Infatti, non solo le emozioni sono collegate ad organi, ed un’emozione “pesante” dovrebbe essere trattata allegerendo l’organo corrispondente, ma il quadro evolve in una direzione ben precisa e si passa da una prima fase, sintomatica, essudativa o meno con infiammazione, gestita essenzialmente da bile gialla e flemma, ad una fase cronica, degenerativa a carattere splenico.

Nella prima fase sintomatica, che è però già secondaria rispetto all’emozione depositata che l’ha provocata, giova ricordarlo, si tratta l’infiammazione e/o la flogosi con i rimedi drenanti della bile gialla e/o flemmagoghi. Quindi curcuma, rabarbaro, elicriso o altri drenanti biliari, da utilizzarsi secondo la localizzazione del disturbo, insieme ad Acer, Ribes ed eventualmente altri rimedi maggiormente provvisti di tropismo d’organo nel primo caso; nel secondo, quando predomina l’aspetto flemmatico, flemmagoghi come enula, ireos associati a Alnus glutinosa e rimedi gemmoterapici con tropismo d’organo. Più complicato è risalire all’emozione cristallizzata, essendo spesso trascorso del tempo tra il momento emozionale e quello somatico. Tuttavia, la localizzazione ovvero la profondità del disturbo possono aiutare a retrodatare l’episodio emozionale alla base del malessere e quindi guidare nella scelta dei rimedi floreali adatti. Per esempio, una gastrite cronicizzata rimanda ad un’emozione non digerita, riconducibile a rospi indigeriti, rancori dovuti a torti, episodi vissuti il cui ricordo “da la nausea”, e quindi trattabile in primis con Holly ed eventualmente Willow, mentre un acuto può essere collegato ad un episodio recente e quindi più rabbiosa (ancora Holly ma attenzione alla bile gialla!). Parimenti, una cistite cronica e recidivante racconta di paure non superate, forse addirittura traumi adolescenziali, e quindi Aspen, Mimulus e Star of Bethlem, il grande solvente delle emozioni cristallizate; una cistite acuta uno spavento più o meno recente oppure un evento rispetto al quale ci si sente impotenti (non bisogna dimenticare che la paura è una reazione di difesa verso qualcosa che si crede, a torto o a ragione, di non poter affrontare). In questo caso, potrebbero tornare utili fiori legati all’insicurezza, caratteriale o momentanea, come Larch o Elm magari associati a Gentian che dona fede a chi non crede, in se stesso o in altro. In ogni caso, la cronicizzazione complica le cose da un punto di vista somatico perché coinvolge la melanconia e quindi la milza. Come conseguenza, anche il sangue, umore compensativo rispetto alla melanconia, entra a far parte del quadro richiedendo grande attenzione e capacità di analisi da parte dell’erborista. L’artrite lasciata a se stessa prima o poi diventa artrosi ed allora non basterà certo l’artiglio del diavolo o il Ribes nigrum, ma bisognerà intervenire con nutritori della milza come l’equiseto, e gemmoderivati “ricostruttori” come Tamarix e Pinus. Allo stesso modo, più un’emozione che ha causato un determinato disturbo è antica, cristallizzata, profonda, più sarà difficile farla emergere. Non si può escludere, anzi è auspicabile, che le cronicità si risolvano passando per l’acuto, segno inequivocabile di riemersione di un malessere antico e “dimenticato”. Siamo nel campo della Star of Bethlem, il rimedio d’elezione per tutti quelli che hanno perso il sorriso, il gusto di vivere ed appaiono ingrigiti anche nell’aspetto, plumbei, quasi saturnini. Grande rilevanza in questo caso va dato al