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La medicina Tibb e Unani

Il sistema di medicina UNANI deve la sua origine alla Grecia (Unan in arabo significa Grecia). Unani è la parola araba utilizzata per indicare ionico o greco. I paesi musulmani confinanti con la Grecia la chiamavano Yunanistan, o la terra degli Unanis. ‘Tibb’ significa conoscenza degli stati del corpo umano, sia in salute che in malattia, o in altre parole, medicina. ‘Tibb-E-Unani’ è quindi un’antico sistema medico, collaudato nel tempo, risalente a circa 5000 anni fa e con le sue origini in Grecia.

Fu il filosofo-medico greco Ippocrate (460-377 A.C.) che per primo vide nella malattia e nella cura il risultato di processi naturali. Separando quindi la magia dalla religione le diede lo status di scienza. Il quadro teorico della medicina Unani è basato sugli insegnamenti di Ippocrate. Dopo che un folto gruppo di altri studiosi greci ebbe arricchito notevolmente il sistema con moltissime altre informazioni, Galeno (131-210 D.C.) venne riconosciuto, e per questo si distinse, come colui il quale stabilizzò le fondamenta del sistema. Basandosi quindi sui fondamentali della medicina ippocratica alcuni medici musulmani come Al-Razi (Rhazes) (850-925 D.C.) e Ibn Sina (Avicenna) (980-1037 D.C.), Al Zahravi (Albucasis) il chirurgo e Nafis del Ibn, per citarne solo alcuni, hanno costruito un imponente sistema medico.

La Medicina Unani si arricchì moltissimo assorbendo ciò che vi era di migliore negli allora sistemi contemporanei di medicina tradizionale in paesi quali: Egitto, Siria, Iraq, Persia, India, Cina e molti altri in Medio ed Estremo Oriente. La medicina Unani ricevette un grande impulso durante il Regno degli Abbasidi e in India, dove il sistema di medicina Unani venne introdotto dagli arabi, divenne una scienza rispettabile e ‘razionale’, e velocemente si radicò nel territorio e nella cultura Indiana.

Quando i Mongoli attaccarono e devastarono le città della Persia e dell’Asia centrale come Shiraz, Tabrez e Geelan, gli studenti e i medici della medicina Unani fuggirono in India. Il sultanato di Delhi, le dinastie islamiche Khiljis e Tughlaqs e gli imperatori Mughal offrirono protezione di Stato per gli studenti e assunsero inoltre dei dottori, alcuni come dipendenti dello Stato e altri come medici di corte.

Tra il XIII e il XVII secolo in India la medicina Unani raggiunse il massimo splendore. Tra coloro che in quel periodo diedero preziosi contributi allo sviluppo di questo sistema vanno ricordati: Abu Bakr Bin Ali Usman Ksahani, Sadruddin Damashqui, Bahwa bin Khwas Khan, Ali Geelani, Akbal Arzani e Mohammad Hashim Alvi Khan. Gli studenti e i medici della medicina Unani, che si stabilirono in India, non erano soddisfatti dalle droghe conosciute fino allora. Decisero quindi di sottoporre i farmaci indiani a sperimentazioni cliniche. A seguito delle loro sperimentazioni numerosi nuovi farmaci nativi vennero inseriti nel sistema medico Unani arricchendolo ulteriormente.

Durante l’occupazione Britannica la medicina Unani subì una battuta d’arresto e il suo sviluppo divenne più difficile a causa del ritiro del patrocinio governativo. Fintanto però che la medicina Unani ebbe presa tra le masse, continuò comunque ad essere praticata. Grazie agli sforzi e all’impegno profusi dalla famiglia Sharifi a Delhi, dalla famiglia Azizi in Luchnow e dal Nizam di Hyderabad (Nizām, versione abbreviata di Nizam al-Mulk, che significa Governatore del Regno, è stato il titolo dei sovrani nativi dello Stato di Hyderabad, India, fin dal 1719) la medicina Unani sopravvisse al periodo britannico.

Un eccezionale medico e studioso di medicina Unani, Hakim Ajmal Khan (1868-1927) difese la causa del sistema in India. Lo sviluppo della medicina Unani, nonché di altri sistemi indiani di medicina, ha acquisito notevole slancio solo dopo l’indipendenza. Tuttavia già prima dell’indipendenza vennero nominate diverse commissioni che sottolinearono il futuro importante ruolo che la medicina Unani avrebbe giocato tra i sistemi di medicina indigena. Nel 1969 il Governo Indiano fondò il ‘Central Council for Research in Indian Medicine and Homeopathy’ (CCRIMH) per sviluppare la ricerca scientifica nei diversi rami dei sistemi di medicina indiani quali le medicine Unani, Ayurveda, Siddha, lo Yoga, la Naturopatia e l’Omeopatia. Sotto l’egida della CCRIMH le attività di ricerca sono continuate fino al 1978 quando vennero istituiti quattro consigli di ricerca separati, uno per la medicina Unani, uno per l’Ayurveda e la Siddha, uno per lo Yoga e uno per la Naturopatia e Omeopatia. Questo venne fatto per permettere ulteriori sviluppi in consonanza con le filosofie di base dei rispettivi sistemi. Fin dalla sua istituzione il Consiglio centrale per la ricerca in medicina Unani (CCRUM) ha fatto sforzi concertati per poter fornire una base scientifica a questo sistema medico secolare e a trovare soluzioni valide per i problemi di salute delle persone.

Al fine di semplificare la formazione e regolare la pratica nei sistemi di medicina indiani il Governo, con una legge del Parlamento, la ‘Indian Medicine Central Council Act’ del 1970, ha istituito il ‘Central Council of Indian Medicine’ (CCIM). Attualmente la medicina Unani, con professionisti riconosciuti, dottori, ospedali e istituzioni per la formazione e la ricerca, costituisce parte integrante del sistema sanitario nazionale. Oggi l’India è considerata leader mondiale per la medicina Unani. Il Governo offre sempre più sostegno e fondi per lo sviluppo diversificato della medicina Unani, così da trarre il massimo beneficio da questo sistema nel fornire assistenza sanitaria alle masse.

La medicina Unani, come qualsiasi altra forma di scienza medica, si sforza di trovare le migliori soluzioni possibili con le quali una persona può condurre una vita sana con il minor numero di malanni. Prescrive farmaci, diete, bevande e altri regimi inclusi i codici di condotta che servono per favorire il mantenimento e la promozione di una buona salute, così come la prevenzione e la cura della malattia. L’obiettivo ultimo di queste prescrizioni scientifiche e divieti è la creazione di una società sana.

I sistemi di medicina tradizionale sono senza dubbio prevalenti in molti paesi del mondo ma, la maggior parte di essi, sono empirici. D’altra parte, la medicina Unani e le sue derivazioni hanno principi di base razionali e scientifici. Si distingue da altri sistemi medici, così come i farmaci che usa, che sono tutti di origine naturale sia alla fonte che nelle forme. La medicina Unani enfatizza mantenere i composti naturali che appartengono al corpo umano e quindi prescrive solo rimedi naturali. La medicina Unani crede che le malattie possano essere tenute sotto controllo con l’uso di acqua fresca e pulita, respirando aria pulita e consumando alimenti freschi. Dovrebbe, allo stesso modo, essere mantenuto un buon equilibrio tra il corpo e la mente affinché il processo metabolico possa avvenire facilmente così come l’evacuazione dei rifiuti del corpo. La medicina Unani crede inoltre che ogni forma di vita sia stata originate dal mare.

Ci sono 8 differenti specializzazioni nella medicina Unani:

  • Medicina interna

  • Chirurgia

  • Ginecologia inclusi Ostetricia e Pediatria

  • Malattie della testa e del collo

  • Tossicologia

  • Psichiatria

  • Terapia di ringiovanimento compreso la Geriatria

  • Sessuologia

  • Terapia di Condotta

  • Dietoterapia

  • Idroterapia


Risvolti storici della chirurgia nella medicina Unani:

Per ragioni storiche nel periodo medievale la pratica della chirurgia veniva fortemente contrastata e scoraggiata. Ma in tempi antichi i chirurghi Unani hanno eseguito operazioni di chirurgia cerebrale molto difficili, laparotomie e operazioni di chirurgia plastica. Nonostante l’apatia generata dalla legge coloniale, la fede delle persone nella loro cultura e medicina tradizionale permise di mantenere vivi gli altri rami del sistema medico Unani. È grazie a questa massa di base ed all’utilità di questo sistema medico che dopo l’indipendenza il Governo Indiano prese diverse iniziative per proseguire e rilanciare questa scienza della salute.