magnesio; non ci si sofferma mai abbastanza sul ruolo di questo elemento nel ciclo della natura ma basti pensare che è grazie ad esso che l’energia del sole entra, attraverso la clorofilla, nel ciclo della vita per capire come sia capace di portare la luce dentro al buio di una lunga notte grigia e melanconica. Giovano inoltre tutti i rimedi che generano sangue e scaldano il cuore, a partire dal marrobio. Chi del resto non ha provato l’esperienza di aver voglia di dolce in un momento di tristezza? Tipico caso di compensazione attraverso il cibo cartina di tornasole di un bisogno urgente emerso dall’eccesso di un umore sovrabbondante, la melanconia, da compensare con il suo contrario, il sangue. La schiena è un vero e proprio tesoro di informazioni da analizzare in profondità. Essendo la parte posteriore del corpo ha a che fare con tutto ciò che abbiamo “buttato dietro le spalle” ma che non è stato metabolizzato a sufficienza. Quando qulacuno quindi accusa mal di schiena non ci si dovrebbe limitare al solito trattamento antiinfiammatorio, utile ma non risolutivo, ma provare a far emergere le emozioni che a quel dolore hanno dato origine. La localizzazione del dolore può dire molto: collo, zona cervicale, può essere collegata alla catena, alla sensazione di non essere liberi ma vincolati a scelte e decisioni altrui. Cerato, Centaury e, per alcuni aspetti, Red chestnut sono fiori che potrebbero essere utili in questo disturbo. Alle volte può essere legata ad una grande capacità di sopportazione, ma che porta a pagare un prezzo in termini di irrigidimento del collo. In questo caso, dato che si sopporta per quieto vivere, Agrimony e di nuovo Centaury (chi sopporta per troppo amore) sono esempi di fiori di riferimento. Se il problema coinvolge la parte superiore delle spalle, allora si sta portando un peso eccessivo (complesso di Atlante) e bisogna liberarsene. Oak, per i soggetti forti sul piano prevalentemente fisico, o Elm, per quelli che lo sono sopratutto sul piano psichico, possono essere spesso i fiori da associare. Se il peso eccessivo è oggettivo e non soggettivo, utilizzare eventualmente Hornbeam, il fiore di chi si alza la mattina appesantito dalla rugiada accumulata durante la notte. In questo caso è di grande importanza anche una dieta non umidificante, giacché appesantisce e renderebbe più problematico un recupero psicofisico, e, se ci sono concomitanti sintomi di eccesso di umidità, scaldare e tonificare lo stomaco per evitare che il soggetto possa arrivare all’immunodepressione. Alle volte il dolore tra collo e spalle indica un attegiamento diverso, dovuto all’assenza di senso di responsabilità o alla viltà, e quindi il soggetto, come la tartaruga nel carapace, si ritrae contraendo il collo verso le spalle. In questo caso, Aspen, Mimulus, Larch (se il soggetto si ritrae per scarsa fiducia in se stesso) e, di nuovo, la Star of Bethlem per eventuali traumi interiori non rimossi. Anche in questo caso ci vuole attenzione all’umidità, dato che la pavidità è caratteristica flemmatica, e quindi trattare il dolore eventuale con piante che drenano umidità tipo salsapariglia. Se si ha il rachide che appare rettilineo, allora si può ipotizzare rigidità dall’essere “tutto di un pezzo”, con eccessivo senso morale o del dovere. Rock water, eventualmente Vervain (in questo secondo caso probabilmente il soggetto ha o ha avuto problemi di tipo dermatologico ascrivibili a bile gialla), anche Oak per coloro che sono forti ma non incrollabili. La zona scapolare è collegata ai pesi da portare, il fardello, lo zaino emotivo che grava sulle spalle di qualcuno. Spesso siamo ancora nell’ambito di Oak, e il soggetto sopporterà con fierezza il peso, altrimenti si lamenterà ed allora bisognerà guardare ad altri fiori. Qualche volta si tratta di persone individualiste, poco tolleranti, che scelgono di fare da soli per la scarsa attitudine a lavorare con altri. Allora il fiore di riferimento sarà Beech, visto che lo zaino se lo sono caricate volontariamente rifiutando l’aiuto altrui. La zona interscapolare è quella della coltellata lla schiena, tipica di chi ha subito un torto, reale o presunto, e non riesce a superare il rancore (notare somiglianze con lo stomaco, verificare dispepsie). Holly prima di tutto, ma anche Willow, per chi si sente in creditocon la vita, ed eventualmente Gentian e/o Star of Bethlem. Nella zona tra scapole e reni spuntano le ali, ed allora a chi soffre in queste aree del copro qualcuno o qualcosa ha tarpato le ali o gli è stato impedito di spiccare il volo. Probabilmente l’individuo apparirà triste e melanconico, quindi allegerire o nutrire la milza. Tra i fiori, quelli che hanno a che vedere con il pessimismo e l’abbandono della lotta, Gentian, Gorse e, se il pensiero è ancora bloccato a quell’episodio,White chestnut. talvolta può essere indicato Walnut, sopratutto per chi è abitudinario e le ali gli sono state tarpate a causa di interferenze di terzi che lo hanno destabilizzato. Anche a livello dorsale possiamo ritrovare riflesse le emozioni che colpiscono i visceri. L’area dello stomaco la ritroviamo proiettata sul dorso nel punto corrispomdente oppure nell’area anteriore superficialmente. La parte dorsale è quella più forte e quindi li si manifestano i torti subiti, le umiliazioni, insomma tutto ciò che non si è digerito. Nell’area frontale invece si riflette tutto ciò che è intimamente indigesto, che ha a che fare con la dignità della persona. Star of Bethelem e Holly, tanto per cambiare, ma anche se serve White chestnut e, se la persona ha perduto assieme alla dignità l’autostima, Larch. Anche il fegato si riflette sul dorso nell’area dell’ipocondrio destro e naturalmente quell’area è associata alla rabbia. Se si riflette nella parte bassa, potrebbe essere segno diagnostico di calcoli biliari, a loro volta segno di una rabbia repressa, cristallizata. Drenare bile gialla e sciogliere le concrezioni emotive, Holly, Beech, Impatiens se il soggetto per accumulo di bile gialla appare ansioso e frenetico. Nei reni come già detto alloggia la paura, e questa emozione si troverà riflessa nell’area dorsale corrispondente. Il brivido freddo, il gelo nelle ossa, Mimulus, Aspen e, nei grandi schock emozionali, Rock rose, ma anche la paura di osare, di chiedere e in ogni casoin tutte le sue estensioni. Quindi Larch, Cerato, Centaury. Sempre nella zona lombare c’è l’area della soma, legata al peso portato e costiuisce un approfondimento delle proiezioni dell’area dello stomaco e/o del fegato. Collegare tra loro sintomi e segni apparentemente diversi può essere un modo davvero migliore per lavorare e potrà essere fonte di grandi soddisfazioni professionali. Paolo Ospici Bibliografia: Luigi Giannelli, Gemmoterapia, Ed. M.I.R. Luigi Giannelli, Medicina tradizionale mediterranea, ed. Tecniche Nuove Lorenzo Paride Capello, Olismologia, Ed. Tecniche Nuove Edward Bach, Opere complete, Ed. Makrofoto articolo paolo-2