Teoria ippocratica della medicina:

La prima teoria fondamentale del sistema Unani venne stabilita dal filosofo greco Ippocrate e si fonda sulla convinzione che il corpo dell’individuo è composto da quattro elementi fondamentali che insieme sono chiamati ‘Anasir-e-Arba’ (Hava, Pani, Mitti, Dhup). Questi quattro elementi, o fluidi biologici, costituiscono, in diverse permutazioni e combinazioni, gli ‘Umori’ (Akhlat cioè il sangue (Dam), il muco (Kafa), la bile (Safra) e la bile nera (Souda). Si può quindi affermare che la medicina Unani si fonda sui principi di base e cioè la presenza dei quattro umori nel sangue umano. Finché questi umori si mantengono in un equilibrio normale, in quantità normale e nelle normali regioni del corpo, il sistema degli umori funzionerà in modo normale. Le malattie sono il risultato di eventuali squilibri alla costituzione degli umori o cambiamenti nella loro quantità e qualità. Nel corso dei secoli diversi altri studiosi hanno migliorato e ampliato la portata del sistema Unani. Secondo la disciplina Unani così com’è oggi, il corpo umano è composto da 7 componenti naturali di base chiamati ‘Umoor e Tabaiyah’ I quali sono responsabili del mantenimento della salute. Questi componenti sono:

  • Elementi (Arkan)

  • Temperamento (Mizaj)

  • Umori (Akhlaat)

  • Organi (Aaza)

  • Forze neuro vitali (Arwah)

  • Facoltà (Quwa)

  • Funzioni (Afaal)

La perdita di uno qualsiasi di questi componenti di base o l’alterazione del loro stato fisico potrebbe portare a malattie o alla morte. È altamente indispensabile considerare tutti questi fattori in modo da raggiungere la diagnosi corretta e di conseguenza il corretto trattamento e il percorso riabilitativo. I medici Unani spiegano che c’è una speciale abilità nascosta in ogni individuo chiamata il meccanismo di difesa del corpo, o nel linguaggio tecnico Unani – ‘Tabiyat-e-Muddabare Badan’. Il ‘Tabiyat’ può essere definito come la somma totale delle funzioni strutturali e del carattere psicologico dell’essere umano. Il ‘Tabiyat’ o natura umana è il miglior medico e mantiene l’equilibrio dei quattro umori o ‘Akhlat’. La quantità e la qualità dovrebbero essere invece secondo la composizione chimica naturale del corpo.

Diagnosi e trattamento

Per la diagnosi di una malattia, gli aspetti più importanti sono l’ascolto del ‘Nabz’ (polso), l’esame del ‘Boul’ (urina) e del ‘Baraz’ (materia fecale). Per quanto riguarda la cura tutte le malattie sono trattate seguendo quattro linee.

  • La prima è il ‘Ilaj-bil-tadbir’ (Terapia di regime). Le speciali tecniche usate in questa terapia sono il ‘Dalak’ (massaggio), il ‘Riyazat’ (esercizio) e l’’Hammam’ (bagno di vapore).

  • La seconda linea di terapia è conosciuta come ‘Ilaj-bil-ghiza’ (Dietoterapia) nella quale viene suggerito al paziente il tipo di cambiamento nella qualità e quantità della dieta. Viene chiesto al paziente di limitare e modificare la sua dieta, ai pazienti malnutriti viene invece prescritta una dieta equilibrata, a volte al paziente è anche chiesto di rinunciare del tutto il cibo.

  • La terza linea di terapia è ‘Ilaj-bil-dawah’ cioè vengono utilizzati farmaci di origine naturale. Possono essere di origine vegetale, animale o minerale, e sono disponibili in diverse forme quali Safoof (polvere), Haboob e Qurs (compresse), Sharbat (sciroppi) e Majoon, Itrifal e Khamirajat (semi-solidi).

  • ‘Jarahat’ (chirurgia) è la quarta linea di trattamento. Alcuni metodi chirurgici particolari utilizzati nella medicina Unani sono il ‘Fasad’ (salasso), l’’Hajamat’ (coppettazione), il ‘Taleeque’ (Hirudoterapia) e ‘Amle-kai’ (diatermia).

I trattamenti del sistema Unani sono costituiti da tre categorie di farmaci, prodotti cioè vegetali, animali e minerali che comprendono metalli, gemme e gioielli. Questi farmaci sono descritti con riferimento al loro gusto e proprietà (Khassosiyat) e potenza (Qoowat). Poiché le malattie sono causate da diversi fattori quali irregolarità dietetiche, fattori psichici e variazioni stagionali, nelle ricette si trovano spesso combinazioni di parecchie droghe. Prima della somministrazione, questi farmaci vengono elaborati in forma di succo, polvere, decotto, infusione, pillole, compresse, oli medicati, ghee e preparazioni alcoliche. Durante la preparazione e l’elaborazione di ricette medicamentose, va sempre tenuto a mente che, per quanto possibile, il farmaco dovrebbe essere utile nel trattamento di diversi disturbi, con un’azione terapeutica molto potente, dal gusto delizioso e con lunga durata. Migliaia di tali ricette e i loro particolari risvolti sono descritti nei testi di medicina Unani.

Ibn-Sina, il medico Unani più antico e che ha avuto un impatto di vasta portata nel mondo islamico e in quello occidentale, definì la medicina Unani come la scienza da cui apprendiamo i vari stati del corpo, quando è in salute e quando non lo è, i motivi per cui la salute rischia di essere persa e, quando persa, come essere ripristinata. La logica per mantenere una buona salute si basa sui concetti di ‘Hifzan-e-Sehat’ (igiene) e ‘Asbab-e-Sittah Zaruriah’ (le sei cause essenziali).

La medicina Unani ha sempre aiutato la gente dell’India e i paesi vicini a mantenere una buona salute. Li ha indirizzati sia nella loro vita quotidiana che nelle abitudini alimentari e li ha aiutati a guarire dalle malattie. La medicina Unani è quindi rimasta per molto tempo una parte integrante della loro cultura. Il sistema medico Unani è stato ben definito, ben sviluppato e i suoi farmaci collaudati e provati per secoli in modo da risultare generalmente non tossici e senza effetti collaterali.

Un crescente bisogno di assistenza sanitaria primaria

L’assistenza sanitaria primaria è assistenza sanitaria essenziale basata su tecnologie e metodi pratici, scientificamente validi e socialmente accettabili. L’assistenza sanitaria deve essere universalmente accessibile a tutti gli individui e a tutte le famiglie di ogni Comunità, attraverso una loro reale e approfondita piena partecipazione e ad un costo che la Comunità e il Paese possono permettersi di mantenere ad ogni livello.

Nel sub continente indiano l’80% della popolazione vive nelle champagne o nelle foreste e si dedica al lavoro rurale. Questa naturale simbiosi tra l’uomo e la natura che lo circonda fa si che a tutt’oggi per semplici trattamenti e rimedi, si ricorra alle madre terra e ai suoi molti prodotti utili per la guarigione come erbe e arbusti con proprietà medicinali. In tale scenario, non è fuori luogo considerare il sistema di medicina Unani, che è essenzialmente un sistema naturale ed efficace di guarigione, oltre ad essere accessibile a tutti, perfettamente adatto per il raggiungimento di “buona salute” per tutti, così come auspicato nel 1978 ad Alma Ata nella International Conference on Primary Health Care, AlmaAta, USSR, 6-12. September 1978”.

Luca Cozzi

Khulna, 10 aprile 2014

“L’ eleganza della Capelvenere”

di dott.ssa Carmela Patania

Il nostro percorso di riscoperta delle piante officinali spontanee inizia con la Capelvenere che possiamo trovare nel nostro territorio (o come mi è capitato,trovandola nascosta nel cavedio dell’ Erboristeria)ma oramai cadute in disuso.Questa piccola felce elegante,dalle fronde piccole a ventaglio dentellate,sorrette da piccoli gamboncelli neri e lucidi,resistenti ed elastici come capelli,si muovono gentilmente al cadere delle gocce su esse.Cresce nei terreni calcarei e nei luoghi ombrosi,come sorgenti e su vecchi muri umidi.
Analizzando il suo nome scientifico Adiantum capillus-veneris L. possiamo ricavarne varie informazioni:dal suo nome greco ( a-diànto = non bagnato)spiega Teofrasto ” la foglia, quando è bagnata, non diventa umida, nè la rugiada si sofferma sulla foglia,perchè l’ umidità non si trattiene su di essa,fatto da cui deriva tale nome”, e secondo Plinio ” la pianta è verde in estate senza far cadere le foglie in inverno”.
Quindi il nome di “capillus Veneris” come la chioma asciutta della Dea appena emersa dalle acque,è stato conferito anche per la bellezza e l’ eleganza del suo portamento.La sua sopravvivenza è legata ad un habitat molto delicato poichè esige ambienti freschi e umidi costanti,inoltre non bisogna lasciare ristagni di acqua e non deve essere esposta a correnti d’ aria.Osservandola,è possibile captare subito la somiglianza delle fronde del Capelvenere con una voluminosa capigliatura,quindi in essa è intrisa la virtù di curare le calvizie e prevenire la caduta dei capelli,secondo Dioscoride “Impiastrata l’ erba fresca … fa rinascere i capelli caduti”. Quindi si prepara il decotto con la pianta fresca per essere frizionato sui capelli per prevenirne la caduta, come antiforfora e contro i capelli grassi.
A partire dal XVII, in Francia ed in Piemonte lo sciroppo di Capelvenere (sirop de capillare, capilèr)utilizzato per combattere i sintomi della tosse (antitussivo ed espettorante),veniva diluito nel latte caldo per preparare il mangia-e-bevi”bavarese ” o il “capilèr” succedaneo del tea o del caffè con uno schizzo di liquore.
Oggi trovare questa graziosa e fragile felce è diventato difficile a causa sia della scomparsa nelle nostre città di fontane sia per uno sconsiderato sfruttamento delle sorgenti,ma specialmente per la mancanza di rispetto verso questi luoghi.
Quindi,se trovate una Capelvenere invece di raccoglierla e strapparla,cercate di mantenere sano il luogo e successivamente,appena sarà più rigogliosa in autunno,dissotterrate il rizoma con un coltello ben affilato,e con esso anche una parte del pane di radici;queste nuove piante vanno subito interrate e ricoperte di terriccio fresco.Mi raccomando mantenete il terriccio umido e senza ristagni di acqua!

Le compresse di Nonna Ortica

Nonna Ortica

Compresse da estratti secchi.

La nostra linea di compresse cerca di ispirarsi alla tradizione erboristica avvalendosi altresì delle più moderne e avanzate tecniche estrattive.E’ per questo che quale ingrediente principale usiamo, in luogo della sola polvere della pianta, il suo estratto secco, da solo o in combinazione con la polvere.

L’estratto secco è una soluzione di fitocomplessi della pianta ottenuto per macerazione della droga in un solvente (spesso acqua) seguita dalla concentrazione della soluzione per mezzo dell’evaporazione del solvente, fino a che il  prodotto si presenta come una polvere che, ovviamente, sarà particolarmente concentrata in principi attivi, che in alcuni casi sono anche determinati e quantificati nella titolazione dell’estratto. Le moderne tecniche di evaporazione dell’estratto usano un atomizzatore (spray dryer). Le antiche tecniche tradizionali prevedevano solo una lenta evaporazione sotto vuoto.

-La formulazione della compressa è caratterizzata dalle seguenti peculiarità importanti :

–   Sono stati esclusi fra gli eccipienti tutti quelli di derivazione animale quali il  magnesio stearato  e il lattosio  in quanto fra i consumatori di prodotti erboristici ci sono parecchi vegetariani stretti  e numerose  sono le persone che presentano intolleranze al lattosio.-

La compressa è realizzata adalta concentrazione di estratto seccoper poter, tra l’altro, ridurre l’assunzione di compresse a 2/3 al giorno con vantaggi di praticità e minor assunzione di eccipienti .-

Un flacone contiene 60 compresse da 400 mg. (di cui 300 mg. di estratto secco),per cui è sufficiente per  20/30 giorni di assunzione; a volte produciamo compresse da 500 mg. con 400 mg. di estratto secco.-

Parecchie compresse contengono oli essenziali di qualità che ne migliorano l’efficacia ( Melissa, Finocchio, Cumino composto, Isoflavoni, Prostatak, Cipresso composto, Eukryos, Cannella- Zenzero etc. )

–  Usiamo solo estratti nativi ( cioè non usiamo quelli che derivano da diluizioni di estratti superconcentrati. Per chiarimenti contattarci! ).

Il rapporto qualità-concentrazione e prezzo è particolarmente vantaggioso.

Il motivo fondamentale per il quale la nostra azienda può  garantire tali condizioni è che preferisce investire in materie prime di alta qualità ed in controlli rigorosi invece che in pubblicità ed in immagine “sfavillante”; ovviamente questa scelta, in parte ci penalizza, dato che i nostri prodotti hanno un aspetto che gli esperti di comunicazione definiscono come di “basso profilo”; in realtà l’ “alto profilo” sta nella superiore qualità del prodotto, rispetto alla concorrenza che, spesso, preferisce investire enormi risorse nell’ “immagine”.-Nell’etichettatura viene minuziosamente e molto chiaramente riportata la qualità, la natura e la percentuale di pianta presente; in questo modo si sa sempre molto bene che tipo di prodotto si sta utilizzando. Quando usiamo estratti di questo tipo li chiameremo estratti secchi tradizionali.

Il mandorlo – Seconda parte

D.SSA CARMELA PATANIA
La mandorla è un seme oleaginoso ricco di nutrienti dal quale si estrae l’ olio per spremitura a

freddo. Esso è costituito da oleina, emulsina, proteine, glucosidi, minerali ( tr. Calcio, Fosforo,

Potassio, Zolfo e Magnesio), vitamine A, B1, B2, B6 ed E. Inoltre, è ricco in acidi grassi

monoinsaturi e in poliinsaturi (-) specialmente presenti nella mandorla secca.

Grazie al suo fitocomplesso, il seme esplica nell’ organismo varie attività tra le quali spiccano

l’ azione energizzante, riequilibrante per il sistema nervoso, rimineralizzante e ricostituente. Quindi

introdurre da 6-15 mandorle al giorno ( dipende dai soggetti ) è utile specialmente per gli sportivi e

per chi è astenico.

Ma ciò che conosciamo oggi, era già saputo in passato, ad esempio fu inserito nel Capitulare de

Villis di Carlo Magno per le sue proprietà riequilibranti e molto nutrienti.

Le mandorle verdi era uso mangiarle all’ inizio della primavera essendo appetitose ma erano anche

consigliate alle gestanti per eliminare la nausea; quelle secche sono difficili da digerire e portano

mal di testa.

Ildegarda di Bingen dal ” Libro delle creature”:

Chi ha cervello vuoto, un brutto colorito in viso e per questo ha male alla testa: la mandorla

riempie il cervello e conferisce un bel colorito. Chi si ammala al polmone e ha il fegato indebolito

mangi spesso, crudi o cotti: danno forza al polmne e non lo soffocano,

non lo rendono secco ma forte

Un esperimento condotto da Julius J. Kleeberg, capo del dipartimento di ricerca dell’ ospedale

municipale Rothschild di Haifa, ha rivelato l’ efficacia della mandorla dolce nella cura delle ulcere

gastriche ( Marzo 27, 1969 ). Egli notò che i grandi fumatori arabi del Medio Oriente, masticavano

mandorle in continuazione per alleviare i dolori gastrici. Infatti l’ olio delle mandorle, liberato dal

succo gastrico, depone una pellicola protettiva sulla parete dello stomaco, mentre le loro proteine

formano con l’ acido cloridrico dello stomaco un tampone naturale. Altri due prodotti contenuti

nelle mandorle permettono l’ uno di ridurre l’ esagerata produzione di pepsina dello stomaco malato,

l’ altro di accrescere l’ attività del tubo digerente. Poichè il tenore di glucidi nella mandorla dolce

non eccede il 20%, la cura può essere prescitta ai diabetici e agli obesi. Con il trattamento si ottiene

un sollievo rapido sia del bruciore che dei dolori epigastrici.

Gli Arabi furono i primi a scoprire il segreto della lavorazione delle mandorle tritate con albume

d’uovo e miele. Le specialità dolciarie a base di mandorle che attestano l’ influenza di questa

cultura in Sicilia sono la pasta reale , il torrone e il latte di mandorle ( orzata ).

L’ orzata è una bevanda rinfrescante analcolica di origine vegetale molto antica, si pensi che la

bevevano gli antichi Egizi. Oggi è molto diffusa soprattutto in Spagna e nei Paesi Latino-

Americani.Il nome deriva da una voce Latina hordeata, “fatta con orzo” ma con il passare dei

secoli, l’orzo è stato sostituito da altri ingredienti vegetali, in questo caso dalla mandorla.