 

“L’ eleganza della Capelvenere”

di dott.ssa Carmela Patania

Il nostro percorso di riscoperta delle piante officinali spontanee inizia con la Capelvenere che possiamo trovare nel nostro territorio (o come mi è capitato,trovandola nascosta nel cavedio dell’ Erboristeria)ma oramai cadute in disuso.Questa piccola felce elegante,dalle fronde piccole a ventaglio dentellate,sorrette da piccoli gamboncelli neri e lucidi,resistenti ed elastici come capelli,si muovono gentilmente al cadere delle gocce su esse.Cresce nei terreni calcarei e nei luoghi ombrosi,come sorgenti e su vecchi muri umidi.
Analizzando il suo nome scientifico Adiantum capillus-veneris L. possiamo ricavarne varie informazioni:dal suo nome greco ( a-diànto = non bagnato)spiega Teofrasto ” la foglia, quando è bagnata, non diventa umida, nè la rugiada si sofferma sulla foglia,perchè l’ umidità non si trattiene su di essa,fatto da cui deriva tale nome”, e secondo Plinio ” la pianta è verde in estate senza far cadere le foglie in inverno”.
Quindi il nome di “capillus Veneris” come la chioma asciutta della Dea appena emersa dalle acque,è stato conferito anche per la bellezza e l’ eleganza del suo portamento.La sua sopravvivenza è legata ad un habitat molto delicato poichè esige ambienti freschi e umidi costanti,inoltre non bisogna lasciare ristagni di acqua e non deve essere esposta a correnti d’ aria.Osservandola,è possibile captare subito la somiglianza delle fronde del Capelvenere con una voluminosa capigliatura,quindi in essa è intrisa la virtù di curare le calvizie e prevenire la caduta dei capelli,secondo Dioscoride “Impiastrata l’ erba fresca … fa rinascere i capelli caduti”. Quindi si prepara il decotto con la pianta fresca per essere frizionato sui capelli per prevenirne la caduta, come antiforfora e contro i capelli grassi.
A partire dal XVII, in Francia ed in Piemonte lo sciroppo di Capelvenere (sirop de capillare, capilèr)utilizzato per combattere i sintomi della tosse (antitussivo ed espettorante),veniva diluito nel latte caldo per preparare il mangia-e-bevi”bavarese ” o il “capilèr” succedaneo del tea o del caffè con uno schizzo di liquore.
Oggi trovare questa graziosa e fragile felce è diventato difficile a causa sia della scomparsa nelle nostre città di fontane sia per uno sconsiderato sfruttamento delle sorgenti,ma specialmente per la mancanza di rispetto verso questi luoghi.
Quindi,se trovate una Capelvenere invece di raccoglierla e strapparla,cercate di mantenere sano il luogo e successivamente,appena sarà più rigogliosa in autunno,dissotterrate il rizoma con un coltello ben affilato,e con esso anche una parte del pane di radici;queste nuove piante vanno subito interrate e ricoperte di terriccio fresco.Mi raccomando mantenete il terriccio umido e senza ristagni di acqua!

Le compresse di Nonna Ortica

Nonna Ortica

Compresse da estratti secchi.

La nostra linea di compresse cerca di ispirarsi alla tradizione erboristica avvalendosi altresì delle più moderne e avanzate tecniche estrattive.E’ per questo che quale ingrediente principale usiamo, in luogo della sola polvere della pianta, il suo estratto secco, da solo o in combinazione con la polvere.

L’estratto secco è una soluzione di fitocomplessi della pianta ottenuto per macerazione della droga in un solvente (spesso acqua) seguita dalla concentrazione della soluzione per mezzo dell’evaporazione del solvente, fino a che il  prodotto si presenta come una polvere che, ovviamente, sarà particolarmente concentrata in principi attivi, che in alcuni casi sono anche determinati e quantificati nella titolazione dell’estratto. Le moderne tecniche di evaporazione dell’estratto usano un atomizzatore (spray dryer). Le antiche tecniche tradizionali prevedevano solo una lenta evaporazione sotto vuoto.

-La formulazione della compressa è caratterizzata dalle seguenti peculiarità importanti :

–   Sono stati esclusi fra gli eccipienti tutti quelli di derivazione animale quali il  magnesio stearato  e il lattosio  in quanto fra i consumatori di prodotti erboristici ci sono parecchi vegetariani stretti  e numerose  sono le persone che presentano intolleranze al lattosio.-

La compressa è realizzata adalta concentrazione di estratto seccoper poter, tra l’altro, ridurre l’assunzione di compresse a 2/3 al giorno con vantaggi di praticità e minor assunzione di eccipienti .-

Un flacone contiene 60 compresse da 400 mg. (di cui 300 mg. di estratto secco),per cui è sufficiente per  20/30 giorni di assunzione; a volte produciamo compresse da 500 mg. con 400 mg. di estratto secco.-

Parecchie compresse contengono oli essenziali di qualità che ne migliorano l’efficacia ( Melissa, Finocchio, Cumino composto, Isoflavoni, Prostatak, Cipresso composto, Eukryos, Cannella- Zenzero etc. )

–  Usiamo solo estratti nativi ( cioè non usiamo quelli che derivano da diluizioni di estratti superconcentrati. Per chiarimenti contattarci! ).