Il latte di mandorle è indicato contro gli spasmi e l’infiammazione dello stomaco, dell’intestino,

delle vie urinarie, contro le palpitazioni e le tossi spasmodiche; inoltre è raccomandato ai

convalescenti e bambini. E’ anche un’ottima bevanda rinfrescante e tonificante nelle calde giornate

d’estate.

Ricetta per preparare sciroppo di orzata:

650g di mandorle dolci

3,25Kg zucchero di canna integrale

Si riducono in pasta fine le mandorle, pestandole in un mortaio aggiungendo loro 125g acqua fredda

e 750g di zucchero. Stemperare la pasta così ottenuta con un litro e mezzo d’ acqua fredda e filtrare

spremendo. Aggiungere a questa emulsione 2,500 Kg di zucchero e far fondere a bagnomaria.

Quando il tutto è fuso profumare con 250g di acqua di fiori di arancio.

Dai semi del mandorlo si ottiene anche una farina utile come detergente cutaneo e ammorbidente

della pelle delle mani.

Olio di mandorle dolci:

USO ESTERNO:

utile per tutti i tipi di pelle, molto lubrificante ma poco penetrante per questo è un ottimo olio da

massaggio. Contribuisce a diminuire il prurito, la secchezza, il dolore e l’ infiammazione.

Particolarmente utile per pelli secche, irritate e in presenza di eczema.

USO INTERNO:

lassativo per il neonato ( attenzione alla qualità dell’ olio !!!); con aggiunta di tanto zucchero, per

chi ha ingoiato una spina per calmare il dolore ed evitare eventuali ulcerazioni.

Il mandorlo prima parte

D.ssa Carmela Patania
Prefazione
Osservando la mia terra sicula dalla macchina, noto che incominciano a intravedersi
le chiome bianche del mandorlo, che somigliano e nuvole, e il mio pensiero si
collega subito all’ arrivo della primavera che con il suo tepore risveglia la natura
assopita: “Ecco, il mandorlo sarà il primo tema che tratterò nella mia rubrica”.
Il mandorlo, pur essendo un piccolo alberello ( max 12m ), è una delle piante più
apprezzate nel mondo antico sia per la sua simbologia sia per il suo utilizzo in
ambito culinario, erboristico e anche casalingo. Quindi ho voluto dividerlo in due
parti: nella prima parte verrà trattata la sua simbologia mentre nella seconda il uso
utilizzo e le sue proprietà nutritive.
Il mandorlo – parte prima
Il Mandorlo (Amygdalus communis L. = Prunus amygdalus Batsch; Prunus dulcis Miller
Fam. Rosaceae ) e’ un alberello originario della Persia. E’ molto diffuso sull’ altopiano
iraniano ove gli uomini incominciarono a coltivarlo cinque o seimila anni fa. Fu introdotto
in Sicilia dalla popolazione greca; i romani lo chiamavano “noce greca” ( frutto chiuso in
un guscio come la noce, gratissimo al gusto), dopodiché si diffuse in Francia, Spagna e
giunse in America nel XVI secolo.
Un esempio archeologico di mandorlo sono i semi trovati nella tomba di Tutankamon in
Egitto (circa 1325 a.C.), probabilmente importati dal Levante.
Il mandorlo è una pianta robusta che si sviluppa su terreni poveri, poco profondi e aridi e
da esso si utilizza quasi tutto: i semi oleaginosi, le foglie come mangime per gli ovini, i
malli e i gusci per la produzione tradizionale di carbonella e le ceneri dei gusci, ricche di
potassio, quale ottimo fertilizzante naturale.
Il seme del mandorlo selvatico contiene il glucoside amigdalina, che si trasforma nel
mortale acido cianidrico, quindi, i semi del mandorlo selvatico venivano arrostiti per
eliminarne la tossicità. Grazie al lavoro di ibridazione e selezioni fatte da antichi
agricoltori si sono ottenute così, varietà di interesse frutticolo: sativa (con seme dolce ed
endocarpo duro; comprende la maggior parte delle specie coltivate), amara (ha seme
amaro per la presenza di amigdalina) e fragilis (con seme dolce ed endocarpo fragile).
Il frutto è simile al cuore al cui interno è possibile trovare due semi – uno dei quali abortito
– contenuti in un endocarpo solcato. L’ amigdala si chiama proprio così per la sua forma
simile alla mandorla.
La capacità di rallegrare il cuore, a vista della sua fioritura precoce durante febbraio,
grazie alla sua chioma bianco-rosacea, è stata interpretata sin dall’ antichità come
simbolo di luce che manifesta la presenza divina, mentre per analogia, la rottura del
guscio per ricavarne il seme, simboleggia la rivelazione dell’ invisibile.
Il mandorlo nel mitologia greca è stato narrato da Pausania. Racconta che Zeus lasciò
cadere sulla terra il suo seme. Trascorso il tempo dovuto, il seme generò un demone
Agdistis dai duplici genitali, maschili e femminili. Gli dèi, che sprezzavano esseri del
genere, incatenarono Agdistis e gli tagliarono i genitali maschili e dal suo sangue nacque
un albero di mandorlo. La pianta attirò l’ attenzione di Nana, una delle figlie del dio-fiume
Sangario, e colse una mandorla e la nascose in seno. Il frutto sparì subito e la ragazza
rimase incinta.
Il nome ebraico del mandorlo – saqed – , derivato da verbo saqad << vigilare, vegliare >>
per la sua precoce fioritura. E’ uno dei primi alberi a fiorire in Israele, di solito all’inizio di
febbraio, in coincidenza con il Tu BiShvat, una festività ebraica chiamata Capodanno
degli alberi.
La mandorla in ebraico si traduce Luz che esprime il nocciolo indistruttibile e il divino dell’
essere, ma anche la luce che manifesta la sua presenza.
Luz è la misteriosa città zaffiro, protetta dal velo del cielo, inaccessibile ai profani e
incontaminata dai cataclismi, si trova al centro del Paradiso terrestre e secondo la
tradizione ebraica, ai piedi del mandorlo si troverebbe la via per accedere in essa, dimora
dell’ immortalità.
Nel cristianesimo la mandorla è Cristo, ciò che lo testimonia è un bassorielievo
medievale nell’ Altare del duca Rachis che raffigura l’ ascenzione di Cristo in Maestà all’
interno di una mandorla sostenuta da quattro angeli. Quindi la mandorla rappresenta il
velo della gloria che avvolge anche la Madonna che è quasi sempre azzurro o stellato,
infatti è noto questo elemento nell’ iconografia medievale come ” mandorla mistica “.
Bibliografia:
Wikipedia: Prunus dulcis
www.agraria.org
“ Storia e leggende degli alberi “ di Jacques Bross
” Le piante nel vangelo: Il mandorlo ” da ” La vita in Cristo e nella Chiesa” – Anno LVII, n°2 – a
cura di Sandro Imperato
” Il velo tra Oriente e Occidente ” di Vittora Alliata Ed. Orientamento – Al Qibla
Wikipedia: Altare del duca Rachis

– Bibliografia a disposizione
– http://www.liberajonianews.it/category/medicina-salute/lerboristeria/
– http://www.taccuinistorici.it/ita/news/contemporanea/dieta—dietetica/La-mandorla-sue-proprieta.html

Il caffè della nonnina!

L’uomo  fin  dai  tempi  più  remoti  ha  sempre  avuto  dei  vizi, ma  a  volte  dagli  stessi vizi sono  nate  delle virtù.

E’ questo  il caso  infatti  in  cui  le  donne  delle  nostre campagne – siamo nella  Valle D’Itria – avevano  trovato un succedaneo  del  caffè  per  sopperire  alla  sua  mancanza  in  tempo  di  guerra.

Se  prima  della  guerra  il  caffè (cofea arabica) era un lusso,  durante  i  lunghi  anni  della  seconda  guerra mondiale  era  diventato  un  ricordo.

La  mia  ricerca  parte  da  “Nenella” (classe 1930),  la  signora  più  anziana  della  contrada Ventura,  sita  in agro  di  Locorotondo.

Nenella  vede nel  mio giardino una pianta  e  mi racconta che dai semi di quella pianta, quando lei era ragazzina preparavano una bevanda che sostituiva il caffè  e che loro chiamavano il “caffè americano”.

Il nome penso sia stato dato in onore dei soldati americani o forse offerto a qualche americano lui avrà replicato: “Oh yes, cafè americano!”

La pianta è l’Astragalus boeticus L.  appartenente alla famiglia  delle Fabaceae

Del  genere  Astragalo in  Puglia  ce  ne  sono  diverse  specie :

A. sesameus;  A. pelecinus; A. monspessulans;  A. glycyphyllos,  molto  comune  è  anche  l’A. hamosus  anche  detta  falciforme  per  la  sua  caratteristica  forma  dei  semi  a  uncino.

Entrambi le foto, sono piante del mio giardino, immaginate che nel mio giardino ci  sono  tutte  le  erbacce  che  altri  cercano  di  debellare  nei  loro  campi,  io  invece  ne  raccolgo  i  semi  e  li  spargo un po’ ovunque.

Torniamo  all’Astragalo boeticus

Di  questa  pianta  si  raccolgono  i  semi  a  fine  autunno, dopo  che  la  pianta  ha  perso  le  foglie,  si  seccano  all’ombra,

si  tostano  nel  forno  e  si  frantumano  sino  a  ridurli  in  polvere, in  questo  modo  poteva  essere  usato  come  succedaneo  del  caffè.

Eccoci  in  un  altra  contrada  distante  4  km  circa,  la  signora  Vitina  (classe 1935) ricorda  che  utilizzavano  le  ghiande  di  una  particolare  quercia  che  chiamavano

“u fragn dolc”  quercia  dolce.

Le  caratteristiche  botaniche  di  questa  pianta  sembrano  essere   molto  simili  alla  comune  quercia  detta  roverella (Quercus  pubescens) .

Vitina  ricorda  solo  un  particolare,  che  la  cuticola  che  riveste  parzialmente  la  ghianda  ha  un  colore  più  scuro  rispetto  alla roverella.

I  pochi  esemplari  che  lei  ricorda  nella  zona  sono  stati  estirpati  per  fare  spazio  alle costruzioni,  così  non  potrò  mai  assaggiare  il  caffè di  quercia.

Ma  da  un  appassionato  di  botanica salentino  vengo  a  sapere che potrebbe essere la Quercia castagnara che dovrebbe corrispondere alla Quercia virgiliana che è molto affine  alla  roverella.  Il  nome  comune  volgare  la  lega  alla  castagna  poiché  il  suo  seme  è  edule.  Lui  stesso  dice  di  aver  trovato  questa  pianta  nel  Parco  Naturale  dei  Paduli   – Foresta  Belvedere-  nel  cuore  del  basso  Salento  e  di  aver  mangiato  una  ghianda  appena  caduta  ed  era  commestibile,  non  amara  come  di  solito  sono  le  ghiande.

Mi  racconta  anche,  che  nel  cuore  dei  Paduli  vi  è  una  masseria  chiamata  “spaccaghiande”  e  sembra  che  il  suo  nome  derivi  dalla  locale  pratica  di  raccogliere  le  ghiande  dalla foresta  Belvedere per  spaccarle,  nel  senso  di  macinarle  per  farne  farina  per  uso  umano.

Ma  torniamo  alla  preparazione  del  cafè  di  quercia.

Vitina  racconta  che le  ghiande  venivano  arrostite  nel  forno  per  poi  essere  ridotte  in  polvere  con  i  mezzi  di  allora  “u pisasel”  .  Si  conservava  in  bottiglie  col  collo  largo  tenute  sulle  mensole  del  camino,  se  ne  aggiungeva  2  o  3  cucchiai  nella  pignata  piena  di  acqua  che  era  solito  tenere  vicino  al  camino.

Appena  l’acqua  bolliva  si  aggiungeva  la  polvere  di  ghianda  e  si  aspettava  dinuovo  il  bollore,  appena  ritornava  a  bollire  si  allontanava  la  pignata  dal  fuoco  e  si  lasciava  raffreddare  per  qualche  minuto, poi  dinuovo  si  riavvicinava  al  fuoco  per  portarla  dinuovo  a  bollore  per  essere  nuovamente  allontananta  e  lasciata  raffreddare,  dopo  la  terza  volta  che  l’acqua  bolliva,  la  bevanda  era  pronta  per  essere  gustata,  dopo  uno  spartano  filtraggio.

La  maggior  parte  delle  persone  anziane  intervistate  ricordano  il  caffè  di  cicoria,  ottenuto  dalla  radice  di  Cichorium  intybus,  famoso  un  po’  in  tutta  Italia  e  non  solo,  sembra  che  i  francesi  ne  fanno  un  largo  uso.  Anche  da  noi  sta  tornando  di  moda, infatti  da  alcuni  anni  ci  sono  piccole    aziende  che producono  e  commercializzano  il  cafè  di  cicoria.

Non  mi  resta  che  augurarvi  un  buon  caffè  a  tutti!!

Dott.ssa  Dina  Liuzzi

Piante della Val d’orcia – l’iperico

DA LUIGI GIANNELLI – 18/12/2013

PUBBLICATO SULLA RIVISTA “PER LA VAL D’ORCIA”

Sicuramente, tra le piante erbacee, l’Iperico è una delle piante che gode del massimo prestigio! Inoltre, nella Val d’ Orcia è pianta frequente e comune, tutti gli anni si trova ed ha meravigliose proprietà; a volte è meno comune a volte occupa interi ettari, se lasciati incolti.

In verità l’abbiamo già citata in relazione ad un preparato che richiedeva anche l’uso delle “borse” dell’ Olmo. Ma è giusto dedicarle lo spazio che merita, visto che è pianta largamente usata sia nella tradizione popolare sia nella moderna Erboristeria.

Dioscoride, il medico delle legioni del I° secolo d.C., nella sua “Materia Medica” (ovvero la raccolta di rimedi singoli ed alcuni preparati più grande dell’ area mediterranea antica), cita l’ Iperico nel III° Libro dell’opera, in ben quattro capitoli (dal 165° al 168° – vers. Mattioli); questo perché di questa pianta ne vengono riconosciute più specie e più varietà; a nostro modesto parere, alla fine, se è vero che a seconda delle zone e delle aree geoclimatiche si possono trovare varietà e specie molto affini tra di loro del genere “Hypericum”, tutte aventi le stesse proprietà.

Passiamo al testo (che riportiamo nella versione del XVI° secolo del Mattioli, con piccole varianti per la migliore comprensione del testo):

<< Cap. 165° –  Dell’ Hiperico. Chiamano alcuni l’ Hiperico androsemo [ovvero “sangue umano”], altri corio [cuoio, ma anche pelle, per l’attività che ha su di essa], & altri chamepitio [“simile al Pino”], per avere il suo seme odore di ragia di Pino; è pianta ramuscolosa. Ha le foglie simili a quelle della Ruta, il fiore giallo, simile alle Viole bianche; questo fiore sfregato tra le dita, emette un liquido simile al sangue, per questo è stato nominato “Androsemo”. Ha le silique pelosette, di forma allungata e rotonda, di grandezza dei garni di Orzo; nelle quali è dentro il seme nero, di odore resinoso; nasce in luoghi coltivati ed aspri. Provoca l’orina, applicato ai genitali femminili, provoca i mestrui. Bevuto nel Vino cura la terzana e la quartana [febbri ricorrenti tipiche di malattie come la malaria]. Il seme bevuto quaranta giorni continui, guarisce le sciatiche [e qui si intende sia l’aspetto neurologico sia quello articolare]. Le foglie applicate come empiastro insieme al seme, giovano alle ustioni da fuoco.>>

<< Cap. 166° – Dell’ Asciro. Ovvero Asciroide, ovvero Androsemo, è anche questa una specie di Hiperico, ma differente per la sua grandezza, è più folto ed i suoi rametti sono più lunghi, più legnosi & rosseggianti, le foglie sottili, & i fiori gialli. Produce il seme di odore resinoso, come quello del’Hiperico; sfregato con le dita, subito insanguina le mani; & perciò lo hanno chiamato Androsemo [vedi sopra]. Giova bevuto il seme in un sestario di Acqua Melata [un sestario era poco più di mezzo litro (540 ml) e l’Acqua Melata era preparata bollendo insieme uno o più litri di acqua con un litro di miele, fino a tornare – evaporando l’acqua a un litro], alle sciatiche; perciò scioglie gli Umori Cholerici [vale a dire biliari], ma bisogna continuare a beverlo fino a perfetta salute. Anche esso si applica utilmente come empiastro sulle ustioni da fuoco >>.