Il rapporto qualità-concentrazione e prezzo è particolarmente vantaggioso.

Il motivo fondamentale per il quale la nostra azienda può  garantire tali condizioni è che preferisce investire in materie prime di alta qualità ed in controlli rigorosi invece che in pubblicità ed in immagine “sfavillante”; ovviamente questa scelta, in parte ci penalizza, dato che i nostri prodotti hanno un aspetto che gli esperti di comunicazione definiscono come di “basso profilo”; in realtà l’ “alto profilo” sta nella superiore qualità del prodotto, rispetto alla concorrenza che, spesso, preferisce investire enormi risorse nell’ “immagine”.-Nell’etichettatura viene minuziosamente e molto chiaramente riportata la qualità, la natura e la percentuale di pianta presente; in questo modo si sa sempre molto bene che tipo di prodotto si sta utilizzando. Quando usiamo estratti di questo tipo li chiameremo estratti secchi tradizionali.

Il mandorlo – Seconda parte

D.SSA CARMELA PATANIA
La mandorla è un seme oleaginoso ricco di nutrienti dal quale si estrae l’ olio per spremitura a

freddo. Esso è costituito da oleina, emulsina, proteine, glucosidi, minerali ( tr. Calcio, Fosforo,

Potassio, Zolfo e Magnesio), vitamine A, B1, B2, B6 ed E. Inoltre, è ricco in acidi grassi

monoinsaturi e in poliinsaturi (-) specialmente presenti nella mandorla secca.

Grazie al suo fitocomplesso, il seme esplica nell’ organismo varie attività tra le quali spiccano

l’ azione energizzante, riequilibrante per il sistema nervoso, rimineralizzante e ricostituente. Quindi

introdurre da 6-15 mandorle al giorno ( dipende dai soggetti ) è utile specialmente per gli sportivi e

per chi è astenico.

Ma ciò che conosciamo oggi, era già saputo in passato, ad esempio fu inserito nel Capitulare de

Villis di Carlo Magno per le sue proprietà riequilibranti e molto nutrienti.

Le mandorle verdi era uso mangiarle all’ inizio della primavera essendo appetitose ma erano anche

consigliate alle gestanti per eliminare la nausea; quelle secche sono difficili da digerire e portano

mal di testa.

Ildegarda di Bingen dal ” Libro delle creature”:

Chi ha cervello vuoto, un brutto colorito in viso e per questo ha male alla testa: la mandorla

riempie il cervello e conferisce un bel colorito. Chi si ammala al polmone e ha il fegato indebolito

mangi spesso, crudi o cotti: danno forza al polmne e non lo soffocano,

non lo rendono secco ma forte

Un esperimento condotto da Julius J. Kleeberg, capo del dipartimento di ricerca dell’ ospedale

municipale Rothschild di Haifa, ha rivelato l’ efficacia della mandorla dolce nella cura delle ulcere

gastriche ( Marzo 27, 1969 ). Egli notò che i grandi fumatori arabi del Medio Oriente, masticavano

mandorle in continuazione per alleviare i dolori gastrici. Infatti l’ olio delle mandorle, liberato dal

succo gastrico, depone una pellicola protettiva sulla parete dello stomaco, mentre le loro proteine

formano con l’ acido cloridrico dello stomaco un tampone naturale. Altri due prodotti contenuti

nelle mandorle permettono l’ uno di ridurre l’ esagerata produzione di pepsina dello stomaco malato,

l’ altro di accrescere l’ attività del tubo digerente. Poichè il tenore di glucidi nella mandorla dolce

non eccede il 20%, la cura può essere prescitta ai diabetici e agli obesi. Con il trattamento si ottiene

un sollievo rapido sia del bruciore che dei dolori epigastrici.