<< Cap. 167° – Dell’ Androsemo. L’ Androsemo è diverso sia dall’ Hiperico che dall’Asciro, poiché cresce con rami duri & legnosi, & sottili, & rosseggianti fusti; & le sue foglie sono tre o quattro volte più grandi di quelle della Ruta, le quali quando si tritano, rendono un liquido simile al Vino [rosso!]. Sono nella sommità dei fusti assai concavità di ali [vuol dire che le foglie, unite due a due, formano verso il fusto o il ramo una concavità], dalle quali escono alcuni ramoscelli a forma di penna, attorno ai quali sono i fiori gialli, & piccoli. Serrasi il suo seme puntato di più linee in frutti a forma di vasetto, simile al quello del Papavero Nero. Le chiome triturate, spirano odore resinoso. Il seme bevuto al peso di due dracme [8-9 gr circa], solve gli Humori Cholerici [Biliari] del corpo; sana le sciatiche, ma occorre dopo la purga, bere un po’ d’acqua. L’ erba applicata come

empiastro cura le ustioni da fuoco e ristagna il sangue >>.

<< Cap. 168° – Del Cori. Il Cori il quale chiamano alcuni Hiperico, che produce le foglie simile all’ Erica, rosse, più grasse, & più piccole, non più alta di una spanna, d’odore aggradevole a acuto. Il seme bevuto provoca i mestrui, & l’orina. Preso con Vino, giova ai morsi di quei ragni che chiamano “Falangi” [ragno comune, di specie diverse e diverse dimensioni, che si trova dall’ area mediterranea fino all’Africa, dove si trovano esemplari molto grandi; in realtà non è particolarmente velenoso], alle sciatiche, ed allo spasimo detto “opisthotono”. Si applica come unzione sul corpo con Pepe, nei rigori [tremiti] che precedono le febbri, ed all’ “opisthotono” utilmente con olio.>>.

L’ opistotono è una caratteristica tensione-spastica, di varia origine o traumatica o da avvelenamento o da infezione da tetano o altro, che provoca la piegatura della colonna vertebrale (tutta), all’indietro, tenendo chi la soffre nella tipica posizione “ponte”; esiste un quadro di Sir Charles Bell, che mostra un ammalato di tetano con opitostono (il quadro è del 1809 ed è “fotografico”).

Galeno, il medico di Marco Aurelio (rimase a corte fino alla morte, ai tempi di Settimio Severo, dato che morì circa a 82 anni, in barba a chi dice che al tempo dei Romani la gente viveva meno di 40 anni. Al solito dipende chi; ancor oggi ci sono popoli poverissimi, dove le malattie, la malnutrizione, la fatica fisica estrema non consentono di essere longevi; la longevità è dovuta a fattori sociali, non di “epoca”), parla dell’ Iperico nel VIII° Libro del suo “Le virtù dei semplici medicamenti” (semplici intesi come “ingredienti di medicamenti complessi”):

<< L’ Iperico scalda e dissecca, è composto di così sottili parti, che provoca i mestrui e l’orina; per avere questi effetti non basta assumere il seme solamente, ma tutto il frutto [ovvero il fiore maturato]; questo applicato come empiastro da fresco, non solo cicatrizza le ferite e le ulcerazioni, ma anche le ustioni da fuoco. Essiccato e ridotto in polvere e applicato alle ulcerazioni purulente e umide, le sana. Alcuni lo danno per la sciatica >>. Poi anche Galeno fa riferimento ad Asciro ed Androsemo, che considera varietà dell’Iperico, con proprietà analoghe a quelle che dice Dioscoride, non nomina il Cori, ma dice che l’Iperico è chiamato anche “Dionisio”. Fa una interessante aggiunta << Il decotto fatto nel Vino è cura valorosa per le ferite grandi >>.

Insomma, sia Dioscoride che Galeno, riconoscono che esistono varietà della stessa pianta, e che hanno più o meno le stesse proprietà; Galeno è più sintetico, ma molto più preciso.

In effetti, fin dall’antichità sono riconosciute all’Iperico tre grandi attività: 1 – quella su ferite, ulcerazioni e contro le ustioni da fuoco; 2 – quella sull’apparato neuro-articolare, in particolare per la sciatica; 3 – una azione neurologica centrale (tremori ed opistotono). Oggi gli è riconosciuta l’azione antidepressiva; se gli antichi non l’hanno rilevata, è perché il tipo di depressione (malattia da sempre riconosciuta, raccontata con parole diverse) nel mondo antico, si esprimeva in modi diversi ed  era curata con le piante cordiali, come la Rosa, la Viola, la Borragine.

Dalla tarda romanità in poi, emerge la preparazione dell’ estratto oleoso di Iperico, quello che si usa fare triturando le sommità fiorite, miste a fiori già “maturati” in frutti, e ponendole a macerare in olio vegetale, esponendo i vasi di vetro al Sole per una decina di giorni e poi lasciare macerare il tutto al buio. Un tempo si metteva del Vino bianco insieme, che poi veniva fatto bollire e evaporare, così si accentuava il processo di estrazione e si sterilizzava la massa olio-pianta. Poi il tutto veniva fatto scolare e spremuto, separate le ultime tracce di residuo acquoso. Chi scrive ha usato un’altra tecnica: alla pianta fresca triturata, aggiunge del Sale, che blocca tutti gli eventuali processi degradativi; dopo esposizione  al Sole, macerazione successiva, poi scolatura, pressatura, filtrazione accurata, si ottiene un oleolito di Iperico di grande potenza.

Ma potenza per fare cosa? Ebbene l’oleolito di Iperico è straordinariamente efficace per la cura delle ustioni da fuoco, come dicevano gli antichi, per le ulcerazioni torpide, per le piaghe da decubito, per le ferite in generale. Utile metterlo anche negli oli per i massaggi per i dolori nevritici e articolari.

Invece, oggi, per uso interno l’ Iperico è usato solo come antidepressivo.

Ma guardiamolo anche con una visione moderna; cosa contiene?

Contiene: olio essenziale (a sua volta composto in prevalenza di metilottano, metildecano, nonano, andecano, a e b-pinene, limonene, mircene, cariofillene, decanale, ottanale, a-terpineolo, geraniolo) flavonoidi (iperina, rutina, quercetina), diantroni (ipericina, emodinantrolo), tannini, fitosteroli, acidi organici, furanocumarine.

Azioni accertate oggi: per uso esterno – antiinfiammatoria, cicatrizzante, antiustioni e antipiaghe da decubito. Per massaggi antireumatici.

Tisane e composizioni fitoterapiche

ATTENZIONE! QUESTO ARTICOLO E’ STATO PUBBLICATO SULLA RIVISTA “L’ ERBORISTA” – EDIZIONI TECNICHE NUOVE SPA, TRA FEBBRAIO E MARZO 2007.

TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI E PROPRIETA’ DELLA CASA EDITRICE.

PER GENTILE CONCESSIONE.

AUTORE: LUIGI GIANNELLI

In questa occasione ci occuperemo delle tisane e delle composizioni fitoterapiche per il trattamento degi squilibri legati all’ Elemento Fuoco ed all’asse fegato-cistifellea.

In pratica le nostre composizioni interverranno sia sulla secrezione biliare, sia sui suoi effetti  a livello intestinale, renale, della reattività immunologica (come allergie, intolleranze, reazioni autoimmuni), di alcune particolari dermatosi, e soprattutto sulle principali vie metaboliche; sono disfunzioni “biliari”, in modo diretto o indiretto le dislipidemie, il diabete, l’iperuricemia.

Tutti i processi infiammatori sono in qualche modo legati all’ aspetto Igneo, Biliare. Un soggetto arrossato, irascibile, pieno di pruriti e magari anche con alcuni tessuti (da quelli di organi interni a quelli cutanei e articolari) fortemente infiammati.

E’ chiaro che ogni affezione nasce dal concorso di molti Elementi e Umori e sistemi organici, ma alcune sono prevalentemente dominate dal Fuoco-Bile gialla.

Volendo agire tempestivamente su organi, funzioni, Umori, non possiamo esimerci dal trattare un problema secondo varie angolazioni, magari con cicli di trattamento, in parte sintomatici, in parti “di terreno” e/o di drenaggio specifico.

Rammentiamo che la maggior parte di queste composizioni va somministrata dopo un breve decotto (dai due ai cinque minuti), seguito da una prolungata macerazione (da due ore a tutta una notte), filtrando e bevendo in tre-quattro volte lontano o prima dei pasti principali, anche a temperatura ambiente. Sconsigliamo di bere tisane appena tolte dal frigorifero. La dose è di 20 gr di miscela al giorno per 1 litro di acqua oligominerale.

Incominciamo con una composizione, forse banale, ma che permette un drenaggio biliare intenso e specifico.

E’ adatta in tutti quei casi che un blocco “Freddo” e ostruttivo a livello della cistifellea; è costituita solo da piante Calde:

Curcuma         30 %

Fumaria          30 %

Boldo              20 %

Rabarbaro       10 %

Combreto       10 %

Quando invece si vuol preparare un composto Freddo e depurativo, agente nel lungo periodo, si possono usare piante Fredde:

Cicoria                       20 %

Bardana          30 %

Gramigna       10 %

Parietaria        20 %

Tarassaco       10 %

Quest’ultima è adatta per le sindromi allergiche, alternata con quella del primo tipo; la prima espelle il Calore Biliare, la seconda lo compensa, mentre delicatamente lo espelle.

Utili sono i Fiori Freddi, come la Viola Tricolor e il Papavero rosso; esse per la eccessiva freddezza è opportuno abbinarle a piante più Calde, prima tra tutte la Curcuma.

Curcuma           50 %

Papavero rosso  25 %

Viola tricolor   25 %

Grande antidermatosico e antipruriginoso:

Papavero rosso   20 %

Viola tricolor    20 %

Olmo                 40 %

Fumaria             20 %

Le composizioni preparate con piante Calde, possono essere usate in tutte le stagioni (anche in quelle Calde), dato che comunque la loro azione è “centrifuga”; il drenaggio biliare è volto verso l’esterno.

Invece le composizioni Fredde vanno molto bene soprattutto in Primavera, dominata dall’ Elemento Aria, Caldo e Umido. Anzi sono particolarmente adatte, dato che da un lato rinfrescano – se ce ne fosse bisogno – l’eccesso di Calore, a volte accumulato durante l’inverno, a causa di una alimentazione ricca di grassi, carni, cibi lungamente cotti. E’ vero che questi cibi sono adatti alla stagione invernale, ma è anche vero che spesso c’è chi esagera.

In ogni caso il drenaggio biliare con piante Calde va fatto quando occorre rapidità, soprattutto se ci sono disturbi intestinali, fatti infiammatori ad organi interni, tendenze a squilibri metabolici.

La tisana con Curcuma e Rabarbaro va benissimo quando si vuol preparare l’organismo ai trattamenti più specifici per i problemi metabolici, come dislipidemie e diabete.

L’ utilizzo di tisane con piante Fredde è più adatto quando si vuole un effetto nel periodo lungo, dolce, delicato e soprattutto, preventivo.

Inoltre, quello con piante Fredde è particolarmente utile quando si vuole agire per prevenire reazioni allergiche, legate alla stagionalità, come le pollinosi.

La tisana a base di Bardana è perfetta come cura/prevenzione delle reazioni allergiche primaverili.

Abbiamo visto che piante come la Fumaria, l’Olmo, la Viola e il Papavero rosso sono particolarmente indicate nelle dermatosi.

Attenzione:

le dermatosi indicano due grandi squilibri, che se non trattati, possono evolvere in malattie ben più gravi: da un lato c’è una debolezza di stomaco (e ne parleremo meglio per le tisane che servono a “governare” l’Elemento Acqua) e dall’altro c’è un notevole squilibrio epatico, che conferisce soprattutto rossore e prurito.

Quindi in questi casi occorrono, oltre alle piante stomachiche, anche piante che rinfrescano il fegato e drenano rapidamente la Bile gialla (secrezione biliare) ristagnante.

Olmo, Gramigna e Piantaggine agiscono sul Calore epatico e su quelli, conseguenti, intestinale e renale.

Utili, oltre a Parietaria e Piantaggine (che agiscono sui fatti semplicemente infiammatori anche su quelli ulcerosi) che si costituiscono sulla mucosa intestinale, le piante diuretiche, sia Fredde, come l’Equiseto (anche esso cicatrizzante intestinale), sia Calde come l’Ononide e le radici delle Ombrellifere, soprattutto di Finocchio e di Sedano.

Grande pianta epatica è l’ Agrimonia, che compie le sue funzioni sulla “massa” epatica, favorendo la ricostruzione dell’epatocita funzionale, come nelle steatosi e le cirrosi nei primi stadi, ma è anche un ottimo diuretico e un importante regolatore metabolico.

L’Agrimonia si accompagna molto bene al Cardo Mariano della quale è complementare ricostruttore dell’epatocita, alla Ceterach, che sblocca e alleggerisce la milza, la Malva che compie una potente azione emolliente e antiinfiammatoria su tutto il tubo digerente (stomaco e intestino). E’ anche, a somiglianza dell’Elicriso (che vedremo dopo), un antiallergico, anche se delicato.

Una eccellente tisana a base di Agrimonia, in due versioni, serve a curare l’iperuricemia e la gotta:

Agrimonia,

Betulla,

Frassino,

Mais stigmi, parti uguali, magari con un po’ di più di Agrimonia;

l’altra versione:

Agrimonia 40 %,

Ceterach 20 %,

Malva 20 %,

Papavero rosso 20 %,

eccellente equilibratore e antiinfiammatorio nelle forme epatitiche.

Grandioso rimedio, derivante dalla tradizione popolare e colta, eccellente nelle dislipidemie, come ipercolesterolemia e ipertrigliceridemia, è questo:

Carciofo 20 %,

Betulla 20 %,

Equiseto 20 %,

Curcuma 40 %.

Altro rimedio drenante biliare, di grande potenza nelle forme di psoriasi ribelle è anche essa a base di piante molto amare, come il Carciofo e la Centaurea minore:

Carciofo 20 %,

Centaurea minore 10 %,

Olmo 30 %,

Ononide 20 %,

Equiseto 20 %.

Le composizioni epatiche sono, tra l’altro molto efficaci anche nelle affezioni virali, come quelle da raffreddamento; tra le piante si trova l’ Elicriso, pianta epatica molto Calda, adatta anche alle forme di degenerazione della cellula epatica (epatiti, cirrosi); si può supporre che queste composizioni abbiano anche una azione immunoattiva:

1 – Boldo 40 %,

Eucalipto 40 %,

Elicriso 20%.

con questa, prima se ne aspirano i vapori in un suffumigio, poi, quello che rimane, si beve ben caldo.

Agisce anche sulle riniti di origine allergica.

La seconda viene sia dalla tradizione popolare, ma si ritrova anche in una grande Farmacopea settecentesca (quella di Giovanni Andrea Murray, medico di Corte del Re di Danimarca):

2 – Camedrio,

Centaurea minore,

China, parti uguali.

essa è febbrifuga e, come l’altra agisce anche sulle infiammazioni intestinali e su quelle articolari.

Dato che il Camedrio è da tempo vietato, lo si può sostituire (con effetti più modesti), con il Carciofo.

Tale sostituzione era accettata anche da Galeno. Per la verità Galeno riteneva che il Camedrio può essere sostituito dal Romice, ma il Romice può essere sostituito dal Carciofo. In questi casi vediamo come più adatto, per il suo potente effetto coleretico e colagogo, il Carciofo.

Due parole sull’Elicriso: questa pianta fu ampiamente studiata e somministrata dal celebre medico Santini nella Garfagnana degli anni ‘50 e ‘60 del XX° secolo.

Esso, oltre all’azione epatica, coleretica, colagoga, drenante biliare, manifesta anche intense proprietà sulle affezioni articolari (anche nell’ artrite reumatoide, malattia autoimmune) e nelle forme ribelli della psoriasi; inoltre possiede anche una intensa azione anticefalalgica: il dolore di testa è una classica manifestazione biliare. E’ anche un eccellente rimedio per le affezioni mucose dell’apparato respiratorio; agisce potentemente sia sulle forme microbiche che su quelle virali. Seda la tosse e favorisce l’espettorazione. Inoltre è un grandissimo rimedio di tutte le forme allergiche.

Ma anche l’ Elicriso, come del resto l’Agrimonia, non è pianta che dà il meglio di sè da solo.

E’ molto Caldo, a volte troppo, e alcuni mal lo tollerano, da solo.

Non c’è dubbio che gli aspetti infiammatori e tussivi delle affezioni respiratorie siano correlate con una certa stasi biliare e con una Bile gialla irritativa che brucia e irrita in tutti i luoghi che “tocca” (quindi anche sull’apparato respiratorio).

Noi, sulla base dell’esperienza dei vecchi Erboristi e Medici del passato nemmeno tanto remoto, amiamo unire l’Elicriso a due grandi piante drenanti biliari: una è la Fumaria, che per gli antichi espelle la Bile per via renale e l’altra è la Curcuma, che la espelle per via intestinale; addirittura nei soggetti stitici, al posto della Curcuma (o in aggiunta) si può mettere del Rabarbaro. Droga lassativa si, ma anche energico coleretico e colagogo, secondo i medici di lingua e cultura Araba, soprattutto Mesuè, medico della Corte del califfo di Bagdad nel VII°-VIII° secolo d.C.