Gli Arabi furono i primi a scoprire il segreto della lavorazione delle mandorle tritate con albume

d’uovo e miele. Le specialità dolciarie a base di mandorle che attestano l’ influenza di questa

cultura in Sicilia sono la pasta reale , il torrone e il latte di mandorle ( orzata ).

L’ orzata è una bevanda rinfrescante analcolica di origine vegetale molto antica, si pensi che la

bevevano gli antichi Egizi. Oggi è molto diffusa soprattutto in Spagna e nei Paesi Latino-

Americani.Il nome deriva da una voce Latina hordeata, “fatta con orzo” ma con il passare dei

secoli, l’orzo è stato sostituito da altri ingredienti vegetali, in questo caso dalla mandorla.

Il latte di mandorle è indicato contro gli spasmi e l’infiammazione dello stomaco, dell’intestino,

delle vie urinarie, contro le palpitazioni e le tossi spasmodiche; inoltre è raccomandato ai

convalescenti e bambini. E’ anche un’ottima bevanda rinfrescante e tonificante nelle calde giornate

d’estate.

Ricetta per preparare sciroppo di orzata:

650g di mandorle dolci

3,25Kg zucchero di canna integrale

Si riducono in pasta fine le mandorle, pestandole in un mortaio aggiungendo loro 125g acqua fredda

e 750g di zucchero. Stemperare la pasta così ottenuta con un litro e mezzo d’ acqua fredda e filtrare

spremendo. Aggiungere a questa emulsione 2,500 Kg di zucchero e far fondere a bagnomaria.

Quando il tutto è fuso profumare con 250g di acqua di fiori di arancio.

Dai semi del mandorlo si ottiene anche una farina utile come detergente cutaneo e ammorbidente

della pelle delle mani.

Olio di mandorle dolci:

USO ESTERNO:

utile per tutti i tipi di pelle, molto lubrificante ma poco penetrante per questo è un ottimo olio da

massaggio. Contribuisce a diminuire il prurito, la secchezza, il dolore e l’ infiammazione.

Particolarmente utile per pelli secche, irritate e in presenza di eczema.

USO INTERNO:

lassativo per il neonato ( attenzione alla qualità dell’ olio !!!); con aggiunta di tanto zucchero, per

chi ha ingoiato una spina per calmare il dolore ed evitare eventuali ulcerazioni.

Il mandorlo prima parte

D.ssa Carmela Patania
Prefazione
Osservando la mia terra sicula dalla macchina, noto che incominciano a intravedersi
le chiome bianche del mandorlo, che somigliano e nuvole, e il mio pensiero si
collega subito all’ arrivo della primavera che con il suo tepore risveglia la natura
assopita: “Ecco, il mandorlo sarà il primo tema che tratterò nella mia rubrica”.
Il mandorlo, pur essendo un piccolo alberello ( max 12m ), è una delle piante più
apprezzate nel mondo antico sia per la sua simbologia sia per il suo utilizzo in
ambito culinario, erboristico e anche casalingo. Quindi ho voluto dividerlo in due
parti: nella prima parte verrà trattata la sua simbologia mentre nella seconda il uso
utilizzo e le sue proprietà nutritive.
Il mandorlo – parte prima
Il Mandorlo (Amygdalus communis L. = Prunus amygdalus Batsch; Prunus dulcis Miller
Fam. Rosaceae ) e’ un alberello originario della Persia. E’ molto diffuso sull’ altopiano
iraniano ove gli uomini incominciarono a coltivarlo cinque o seimila anni fa. Fu introdotto
in Sicilia dalla popolazione greca; i romani lo chiamavano “noce greca” ( frutto chiuso in
un guscio come la noce, gratissimo al gusto), dopodiché si diffuse in Francia, Spagna e
giunse in America nel XVI secolo.
Un esempio archeologico di mandorlo sono i semi trovati nella tomba di Tutankamon in
Egitto (circa 1325 a.C.), probabilmente importati dal Levante.
Il mandorlo è una pianta robusta che si sviluppa su terreni poveri, poco profondi e aridi e
da esso si utilizza quasi tutto: i semi oleaginosi, le foglie come mangime per gli ovini, i
malli e i gusci per la produzione tradizionale di carbonella e le ceneri dei gusci, ricche di
potassio, quale ottimo fertilizzante naturale.
Il seme del mandorlo selvatico contiene il glucoside amigdalina, che si trasforma nel
mortale acido cianidrico, quindi, i semi del mandorlo selvatico venivano arrostiti per
eliminarne la tossicità. Grazie al lavoro di ibridazione e selezioni fatte da antichi
agricoltori si sono ottenute così, varietà di interesse frutticolo: sativa (con seme dolce ed
endocarpo duro; comprende la maggior parte delle specie coltivate), amara (ha seme
amaro per la presenza di amigdalina) e fragilis (con seme dolce ed endocarpo fragile).
Il frutto è simile al cuore al cui interno è possibile trovare due semi – uno dei quali abortito
– contenuti in un endocarpo solcato. L’ amigdala si chiama proprio così per la sua forma
simile alla mandorla.
La capacità di rallegrare il cuore, a vista della sua fioritura precoce durante febbraio,
grazie alla sua chioma bianco-rosacea, è stata interpretata sin dall’ antichità come
simbolo di luce che manifesta la presenza divina, mentre per analogia, la rottura del
guscio per ricavarne il seme, simboleggia la rivelazione dell’ invisibile.
Il mandorlo nel mitologia greca è stato narrato da Pausania. Racconta che Zeus lasciò
cadere sulla terra il suo seme. Trascorso il tempo dovuto, il seme generò un demone
Agdistis dai duplici genitali, maschili e femminili. Gli dèi, che sprezzavano esseri del
genere, incatenarono Agdistis e gli tagliarono i genitali maschili e dal suo sangue nacque
un albero di mandorlo. La pianta attirò l’ attenzione di Nana, una delle figlie del dio-fiume
Sangario, e colse una mandorla e la nascose in seno. Il frutto sparì subito e la ragazza
rimase incinta.
Il nome ebraico del mandorlo – saqed – , derivato da verbo saqad << vigilare, vegliare >>
per la sua precoce fioritura. E’ uno dei primi alberi a fiorire in Israele, di solito all’inizio di
febbraio, in coincidenza con il Tu BiShvat, una festività ebraica chiamata Capodanno
degli alberi.
La mandorla in ebraico si traduce Luz che esprime il nocciolo indistruttibile e il divino dell’
essere, ma anche la luce che manifesta la sua presenza.
Luz è la misteriosa città zaffiro, protetta dal velo del cielo, inaccessibile ai profani e
incontaminata dai cataclismi, si trova al centro del Paradiso terrestre e secondo la
tradizione ebraica, ai piedi del mandorlo si troverebbe la via per accedere in essa, dimora
dell’ immortalità.
Nel cristianesimo la mandorla è Cristo, ciò che lo testimonia è un bassorielievo
medievale nell’ Altare del duca Rachis che raffigura l’ ascenzione di Cristo in Maestà all’
interno di una mandorla sostenuta da quattro angeli. Quindi la mandorla rappresenta il
velo della gloria che avvolge anche la Madonna che è quasi sempre azzurro o stellato,
infatti è noto questo elemento nell’ iconografia medievale come ” mandorla mistica “.
Bibliografia:
Wikipedia: Prunus dulcis
www.agraria.org
“ Storia e leggende degli alberi “ di Jacques Bross
” Le piante nel vangelo: Il mandorlo ” da ” La vita in Cristo e nella Chiesa” – Anno LVII, n°2 – a
cura di Sandro Imperato
” Il velo tra Oriente e Occidente ” di Vittora Alliata Ed. Orientamento – Al Qibla
Wikipedia: Altare del duca Rachis

– Bibliografia a disposizione
– http://www.liberajonianews.it/category/medicina-salute/lerboristeria/
– http://www.taccuinistorici.it/ita/news/contemporanea/dieta—dietetica/La-mandorla-sue-proprieta.html