Grande formula per varie affezioni di origine (prevalente) biliare, come dermatosi pruriginose, dolori articolari di varia natura, cefalea, affezioni respiratorie con molto muco, tosse incoercibile, asma anche allergica, sinusite, oculorinofaringite, anche essa di origine allergica:

Elicriso 20 %,

Curcuma 30 %,

Rabarbaro 10 %,

Agarico bianco 20 %,

Cannella 20 %.

La Cannella, anche se oggi vi è stata scoperta una grande azione antidslipemica (quindi agente sull’area epatica) è un potente rimedio per lo stomaco, che concorre in modo determinante sulle affezioni prima descritte. L’ Agarico bianco è un notevole complemento dell’azione dell’Elicriso: esso “strappa” le mucosità respiratorie e i sieri aggressivi che si “rintanano” all’interno delle cavità articolari. Inoltre la coppia Elicriso-Agarico rappresentano un eccellente “squadra” immunoattiva, antivirale e antimicrobica in generale.

Anche l’ Agarico bianco, fungo delle Poliporacee, oltre all’azione immunoattiva e antimicrobica, possiede un’ottima azione coleretica e colagoga, e per questo rientra nella composizione di molti liquori digestivi.

La “tribù” delle Composite ci dà una bella quantità di piante agenti sulla secrezione biliare e per il drenaggio biliare e renale, oltre al Carciofo: sono spesso Fredde, ma agiscono nel medio-lungo periodo  e servono come regolatori metabolici (colesterolo, trigliceridi, glicemia, uricemia), come la Bardana, il Tarassaco e la Cicoria.

Si possono associare sia a piante diuretiche, che ne intensificano l’effetto generale e ai coleretici più energici, che rendono le cure più rapide, come la Curcuma, il Boldo, il Combreto.

Ma torniamo al nostro Fuoco Biliare.

Quali sono i segni caratteristici sulla persona, la postura il carattere e che segnalano la necessità di operare attraverso le composizioni che abbiamo esaminato?

Un portamento fiero e altero, rapidità di movimenti, uno sguardo intenso, ardente, con gli occhi socchiusi e con una continua tendenza a stringere di più l’occhio destro, dolorabilità (di varia origine) sulla parte destra e soprattutto nell’area scapolare (la “faretra di Diana”), una emicrania più che altro nella parte destra o cefalea dopo l’assunzione di bevande alcoliche, di cibi fritti, di salumi, cefalea derivante dall’inazione (il soggetto “impostato” dalla Bile ha necessità di azione e movimento), l’ irascibilità, la tendenza alla violenza ed al comando, tutte cose che abbiamo già visto quando abbiamo parlato, in precedenti interventi, del Fuoco Biliare.

Le reazioni autoimmuni, le epatiti, la congestione e la stasi biliare su base emotiva, la tendenza alla formazione di calcoli o sabbia biliare. Il grande Calore mal circolante, è destinato a concentrarsi in alcuni organi, diversi a seconda dei soggetti, creando infiammazioni, reazioni autoimmuni e calcoli biliari.

Tutte le tisane, soprattutto quelle Calde e drenanti e quelle unite a diuretici, servono soprattutto a smuovere, a far circolare questo grande Fuoco ed a utilizzarlo in modo proprio. Le stesse affezioni metaboliche indicano una stasi di Fuoco: espellendo l’eccesso e/o favorendo la sua circolazione, insieme con rinfrescanti epatici (come la Gramigna, la Parietaria, L’Equiseto, la Bardana, la Cicoria, ma anche il succo degli Agrumi e le bacche di Rosa Canina), servono egregiamente a dominare e governare il Fuoco Biliare e epatico e a risolvere la maggior parte delle affezioni connesse alla sua stasi.

Per coloro che non volessero prendere le tisane, per il poco tempo disponibile e per il loro non sempre gradevole sapore, si possono sostituire con miscele di tinture madri o estratti fluidi, rammentando tuttavia che gli effetti saranno meno pronti e un po’ più blandi.

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BIBLIOGRAFIA

 

Platone – Opere complete – varie edizioni

Lucrezio T.C. – “De rerum natura” – varie edizioni

Apuleio – “Metamorfosi” – varie edizioni

Vitruvio P. – “De Architectura” – a cura di P. Gros – Einaudi – Torino 1997

Varrone M. T. – “Opere scelte” – Classici UTET 1974 – rist. 1996

Plinio G.S. “Storia Naturale” – vers. M.L. Domenichi – Venezia – 1612

Plinio G.S. “Storia Naturale”a cura di G.B. Conte – Einaudi – Torino 1983-1995

Plutarco “Quaestiones conviviales” – varie edizioni

Dioscoride P.  “Materia Medica” – vedi vers. Ruellio – Venezia 1538 e Mattioli – Venezia 1557 e                                                                                                                                                               1568.

Galeno C.  “De Compositione medicamentorum secundum locos” – vers. J. Cornario – XVI° sec.

Galeno C. “De Antidotis”

Galeno C. “De Compositione medicamentorum per genera”

[le tre opere sopra citate fanno parte di una raccolta danneggiata del  XVI° sec.].

Galeno C. “Methodi Medendi” – Edizione generale – Venezia 1565

Galeno C. “De Simplicium medicamentorum facultatibus” vers.   Gaudano – Lione 1547

Alessandro di Tralles  – “I Dodici libri di Medicina” – Venezia 1573 (originale: VI° secolo d.C.)

Erboristeria tradizionale

L’ Erboristeria Tradizionale è un’ attività commerciale concentrata sulla figura professionale chiave ovvero l’  Erborista. Oggigiorno questa professione, dedita all’ ascolto dei piccoli disturbi quotidiani e ai consigli erboristici preparati ad personam per mantenere lo stato di benessere del cliente, si è culturalmente impoverita, divenendo quasi un consigliere per l’ acquisto di creme profumate o dell’ ultima panacea “scoperta” su Internet.

Quindi è lecito porsi la domanda: ” Chi è l’ Erborista? Un professionista, un commerciante e/o un custode della Tradizione “?

La figura professionale è regolamentata  dalla legge del 6 gennaio 1931 n.99, che definisce l’ Erborista  un diplomato (oggi anche laureato) che può coltivare, raccogliere e ricavare dalle piante officinali i preparati più semplici come enoliti, oleoliti, alcoliti etc. etc., mettendo in primo piano il legame che coesiste tra le piante endemiche ed autoctone del territorio e la figura professionale .

” Nella natura tutto il mondo è una farmacia che non possiede neppure un tetto” Paracelso

Nel passato, ancora oggi nei piccoli centri abitati, era lecito trovare oltre al Farmacista anche l’ anziano/a  del paese che consigliava rimedi semplici per placare i piccoli disturbi quotidiani mediante l’ utilizzo di piante che si trovavano nell’ orticello o in campo aperto.

Chi non ha mai sentito dire da un parente più anziano che la Spaccapietra ( Ceterach officinarum ) è utile per disgregare i calcoli renali?

La tradizione erboristica infatti, oltre ad essere custodita nei grandi libri e nei ricettari antichi, è il frutto anche della cultura popolare tramandata oralmente specialmente per quelle formulazioni che prevedevano le piante officinali  che si trovavano in loco.

Quindi nell’ Erboristeria Tradizionale la pianta officinale è ingrediente fondamentale e prezioso per riproporre oggi le antiche formulazioni ( storicamente efficaci)  sia quelle custodite dai monaci e dagli speziali ( medicina colta ) sia quelle tramandate dai guaritori ( medicina popolare ).

L’ Erborista Tradizionale oltre ad essere un professionista della salute ha anche un compito più importante che è quello di preservare il patrimonio culturale mediante lo studio dei testi Antichi e la ricerca dei rimedi popolari. Egli deve quindi custodire, riproporre al cliente e far rivivere nel presente ciò che gli Antichi hanno volutamente trasmetterci affinchè la nostra salute sia preservata.

E’ ormai raro incontrare un’ Erboristeria che offra oltre 60 piante con le quali comporre una tisana in base alle differenti costituzioni poichè è più facile trovare negozi con miscele già preparate che possono creare anche effetti indesiderati, se somministrate durante una terapia farmacologica.

Quindi è opportuno che l’ Erborista tradizionale odierno deve essere capace di far coesistere le conoscenze scientifiche attuali con la tradizione erboristica la quale è basata sia sulle piante ma anche sull’ individuo e dell’ ambiente che lo circonda.

” La natura è causa e cura delle malattie” Paracelso

Erborista Tradizionale

D.ssa Carrmela Patania